Democrazia e giudizio qualitativo

La democrazia sociale è integrazione delle diversità sulla comune natura del logos. Vi sono tra gli esseri umani indubitabili differenze individuali ed etniche, ma le differenze non sono confini invalicabili, il logos è la comune natura che consente di calcolare soluzioni di compromesso, in quanto al di là delle differenze vi è una comune natura umana concreta con i suoi autentici bisogni: cibarsi, avere un tetto, vestirsi, curarsi, essere riconosciuti al di là dei ruoli sociali, comunicare la processualità della propria identità e  il bisogno di essere parte di una comunità che convergono verso la possibilità del compromesso. Si tratta di riconoscersi “umani” nella concretezza dell’immanenza in cui l’esperienza individuale si materializza. Le distanze possono restare, ma accanto ad esse vi sono innumerevoli punto di contatto. L’integrazione non può avvenire in modo automatico, la tolleranza, termine non felice per esprimere l’integrazione comunitaria, non si realizza senza sviluppo della sovrastruttura. Senza educazione non è possibile il percorso che porta alla comunità democratica. L’educazione non è una scienza sperimentale, per cui i risultati non sono assicurati, poiché agisce e si configura all’interno di innumerevoli variabili tra cui il sostrato storico e comunitario e l’indole personale. La complessità dell’agire educativo nella democrazia esige “responsabilità educativa”. La processualità educativa in una democrazia è perenne sguardo olistico. Se prevale l’elemento strutturale sul sovrastrutturale non è possibile nessun agire educativo, in quanto è il valore di scambio a determinare gli scopi delle istituzione e della società nella sua interezza. Se tutto diviene mezzo per la valorizzazione non può che prevalere la logica di Trasimaco esposta nel primo libro della Repubblica di Platone: il più forte determina la legge, di conseguenza le oligarchie stabiliscono i salvati e dannati in relazione ai loro interessi economici. Il razzismo nelle sue forme plurali dal razziale-etnico al sanitario, fino alla perniciosa alleanza tra le due forme non è che espressione dell’oligarchia e dei suoi inconfessabili interessi finanziari. Dove vi sono dominati e dominanti, non vi è democrazia, ma negazione della stessa. Democrazia è compromesso nella trasparenza critica dell’incontro mediante il logos. Se il velo dell’ideologia scende e la maggioranza manipolata dalle oligarchie opprime una minoranza, la democrazia formale non è che dittatura sostanziale. Per evitare i giochi del potere con le sue tragedie è indispensabile alimentare gli investimenti quantitativi e qualitativi nella sovrastruttura, nell’educazione e nella cultura in generale. La crescita qualitativa della sovrastruttura diviene pratica del giudizio critico. La democrazia per essere sostanziale deve implicare il giudizio qualitativo sulla stessa e sulle sue decisioni. La struttura dev’essere sottoposta al controllo del demos. Senza un’adeguata educazione ciò non è possibile, per cui l’attacco e lo smantellamento dell’istituzione educativa trasformata in costola del mercato è organico agli interessi delle oligarchie nazionali, europee e globali. In questa cornice storica il razzismo si ripresenta in forme nuove e inaudite. Non si è capaci di riconoscerlo, poiché non si hanno gli strumenti qualitativi con cui interrogare la struttura. L’individualismo con il suo ripiegamento relativistico-nichilistico consolida la diffusa ignoranza scientemente programmata. Il razzismo è ovunque e non lo si vede, se si seguono i programmi TV sono intrisi di razzismo. L’ideale estetico è il mezzo più potente con cui tagliare la comunità tra salvati e dannati. Giovinezza, salute e bellezza sono l’infame trinità che veicola il narcisismo proprietario e l’indifferenza sociale. Il nuovo razzismo estetico-salutistico è un immenso affare globale per le oligarchie che nel contempo frammentano i dominati in un pulviscolo in lotta per un attimo di celebrità. Il disincanto si svela in modo veloce, ma l’ignoranza programmata mutila l’immaginazione critica fino a naturalizzare il presente con le sue passioni tristi. La normalità del male provoca il depotenziamento della creatività di cui si nutre il dominio:

“Non mi pare dunque adeguato parlare della banalità del male, come fa Hannah Arend. Trovare un’altra espressione è difficile, ma io parlerei piuttosto della normalità di un male che minaccia in forme estreme il nostro secolo[1]”.

 

La religione ecologica

L’ecologia trasformata in religione è l’ultimo mezzo delle oligarchie per colpevolizzare le masse e tenerle sotto il giogo perenne del terrore della catastrofe imminente. Il ritrarsi della sovrastruttura e la debolezza formativa consentono il consolidarsi della nuova religione astratta dell’ecologia. Ogni religione con la sua dogmatica è un atto di fede: si crede alle parole. La struttura oligarchica organizza il senso di colpa collettivo, in tal modo non è oggetto di analisi critica. Si devia il giudizio olistico sul sistema nella sua totalità strutturale e sovrastrutturale, in tal maniera la struttura nichilistica e relativistica non è toccata dal disastro che ha causato e può dettare le ricette economiche green per la sua sopravvivenza, fino a ipotizzare il depopolamento ecologico quale strumento per l’eternizzazione del neoliberismo nella sua fase “assoluta”. La democrazia senza responsabilità partecipata del demos  diviene parodia di se stessa. La colpa ecologica è il mezzo con cui si estromettono i popoli dalle decisioni politiche, devono essere gli esecutori della nuova ricetta green, la quale esige solo un leggero spostamento nella scelta dei consumi. Non più cittadini, ma “consumatori”. Se il popolo è solo una massa di obbedienti consumatori, ciò rivela l’implicito razzismo del sistema oligarchico e il suo disprezzo verso i popoli. Le masse devono obbedire ed eseguire ciò che i padroni della globalizzazione hanno stabilito, si applica un dispositivo che garantisce l’eterogenesi dei fini, pertanto i passivi esecutori si percepiscono come parte attiva del sistema. Senza responsabilità qualitativa non vi è democrazia, la responsabilità deve indurre a vagliare i provvedimenti e specialmente a decodificarne i processi decisionali. In assenza di un folto gruppo di intellettuali: accademici, giornalisti e docenti consapevoli del loro ruolo etico a cui si deve aggiungere il sistema educativo che riproduce la violenza del modo di produzione capitalistico, la democrazia si degrada in oligarchia nichilistica. Per uscire da tale condizione è indispensabile emanciparsi dall’alienazione del senso di colpa che neutralizza la capacità di comprendere la profondità della tragedia in atto:

“Lasciatemi concludere con una valutazione simbolica su come la “condizione umana” sia venuta trasformandosi. Una volta era la religione a dirci che eravamo tutti peccatori a causa del peccato originale. Oggi è l’ecologia del nostro pianeta che ci accusa di essere tutti peccatori a causa dell’eccessivo sfruttamento dell’ingegno umano. Una volta era la religione a terrorizzarci con il giudizio universale alla fine dei tempi. Ora è il nostro torturato pianeta a predirci l’approssimarsi di quel giorno senza alcun intervento divino[2]”. 48

La condizione umana necessita di verità, e per giungere ad essa bisogna avere il coraggio del logos. La razionalità oggettiva crea ponti di resistenza, attraversa il negativo per riportare la verità dove vige la violenza razzista dell’ideologia, la quale è un ottimo mezzo, storicamente “oleato”, per garantire la sopravvivenza del potere. Ogni gesto di verità costruisce in tempi non determinabili la coscienza collettiva della democrazia senza la quale l’umanità è persa nel relativismo della sola struttura.

[1] Hans Jonas, Il concetto di Dio dopo Auschwitz, il melangolo, 2004 pag. 48

[2] Mosse, Intervista sul razzismo, Laterza 1987, pag. 72

Democrazia e democrazie africane, fra narrazione politica e realtà vissuta  - Focus On Africa -

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dichiaro di essere al corrente che i commenti agli articoli della testata devono rispettare il principio di continenza verbale, ovvero l'assenza di espressioni offensive o lesive dell'altrui dignità, e di assumermi la piena responsabilità di ciò che scrivo.