La casa in ordine

George L Mosse definiva l’essenza borghese del totalitarismo: l’avere una bella casa in cui tutto è in ordine. Da attento storico del nazionalsocialismo egli individuava le cause del fallimento della cultura di Weimar, l’espressionismo, che pur partendo da una contestazione corretta della società borghese difettavano di capacità analitiche sufficienti. L’avventura espressionistica mostra come i movimenti di rivolta “creativa” contro lo “status quo” siano destinati ad esserne fagocitati in quanto privi di un retroterra che riesca a porsi il problema delle cause profonde di certi meccanismi sociali.
Qui dobbiamo comprendere la natura composita del totalitarismo che ha preso il nome di nazionalsocialismo: il richiamo alla natura e l’eroismo tragico del volkish sono in se molto diversi dalla concezione totalitaria, nella natura troviamo bellezza, ma anche caos, imperfezione, nell’eroismo tratti egualitari si alternano a tratti elitari (il volkish si collega di più ad una c.d. “rivoluzione conservatrice” piuttosto che al nazionalsocialismo). Il totalitarismo invece è come osserva Mosse: “una bella casa in ordine” che è un idea di derivazione piccolo borghese, l’ossessione per ogni cosa al suo posto era tipica dei nazionalsocialisti.
Quest’idea di derivazione borghese è in realtà una sorta di parodia, o meglio una restrizione della visione della modernità. E’ la modernità che ha appunto pensato se stessa con la rivoluzione scientifica, l’illuminismo e la rivoluzione industriale. La modernità grande organizzatrice tanto del campo della natura che di quello della cultura. All’ottocento tedesco non è affatto estranea l’idea del Weltbild, della conoscenza di tutti i fenomeni in un qualunque posto in un qualunque istante, idea che lo stesso Einstein teneva nella massima considerazione. Dietro la concezione borghese fa capolino un’interpretazione scientista del mondo, infatti il nazionalsocialismo non intendeva affatto combattere la modernità, ma integrarvisi, integrarla nella propria visione totale. Ecco perché il nazionalsocialismo è un miscuglio di due diversi fattori tenuti insieme da un terzo che è il primato della politica. Vi è un fattore egualitario, razionale, organizzatore, che deriva dall’idea della “casa in ordine”, fattore moderno che implica ben più di un compromesso con la modernità. Come vi è l’influenza del fattore “volkish”: l’amore per la natura incontaminata, l’egualitarismo “da trincea”, il Männerbund, la campagna opposta alla città corruttrice. Prelevando questi tratti “plebei” del volkish, e tenendosi alla larga dalla nobilitazione dell’eroe che avrebbe comportato una società elitaria e sofisticata, il nazionalsocialismo attrasse milioni di persone blandendole con un ideale egualitario fondato sulla razza e sul ristretto sentimento borghese della “casa in ordine”. Questi due fattori disarmonici furono uniti col principio del primato della politica: tutto ciò che si faceva doveva avere un significato politico, l’interpretazione dei gesti e degli atti era compito dell'”ufficiale politico”, in maniera non dissimile da altri totalitarismi.
Possiamo seguire questa evoluzione anche nel campo del sapere, degli intellettuali. Nella transizione tra ottocento e novecento, l’idea Humboltiana di Università va man mano in crisi. Col crescere delle conoscenze esse devono essere organizzate in modo razionale. Nelle città, nelle capitali, nascono gli Istituti monocattedra, la specializzazione diventa una scelta sempre più normale per gli studiosi. La scienza si defila man mano dal discorso pubblico, che rimane nelle mani della politica. L’Istituto diventa un luogo inaccessibile dove si fanno esperimenti misteriosi. E’ inevitabile che lo scienziato resti preda anche lui del primato della politica. Egli diviene l’esperto, lo specialista, che si chiama quando c’è ne bisogno (in caso di disastri spesso), mentre per l’ordinaria amministrazione basta quel poco di volano tecnologico che passa dai centri di ricerca, alle grandi imprese e da queste allo stato, di solito quando c’è una fase d’innovazione e non basta la semplice gestione. D’altra parte quando l'”elettrificazione” è compiuta c’è solo da fare della manutenzione.
Anche qui l’idea ristretta della “casa in ordine” diventa modello d’organizzazione, non c’è confronto ne assimilazione di idee, anzi la politica non assimila nulla salvo la continuazione di se stessa come centro del potere. L’intellettuale organico diventa l’esperto da congedare appena il discorso mette in discussione lo “status quo”. Le masse restano nell’ignoranza, che ha appunto più di un aspetto “volkish”. S’insegue il fenomeno mediatico, il paranormale, il feticismo del dolore, il “naturale” in contrapposizione all'”articificiale” come se fosse possibile fare delle distinzioni, tracciare confini netti. Impazza molta “pseudo”-scienza e si assiste ad un ritorno di forme di razzismo elementare. Ma è conseguenza ovvia del “tradimento degli intellettuali”: dove sono costoro, negli Istituti a studiare quella piccola branca del sapere che coltivano come il proprio riservato orticello (e guai a chi lo tocca)? Lasciando il campo ai “parvenu” mediatici, agli pseudo-scienziati, agli arruffa-popolo e così via.
Si capisce che parlo ormai dell’oggi, ma poco mi sembra cambiato. Potrei dire, ancora con Mosse, come il 68 sia stato ancora un momento “espressionista” in cui si è dissolta, annacquata nell’intellettualismo molta dell’identità di sinistra che s’era evoluta allontanandosi dal ramo morto del “socialismo reale”. Non viviamo in un mondo totalitario, anche se dal 68 ad oggi la democrazia rappresentativa è stata progressivamente esclusa dalle decisioni di potere. Viviamo sempre tuttavia un’idea di modernità “ristretta” in cui le possibilità che potrebbero nascere dal pensare veramente in modo diverso potrebbero portare ad un progresso differente. Anche la sinistra parlamentare si è arresa al modello unico di un piatto dominio del neoliberismo.
Sembra che siamo sempre alla ricerca di un “nuovo ordine” sia esso mondiale, europeo, nazionale, comunale e persino familiare. Le riforme sono un tormento costante. L’intervento dello stato, pur con tutte le “riduzioni” che questo ha dovuto subire, non è mai stato percepito come così forte, pervasivo, invasivo su ogni individuo. E non parlo qui di sostenibilità o tantomeno di decrescita perché tutto è a priori ancora da discutere, incidentalmente il fatto che non vi può essere uno sviluppo infinito non è un disastro se lo si affronta correttamente. Sarebbe più importante un progresso etico, ma vanno capite le interrelazioni: l’etica non è mai indipendente dalla forma che assume la società, dalla politica, dall’economia.
Chi legge può chiedersi perché parlare della Germania? La risposta è molto semplice: viviamo in una Europa continente ormai dominato dalla Germania e da un modello di Europa che è a trazione tedesca. Il “continentale” si sta prendendo una certa rivincita sull'”atlantico” con buona pace delle illusioni di chi pensava ad una civiltà occidentale omogenea.

Ma possiamo oggi permetterci di essere ossessionati come nel passato dal mito della “casa in ordine”? Sarebbe l’ora di liberarsi di questa ossessione! Già perché il problema è che la casa “non è in ordine”. Bisogna comprendere che negli oscuri “Istituti”, l’idea del Weltbild è tramontata da tempo, la scienza ci narra della possibilità che la fuori ci sia un mondo complesso e perennemente fuori dall’equilibrio. L’ordine è un’emergenza spontanea in un mare di disordine. Posto che la fisica classica è stata rivoluzionata in termini molto diversi da quelli ai quali pensava dovesse ispirarsi Einstein dalle idee quantistiche (su tutto l’idea sconvolgente di un “Dio che gioca ai dadi”), la nostra realtà ordinaria macroscopica è in effetti una contesa tra individui e corpi sociali che si accaparrano le risorse per riprodursi (non solo in senso biologico). Strutture ordinate emergono dal disordine di base e vanno in competizione tra loro; siano esse stati, classi, o gruppi più o meno grandi. La variazione continua di soglie, condizioni, numeri, molte volte sconosciuti, fanno si che l’evoluzione sia complessa, articolata, caotica e non prevedibile. L’evoluzione stessa è preda di forze opposte, la spinta a conservare la specie in contrasto con la spinta a conservare l’individuo qui e ora, senza considerare la possibilità del ventaglio di scelte che ci si pone che possono portare fortuna o disgrazia. L’ordine si riduce a qualcosa che “dura nel tempo”, la “longue duree”, che però non è mai immutabile, e non è affatto “ordinato” come l’ideale borghese vorrebbe, la “tradizione” in sostanza non esiste va re-inventata di volta in volta, l’ordine è percepibile solo come “idealtipo”, come non esiste il tempo lineare del progresso.
Le sirene totalitarie invece continuano a cantare la bellezza dell’ordine. Il che si traduce all’atto pratico in un’ossessione normativa: un proliferare di norme per far sì che anche l'”anormale”, nel senso di “non normabile”, diventi normato. Ma questa è illusione.


1 commento per “La casa in ordine

  1. fabriziaccio
    5 Maggio 2014 at 10:19

    Bell’articolo.
    Profondità e leggerezza.

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