La didattica a distanza

L’esperienza della DaD in quest’anno scolastico volge al termine, l’anno che verrà è un anno di incognite didattiche e non solo. La nazione intera dovrebbe interrogarsi su questa esperienza, poiché la scuola trasmette modelli relazionali oltre che conoscenze, queste ultime, nell’attuale assetto, sono state sostituite dalle competenze, ovvero dallo logica del fare e dell’usare. Ecco questo è già un modello, una modalità di relazione: il mondo con i suoi oggetti dev’essere pronto all’uso, oggettivabile. La nuova prescrizione è trasformare ogni conoscenza in attività che produca risultati, azioni volte, in definitiva, al plusvalore. Si va a scuola per imparare a diventare imprenditori di sè. Tale attività implica una distanza, l’altro è sempre un mezzo  per la propria carriera o potenziale consumatore dei prodotti “dell’imprenditore”. Tale stile è rafforzato dalle parole, il linguaggio ci parla, le parole ci formano e ci dispongono ad accogliere il mondo in una certa modalità prospettica. Le parole che circolano nella scuola come nella totalità della struttura sociale sono le parole del capitale. A scuola la comunità scolastica è perennemente erosa dalla violenza delle parole: scuola azienda, crediti, debiti, offerta formativa, piano di recupero ecc… nulla sfugge alla pervasività del capitale che attraverso le parole decostruisce l’umanesimo per sostituirlo con l’imperio della manipolazione. Nel linguaggio fenomenologico di Maurice Merleau Ponty l’essere umano si distingue dagli oggetti per la spazialità di situazione, mentre gli oggetti sono iscritti nella spazialità di posizione. Didatticismo e linguaggio assottigliano la differenza tra spazialità di posizione e di situazione. L’abitudine al calcolo, alla manipolazione incentiva la relazione di sussunzione, mediante la quale il soggetto impara ad usare l’altro percepito come oggetto. Tale percezione investe anche il manipolatore, il quale si autopercepisce come ente da cui estrarre “i suoi capitali” da immettere sul mercato, al quale ci si deve adattare. Le passioni tristi sono, in tal modo la grigia ordinarietà del capitalismo assoluto, sciolto da ogni vincolo, nella felice definizione di Costanzo Preve.

 

Un mondo aptico

Benjamin nella sua profetica capacità di pensare il fondamento delle tecnologie utilizzava il termine aptico[1], ovvero con le tecnologie alleate del capitale, si afferma un nuovo tipo di umanità, nella quale prevale la manipolazione relazionale. Le tecnologie pongono tra il soggetto e l’altro il mezzo con cui l’alterità è oggetto di manipolazione e dunque è posta ad una distanza emotiva che necrotizza la relazione. Si assiste all’emergere di un nuovo fenomeno assolutamente nuovo nella storia dell’umanità: la riduzione dell’altro ad ente da misurare, oggettivare mediante una spazialità e temporalità imposta. Tale deriva anticomunitaria ha portato nella storia a tragedie ben note: gli olocausti hanno tra i loro fondamenti l’affermarsi di tali logiche della  distanza, mediante tecnologie, che rendono possibile l’impossibile.

 

L’antimetafisico

La Metafisica non solo afferma fondamenti veritativi e di senso, ma specialmente permette alla quantità di disporsi all’interno della qualità. Tale binomio è tramontato con la fine della metafisica. La Metafisica descrive nell’ottica fenomenologica l’esperienza vissuta, mediante di essa la persona scopre l’altro, si relaziona all’alterità riconoscendo con la differenza la similitudine, tale realtà si configura mediante la condivisione di spazi e tempi direttamente vissuti[1]:

La metafisica non è una costruzione di concetti con i quali cercheremmo di rendere meno sensibili i nostri paradossi; ma è l’esperienza che ne facciamo in ogni situazione della storia personale e collettiva, e delle azioni che, assumendole, le trasformano in ragione. E’ un’interrogazione tale da non concepire una risposta che l’annulli, ma solo azioni risolute che la riportino più in là”.

 Le idee, le interrogazioni, le personalità si formano all’interno di relazioni tra le persone e negli ambienti. Si immagini, ora, la DaD la quale, già nel suo acronimo afferma la sua verità: didattica a distanza, distanza da cosa? Naturalmente dalla relazione. Il rapporto è sostituito dal mezzo, da una cornice nella quale scorrono fotogrammi in velocità che in modo sincretico docente ed alunno possono manipolare a livello visivo o a livello audio, l’altro è solo un’immagine a disposizione su cui si può agire apticamente. La domanda che emerge è: quali pensieri, idee o relazioni si possono strutturare su questo fondamento virtuale?

Si strutturano personalità con l’illusione di essere creature prometeiche che hanno il mondo a “portata di mano”.

La DaD arriva a fine di un percorso di distruzione delle relazioni e dell’umanesimo metafisico. Diviene necessario per orientarsi sul presente e per ipotizzare il futuro capire il percorso che ci ha portati alla DaD, per far fronte ad essa e neutralizzarla. L’uso del mezzo macchinale forma personalità che si confondono con il mezzo, fino ad integrarsi con esso, ovvero si sviluppano personalità con comportamenti macchinali. L’intento è di organizzare i popoli secondo schemi macchinali in modo che l’unità sia data dall’uso del pensiero computazionale organico al mercato globale[2]”:

La macchina come maestra. — La macchina insegna, attraverso se stessa, l’interagire di masse umane in azioni in cui ciascuno deve fare una sola cosa: essa fornisce il modello dell’organizzazione partitica e della condotta bellica. Non insegna viceversa la padronanza individuale: di molti fa una macchina, e di ogni individuo uno strumento per un unico scopo. Il suo effetto più generale è insegnare il vantaggio della centralizzazione”.

E’ ora di porci delle domande, ora che la verità lapalissiana è dinanzi a noi ed invoca una risposta possibilmente corale.

 

[1] Aptico dal greco ἁπτικός (haptikόs → predisposto ad essere toccato ma anche capacità di venire in contatto con qualcosa) derivato da ἅπτω (haptόs → tocco, esprimendo un’azione, ma anche palpabile) associato a -ικός (-ikós → suffisso sostantivante): può essere definita come la capacità di mutuo contatto tra il sé e l’altro da sé.

[2] Maurice Merleau Ponty Senso e non senso il Saggiatore Milano pag. 116

[3] Nietzsche Umano troppo umano volume II aforisma 218

Beata la scuola che non ha bisogno di eroi | Radio Onda Rossa

Fonte foto: Radio Onda Rossa (da Google)

10 commenti per “La didattica a distanza

  1. Giacinto Lombardi
    29 maggio 2020 at 17:49

    Era la seconda metà degli Ottanta quando credevo ancora che il cuore dell’educazione fosse la relazione educativa, fosse un rapporto interattivo, circolare che mettesse in gioco la realtà esistenziale degli agenti la relazione. Invece arrivò la doccia fredda, ora al centro era il progetto educativo, un progetto che dal Ministero arrivava alla Preside, dalla Preside agli insegnanti e dagli insegnanti alla classe, le persone scompaiono, quello che contava era il risultato, misurabile, verificabile e valutabile. Con quali strumenti poi? La ridicola segmentazione del sapere tra competenze, abilità e conoscenze. Confini che non esistono nella mente dello studente ma solo nell’idiozia degli americani che lin hanno inventati e la dabbenaggine degli italiani che hanno rinnegato la loro tradizione umanista e accolto il frammentarismo pragmatico contrario alla nostra forma mentis. Ora con la didattica distante, ove regna sovrano lo strumento, siamo al compimento di quanto iniziato negli anni ottanta, in seguito dal cellulare uscirà un ologramma e potremo finalmente chiudere le scuole, licenziare i bidelli e risparmiare il riscaldamento, se le mamme si lamentano gli daranno uno stipendio, un sussidio e il gioco è fatto, la lezione la faranno al ministero e gli insegnanti si occuperanno di valutazione e controllo. L’utopia distopica è alle porte con grande risparmio di auto e benzina anche per gli insegnanti.

  2. Alessandro
    30 maggio 2020 at 12:01

    Sia l’articolo che il commento sopra colgono nel segno. Ovviamente bisogna poi contestualizzare: la DAD nasce per ragioni di forza maggiore e ha rappresentato un modo pieno di limiti per tenere un minimo i contatti tra docenti e alunni-studenti. Stop.
    Nell’articolo ci si occupa di aspetti didattici, del tramonto dei contenuti a vantaggio di formule vuote ma trendy,ecc., ma c’è poi anche l’ambito comportamentale-relazionale su cui si dovrebbe aprire un altro dibattito, ancor più decisivo. Dal punto di vista pedagogico la scuola brancola nel buio, a rimorchio del laissez faire o peggio ancora della melassa politicamente corretta che hanno caratterizzato l’ultimo ventennio- trentennio e quando applichi queste “ricette” a un mondo in formazione, i risultati sono inevitabilmente disastrosi. Sui responsabili non mi dilungo, ma certamente prima ancora che tra i docenti vanno cercati in alto. Basti pensare solo a ministri dell’istruzione come la Fedeli o Profumo, degno del compare che lì l’aveva collocato, al cui cospetto anche l’Azzolina pare un gigante.
    Se il coronavirus ha scoperchiato il vaso di pandora della sanità italiana,risvolto positivo della faccenda che andrebbe colto e su cui si dovrebbe riflettere se ne avessimo le capacità, non c’è all’orizzonte nessun coronavirus che possa fare altrettanto con la scuola, che continuerà la sua parabola discendente, da moribonda, nell’indifferenza quasi generale.

  3. Enza
    30 maggio 2020 at 17:40

    Ottima riflessione. Condivido tutto. Purtroppo, i rischi insiti nella Dad, non sono percepiti da molti colleghi, obbedienti esecutori, anche pedissequi rispetto a ciò che facevano in classe, preoccupati solo di non perdere il posto. Così , negli anni scorsi, quando si abbattevano le varie riforme sulla scuola, quale la 107 renziana, a parte la scomparsa ormai acclararata dei sindacati ( sacche di resistenza solo nei sindacati di base ), pochi docenti si compattavano per opporsi, dire no, mettersi in una posizione critica, avanzare controproposte ai diktat di commissioni di esperti che nelle aule mai c’erano stati o se le avevano praticate, ne avevano lontani e vaghi ricordi. La partita è molto grossa , abbracciando una molteplicità di aspetti e di implicazioni di portata ” sconvolgente”.
    So che si sono costituiti, per ora, gruppi virtuali di genitori assolutamente contrari alla Dad. Il tam tam corre sui social ma, in concreto, non mi risulta che ci siano forme efficaci e clamorose di protesta ,a mio parere , da attuare massicciamente da parte dei docenti, degli studenti, dei genitori sin d’ora. Occorre manifestare un forte e deciso dissenso per scongiurare quanto va configurandosi come una ghiotta occasione per annientare la Scuola Pubblica ( tagli feroci inevitabili) , per svalutare il ruolo degli insegnanti ( hoc est in votis per ragioni varie ) , per sfornare giovani meno preparati, più deboli, isolati, docili ai desiderata del sistema. Ho l’impressione che si persegua la finalità di un semenzaio di futuri schiavi “digitalizzati”, con sempre minori diritti a fronte di un maggior carico di doveri per il raggiungimento di obiettivi aziendali.
    Sono scenari che mettono i brividi e non affatto lontani dal momento che lo smart working è stato realizzato con pieno successo durante il lockdown. Si tratta ora solo di normarlo a svantaggio dei lavoratori. Elementare, Watson!

  4. ndr60
    31 maggio 2020 at 17:51

    Il capitalismo assoluto trasforma tutto in merce, quindi era prevedibile che anche la scuola fosse coinvolta nel processo. La DaD sarà trasformata in filmati-pillole da dispensare alla bisogna, da docenti appositamente addestrati a ciò e senza nessuna relazione con gli alunni, e saranno messi in concorrenza con docenti anche dall’altra parte del mondo, purché smartphone-muniti.
    E’ il progresso, bellezza!

    • Fabrizio Marchi
      31 maggio 2020 at 20:13

      Adesso però sarei più cauto…La DaD è quello che è e, per quanto mi riguarda, condivido quanto scritto nell’articolo, però penso anche che sia stata una soluzione temporanea e che dopo l’estate si tornerà regolarmente a scuola, a meno che non dovesse esserci una seconda ondata del virus (ma non credo…).
      Dopo di che, sullo smart working è necessario aprire una riflessione perché è una questione a luci e ombre, diciamo così. Moltissimi lavoratori, per lo più impiegati pendolari che lavorano a decine di km. di distanza dalla propria abitazione, che passano dalle due alle quattro ore in mezzo al traffico ogni giorno e che devono alzarsi tutte le mattine alle 5 e mezza e che potrebbero tranquillamente svolgere il loro lavoro da casa, è ovvio e del tutto comprensibile che preferiscano questa seconda soluzione, con risparmio di tempo, benzina, soldi e salute.
      Mi riferisco ovviamente al lavoro impiegatizio, amministrativo, perché è ovvio che quello in fabbrica o comunque manuale deve essere svolto in loco. Stesso discorso per la scuola anche se per ragioni diverse. Però, a mio parere, consentire a tante persone di lavorare a casa sarebbe vantaggioso e utile non solo per chi lavora, ma anche per la circolazione, la mobilità, il traffico, l’ambiente, l’inquinamento, lo stress complessivo.
      Poi ci sono anche i risvolti negativi, rappresentati da una sempre maggiore frammentazione del lavoro, da un sempre maggior isolamento, da una minore socialità, aggregazione, solidarietà (potenziale) e quindi da un indebolimento complessivo e ulteriore di un mondo del lavoro già indebolito, diviso, e frammentato.
      Quindi, come vediamo, luci e ombre…Questione complessa che ha varie sfaccettature…

      • Enza
        1 giugno 2020 at 11:00

        Sulla DaD, credo che convergiamo con le tesi dell’articolo. Non mi dilungo oltre. Piuttosto vorrei fare delle precisazioni riguardo alla ripresa dell’anno scolastico. Ancora non si hanno certezze ma ci sono ipotesi e proposte al vaglio. Tra queste, si pensa ad una didattica in presenza per i più piccoli ( le motivazioni sono abbastanza scontate) e ad una mista per gli studenti più grandi. Non è dato sapere se per più grandi si intendano anche i ragazzini delle scuole medie. Se fossero compresi anche i preadolescenti, avrei grosse riserve. Riserve che mantengo altresì, sia pure attenuate, per gli adolescenti dai 14 ai 18 anni. Al netto della confusione che regna sovrana ( di due giorni fa un accorato appello dei direttori didattici per indicazioni concrete sul come fare a gestire contemporaneamente sicurezza sanitaria e didattica in presenza, in aule in cui si arriva anche a 28 bambini e in edifici assolutamente inadeguati per i cosiddetti percorsi a senso unico di entrata ed uscita ,senza contare il problema dei servizi igienici e della scarsità di personale quali i collaboratori scolastici ) , evidente che attuare la didattica mista comporterebbe problemi organizzativi e di orario non indifferenti. Insegnando nelle superiori, garantisco che ci sono classi che contano fino a 32 alunni, il che rende più complicata la turnazione tra presenza e distanza. Quanti gruppi si dovrebbero fare ? Non più due, ipoteticamente di dieci studenti per volta per il distanziamento, ma tre ! Ammesso che gli insegnanti siano tutti così bravi e addestrati a gestire le tecnologie ( questo aspetto non è ben messo in luce in molti degli interventi, per carità pregevoli, che ho letto) e che le scuole siano attrezzate per reggere connessioni simultanee di centinaia di “utenti”, resta irrisolto il problema dell’inclusione, soprattutto per i disabili e i ragazzi più deboli, fragili, con problematiche relazionali, familiari…A costoro, toccherebbe stare in mezzo agli altri un giorno sì e uno no. Insomma avremmo un’anatra zoppa.
        La questione è complessa. Come direbbe Kubrick, non ci sono risposte semplici. E comunque, è giusto sottolineare che, come per la sanità, in questa emergenza, per la scuola, si paga lo scotto di anni di tagli e di incuria.
        Per il lavoro in remoto, concordo : luci e ombre. Purchè non prevalgono le seconde a danno dei lavoratori.

        • Fabrizio Marchi
          1 giugno 2020 at 12:35

          Il mio relativo ottimismo nasce dal fatto che secondo me l’emergenza Covid sta finendo e ce la stiamo lasciando alle spalle. Poi è anche probabile che per alcuni mesi si continuerà a tenere l’allerta alta, anche perché dopo un periodo di lockdown totale e anche, diciamo la verità, di un certo terrorismo psicologico, dire “sciogliete le righe, è tutto a posto” da un momento all’altro, non è possibile. Equivarrebbe all’ammissione di un errore di valutazione enorme d parte del governo e del comitato scientifico…
          Non sono un esperto, ovviamente, però i numeri li so leggere anche io e soprattutto ho degli amici medici (cardiologi) che lavorano proprio in strutture ospedaliere adibite ai malati di covid. Ripeto, mi sbaglierò, ma credo che ormai il covid lo abbiamo alle spalle. Al massimo potranno esserci dei focolai limitati comunque facilmente controllabili.
          Dopo di che, nel momento in cui tutti sono tornati o stanno tornando a lavorare e tutte le attività(compresi bar, ristoranti ecc.) riaprono, non riuscirei a capire perché le scuole dovrebbero restare chiuse…

  5. Enza
    1 giugno 2020 at 19:18

    Gentile Fabrizio, io non sono ottimista riguardo all’abolizione della DaD. La risposta, se vogliamo, si trova nelle sue stesse considerazioni.
    Il covid è alle spalle, ma non il covidismo o meglio la covidocrazia. Per avere affermato una cosa del genere, un primario infettivologo del San Raffaele è stato ” sbranato”.
    Le élites hanno trovato la gallina dalle uova d’oro. Non se la lasceranno sfuggire. Intelligenti pauca.
    Cordiali saluti

    • Fabrizio Marchi
      1 giugno 2020 at 23:11

      Su questo sono d’accordo con lei, però penso anche che i numeri e i fatti (morti, nuovi contagi ecc. ) saranno determinanti e più di tanto non potranno forzare la mano. Il primario del San Raffaele, è stato sbranato perché ha anticipato troppo i tempi. E’ ovvio che misure di contenimento di quella portata non possono essere abbandonate da un momento all’altro come se nulla fosse (a parte il fatto che ormai la gente gira tranquillamente ovunque…) e quindi ci vorrà una certa gradualità. Ma da qui a settembre ci sono tre mesi. Se non ci saranno sorprese secondo me si tornerà alla normalità. Consideri che se da una parte c’è la “covidocrazia”, come lei stessa l’ha definita, dall’altra c’è un’altra fetta rilevante di borghesia che vuole tornare alla “normalità”. Tenere chiuse le scuole non avrebbe molto senso (gli stipendi li devono pagare lo stesso…). Può darsi che ci sarà un altalenarsi per qualche tempo ma quando il covid si esaurirà e a mio parere ciò avverrò fra breve, sarà difficile convincere milioni di studenti con relativi genitori a restare a casa….I docenti sono l’ultimo dei problemi essendo ricattabili. Del resto ormai gli insegnanti non contano più nulla (insegno anche io) ma questo è un altro discorso ancora…

  6. Enza
    24 giugno 2020 at 12:49

    Gentile Fabrizio, dopo la pubblicazione della bozza del Piano per la riapertura delle scuole a settembre, è ancora sicuro che si ritornerà alla normalità ( che , riprendendo un mantra famoso, è il vero problema ) ?
    Per fortuna, pare che, a fronte del caos organizzato annunciato dai vertici Miur, ci siano già netti segnali di dissenso da parte dei dirigenti, delle famiglie, dei docenti. Oh, c’è vita su Marte!

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