Il sorriso di Andrea. Il noviziato del Dio di Bergoglio.

Occhi diversi

Ho riguardato con occhi diversi il film In memoria di me di Saverio Costanzo del 2007, che rappresenta il travaglio di un giovane gesuita durante il periodo di noviziato. La sceneggiatura è tratta da un romanzo del 1960 Lacrime impure, il gesuita perfetto di Furio Monicelli fratello di Mario e autobiografico.  La differente visione deriva essenzialmente dall’avvento del papato di Francesco. Il film rende con grande intensità il travagliato distacco dalla vita mondana del protagonista Andrea, perché con l’essenzialità dei dialoghi rende la regola igniaziana (La parola sorge dal silenzio e al silenzio ritorna)  e negli sguardi sempre interrogativi dei novizi l’incertezza per questo processo di allontanamento dal proprio ego, fine precipuo dell’iniziazione gesuitica. Non mi soffermo sull’intreccio narrativo, rilevo solo che il film riesce a dare attraverso le accennate sottrazioni il senso di circolarità, di cattività, di prigione del duro esercizio per distaccarsi dal mondo. Invece, per la questione che mi interessa in questa sede, è di rilievo lo spazio, l’ambientazione: il film si svolge sulla magnifica isola di San Giorgio Maggiore, davanti San Marco a Venezia, esattamente dentro il monastero attiguo la chiesa. L’isola dalla quale si guarda verso il brulicare del Canal Grande: nell’isola isolati dentro il monastero. Nel monastero il luogo centrale è il largo corridoio dove affacciano le celle dei novizi inquadrato in una prospettiva perfetta che schiaccia ancor più le porticine delle celle. Sullo sfondo nell’amplio finestrone scorrono, un paio di volte, le sagome minacciose delle grandi navi da crociera. Nonostante questo doppio isolamento e la costruzione spaziale renda la situazione mistica, l’ambiente non è claustrofobico in quanto sono ridotte al minimo le scene all’interno delle celle, ma prospettive e speranze di aperture nei e dai chiostri dirigono gli sguardi dei novizi, autentica lingua del film.

Il partito gesuita e il Dio mai visto

Mi chiedo ora, come mai Francesco – il gesuita Bergoglio formato allora in un seminario di simile rigore- è capace di intendere il mondo meglio di chi non se ne è mai distaccato? Ritengo che l’itinerario mentis, il suo ma anche quello metaforico del film, suggerisca una formazione particolare dell’autocoscienza con l’autonomia morale segnata dalla meditazione sul silenzio. Il silenzio come assenza di discorso e potenzialità di dialogo, di incontro, e come vertigine della scelta. Così il ritirarsi dal mondo, come crisi e fine del soggetto-individuo, prospetta un mondo abitato potenzialmente di altri intercettabili dalle occasioni offerte all’azione. Questa è la radice politica di questa mistica gesuitica come possibile scelta dell’altro e di qui deriva la supremazia dell’organizzazione collettiva e della direzione. Per azzardare ora un’interpretazione dell’azione di Francesco direi che si muove con dietro un partito disciplinato, un’azione collettiva repubblicana da ridurre e rappresentare nei termini monarchici dell’istituzione universale del papato. Qui è il paradosso (repubblica\monarchia) nel quale è precipitato il voto principale delle Formula (la regola della Compagnia di Gesù) cioè la fedeltà al papa visto che ora il papa è gesuita. Repubblica che nella storia cattolica significa “Concilio” ed infatti Bergoglio ha aperto una fase di “bombardamento del quartier generale” ma Concilio è anche organizzazione e direzione del dibattito, non è insomma democrazia ridotta a “primarie”. Direzione, dunque, e c’è da chiedersi: perché il Francesco del XXI secolo è nato tra i gesuiti e non tra il pulviscolo situazionista dei francescani eredi nominali del poverello di Assisi? Forse per la gran cultura dell’ordine e anche per la capacità di sapere il moderno essendo stati in tutti i luoghi di espansione del colonialismo, presso le scaturigini del moderno; forti certo  per questa conoscenza ma soprattutto pronti alla prassi per il risultato del noviziato: il rigore morale, lo spirito di servizio, l’organizzazione centralistica. Solo “coltivandosi” comunitariamente ci si dispone alla direzione delle comunità. I gesuiti appaiono ora, con una indubbia stabilità nei secoli, l’ultimo partito serio, giacobino-leniniano e soprattutto gramsciano e per questo nel “gesuitismo”, nelle loro sottigliezze,  molti hanno tradizionalmente intravisto un certo realismo machiavelliano. Geniale  in proposito l’interpretazione di Antonio Gramsci, laddove (quaderno 11, XVIII pp1380-81) affrontando il problema della funzione unificatrice degli intellettuali e di come superare la distanza della loro cultura dal popolo afferma che “La forza delle religioni e specialmente della chiesa cattolica è consistita in ciò che esse sentono energicamente la necessità dell’unione dottrinale di tutta la massa<religiosa> e lottano perché gli strati intellettualmente superiori non si stacchino da quelli inferiori” e individua, poco più avanti in un passo celebre, la funzione di direzione de “I gesuiti sono stati indubbiamente i maggiori artefici di questo equilibrio e per conservarlo essi hanno impresso alla chiesa un movimento progressivo che tende a dare certe soddisfazioni alle esigenze della scienza e della filosofia, ma con ritmo così lento e metodico che le mutazioni non sono percepite dalla massa dei semplici , sebbene esse appaiano <rivoluzionarie> e demagogiche agli <integralisti>. Ora siamo ad un passaggio ulteriore: Bergoglio esce dal noviziato per annunciare un fatto storico che irrompe nell’agonia politica: l’annuncio del Dio “misericordioso”, un Dio che non si è mai visto, come dice con grande passione Raniero La Valle.

Disperazione e luce

Claudio Napoleoni, uno dei più grandi pensatori del novecento ancorché sommo economista, concludeva il suo travaglio intellettuale nella disperazione, per le sorti del genere umano corrotto dallo strapotere del capitalismo che andava disegnando i suoi attuali caratteri di “assolutezza” e riproponeva con Heidegger (al quale aveva dedicato l’attenzione più matura) la stessa paradossale speranza ateistica “Ormai solo un dio ci può salvare”. Proprio Raniero La Valle, che con Napoleoni dialogò sul punto, ebbe a rilevare come quell’auspicio fosse retto da un concetto pre-conciliare di Dio e dell’anima: un Dio lontano, “cattivo”, disumano, antiumano e per questo rieducatore autoritario degli uomini che hanno perso l’anima, sprofondata nella solitudine prodotta dalla corruzione del mondo.

La disperazione notturna è superata,  Andrea esce sul sagrato della splendida Basilica palladiana di San Giorgio, invaso dalla luce intensa del mattino. Primo piano: Sorride; progressivo carrello indietro: la figura intera al centro del sagrato; poi la camera si alza, in volo, vediamo solo ora l’intera isola, luminosa.

2 commenti per “Il sorriso di Andrea. Il noviziato del Dio di Bergoglio.

  1. raffaella
    4 Aprile 2015 at 12:14

    Il tuo bellissimo articolo mi ha ricordato immediatamente due immagini…quella rievocata da Mario Martone nel film MORTE DI UN MATEMATICO NAPOLETANO,in cui il protagonista ricorda (facendo un movimento con la mano)che tra parole e verità nn ci può essere collegamento… e quella dell’Innominato che aspetta l’alba miracolosa e immersa nel silenzio dopo una notte di disperazione…….
    In tutte e due queste scene (il silenzio domina nel film di Martone) c’è un silenzio “loquace” che, però, è il risultato del fragore del mondo vissuto pienamente dai due personaggi ricordati prima.

  2. Roberto Donini
    4 Aprile 2015 at 15:01

    Grazie cara Raffaella, anche dei tuoi accostamenti “nobili”. Occorre capire le strade attraverso cui si costruisce un’autonomia di giudizio e di azione, dal conformismo del mondo senza perderne il “fragore”, la parte vitale e irriducibile degli uomini!

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