La libertà di Rosa Luxemburg

Rosa Luxemburg si è confrontata liberamente con Marx, non ha idolatrato il Capitale al punto da farne una laica Bibbia da cui attingere la verità. Il Capitale per Rosa Luxemburg è un classico fondamentale del pensiero comunista,  un classico è fonte di ispirazione e  di domande che il lettore deve “attraversare”  in modo dialettico e critico. Il compito del filosofo e del pensatore politico non è di imbalsamare il pensiero, ma è la capacità di saggiarne la problematicità e le potenzialità al fine di trascenderlo. Pensare è un corpo a corpo tra pensatori, tra lettore ed autore del testo, se ne esce vincitori solo se il confronto ha implicato la capacità di sentire la presenza carnale del concetto da sublimare in nuove forme.

Non si superano o dimenticano i classici, ma essi restano con noi solo se diventano fonte plastica per nuovi concetti. Rosa Luxemburg ha dimostrato, contrariamente ai marxisti del suo tempo, di non temere il venerabile Marx, ma lo ha dialettizzato, in tal modo ha individuato limiti e possibilità inespresse del cantiere Marx. Un vero intellettuale non teme di assumere posizioni non organiche alle istituzioni o al partito, ma ha il coraggio di vivere la solitudine del concetto, non è una solitudine subita, ma voluta e ricercata. La creatività filosofica è disallineamento dalle certezze del “mondo”. La filosofia  è libertà che richiede non solo competenze e contenuti, ma specialmente carattere e passione per la verità. Rosa Luxemburg  ha testimoniato  la passione per la verità e il bene fino alla morte.

Lo studio sul  Libro secondo del Capitale di Marx sulla circolazione e accumulo del denaro, sangue e dannazione del capitalismo, pone punti di criticità sulle sue fonti. Rosa Luxemburg non si limita ad un semplice commento, ma cerca la soluzione al problema lasciato insoluto. Il Capitale di Marx è un immenso cantiere e laboratorio che la rivoluzionaria polacca non idolatra, per cui si impegna a sciogliere i nodi e a riconoscerli. Tale atteggiamento non ridimensiona il pensiero marxiano, ma lo riporta alla sua grandezza umana la quale necessita dell’opera di uomini e donne per continuarne la ricerca, perfezionarla e raffrontarsi con i punti di debolezza:

“L’analisi di Marx soffre fin dall’inizio del tentativo di rispondere al problema per via traversa della ricerca di possibili <<fonti di denaro>>. Ora, quello di cui in realtà si tratta è di  trovare non una fonte di denaro per pagare le merci, ma una richiesta effettiva di queste, una loro possibilità di collocamento: quanto al denaro come mezzo di circolazione, dobbiamo ammettere, nell’analisi del processo della riproduzione visto nel suo insieme, che la società capitalistica ne abbia sempre a disposizione la quantità al suo processo circolatorio o, quanto meno, possa sempre  trovargli dei surrogati[1]”.

                          

Genealogia dell’accumulazione del denaro

Marx si è concentrato sull’accumulazione capitalistica ottenuta con lo sfruttamento dei lavoratori; per Rosa Luxemburg l’analisi marxiana è parziale poiché il processo di accumulazione del capitale è, anche, il risultato dell’azione dello sfruttamento intensivo e distruttivo delle colonie e non solo. Il capitale è l’effetto della prassi di destabilizzazione ed annichilimento delle economie non capitalistiche. Effetto e causa, mezzo e fine coincidono nell’azione del capitale che si autofonda, per cui è mezzo con le relative strategie di accumulo ma anche causa, è mosso all’azione dalle stesse strategie di accumulo. In esso tutto è oscuro e minaccioso fino a confondere e a  omologare la razionalità con i suoi significati e con le sue distinzioni senza le quali la razionalità si ribalta in irrazionalità. È un punto senza profondità il modo di produzione capitalistico, non ha fondamento assiologico e metafisico, per cui l’accumulo è causa e mezzo dell’azione  in funzione di un infinito accumulo. Razionalità e irrazionalità sono drammaticamente sincretiche.

Rosa Luxemburg con l’estensione dell’analisi sull’accumulazione dimostra in modo incontrovertibile la natura distruttiva del modo di produzione capitalistico, il quale per la sua illimitata espansione deve abbattere ogni economia altra per convertirla al capitalismo e inglobarla all’interno del modo di produzione capitalistico per estrarne plusvalore:

“L’accumulazione capitalistica presa nel suo insieme, come concreto processo storico, ha dunque due lati diversi. Il primo si compie nei luoghi di produzione del plusvalore –  la fabbrica, la miniera, l’azienda agricola­­ – e sul mercato (…). L’altro aspetto dell’accumulazione del capitale ha per arena la scena mondiale, per protagonisti il capitale e le forme di produzione non – capitalistiche. Dominano qui come metodi la politica coloniale, il sistema dei prestiti internazionali, la politica delle sfere di interesse, le guerre[1]”.

L’economia naturale è finalizzata al consumo, è economia secondo il  significato etimologico della parola, ovvero è amministrazione e soddisfazione dei bisogni della casa. Il capitalismo è crematistico, per cui già ai suoi esordi agisce per sfruttare e assimilare ogni economia naturale: nulla resta intatto al passaggio del modo di produzione capitalistico, il quale annienta le resistenze per poterle assimilare nel sistema capitale e convertirle in PIL.

L’aumento della circolazione e dell’accumulazione di denaro  è il risultato della “natura” del capitale. Rosa Luxemburg pone in tensione la dinamica dell’accumulazione del capitale con la critica qualitativa su di esso: il modo di produzione capitalistico ovunque agisce distrugge le economie naturali con lo sfruttamento, non vi è emancipazione o libertà, ma solo un’immensa pianificazione volta ad abbattere ogni resistenza al capitale:

“L’economia naturale oppone dunque alle esigenze, sotto tutti gli  aspetti, rigide barriere. Perciò il capitalismo conduce sempre e ovunque una preventiva campagna di annientamento contro l’economia naturale in qualsivoglia forma storica gli si presenta: contro l’economia schiavista, contro il feudalesimo, contro  il comunismo primitivo, contro l’economia contadina patriarcale[2]”.

 

Sfruttamento

Gli assimilati al capitalismo sono doppiamente sfruttati: la loro forza lavoro è messa al servizio del grande capitale, nello stesso tempo divengono consumatori del sovraprodotto del capitale. Sono sfruttati come lavoratori e come consumatori. Il modo di produzione capitalistico li priva dell’autonomia che conservavano nell’economia naturale:

“Il metodo violento è qui conseguenza diretta dell’urto fra il capitalismo e le formazioni ad economia naturale che oppongono una barriera alla sua accumulazione. Il capitale non può fare a meno dei loro mezzi di produzione e delle loro forze-lavoro, come non può fare a meno della loro domanda del suo sovraprodotto. Ma per sottrar loro mezzi di produzione e forze-lavoro, per trasformarle in acquirenti di merci, esso tende ad uno sforzo cosciente e sistematico ad annientarle come formazioni sociali autonome[3]”.

Sono innumerevoli gli “esempi storici” riportati da Rosa Luxemburg: il capitale agisce sempre nello stesso modo, a prescindere dalla nazionalità, esso è per essenza e struttura prassi di annientamento per l’accumulazione del capitale da reinvestire, in una ripetizione ossessiva e compulsiva, è una perversa crematistica circolare, la quale deve agire con intensità su ogni punto spaziale e temporale per trasformarlo in denaro con un violento processo di astrazione:

“In realtà, fu l’Inghilterra a creare artificialmente a spese  dei secolari diritti di proprietà delle comunità contadine  un’aristocrazia terriera, per poi, dietro le quinte, proteggere i contadini contro questi oppressori e trasferire in mani inglesi la <<terra illegalmente usurpata>>.

Così, in breve tempo, nacque in India la grande proprietà fondiaria, mentre su enormi estensioni i contadini erano trasformati in una massa impoverita e proletarizzata di piccoli affittuari con canoni di affitto a breve  termine[4]”.

Il capitale privatizza ed atomizza, al punto che lo Stato interviene laddove l’introduzione “libera” della proprietà privata è stata osteggiata dalle comunità locali come in Algeria. Lo Stato “super partes” in realtà è lo strumento dei capitalisti con cui privatizzare prima ancora che la terra la forma mentis; ovunque agisca, in patria o nelle colonie, il capitalismo impone la sua Rivoluzione copernicana, deve privatizzare la prassi della vita, deve atomizzare, dividere e rappresentare come progresso l’individualismo proprietario, in realtà è solo “ideologia” e speculazione. Nei paesi colonizzati, ancor più fortemente che in patria, il grande capitale mostra e realizza in toto la sua verità: nessun limite etico e giuridico reale vi dev’essere all’accumulo del capitale:

“Ma il fallimento del colpo di forza non doveva farsi attendere a lungo. La politica della Terza Repubblica naufragò contro la difficoltà di introdurre di colpo la proprietà privata borghese nelle grandi comunità familiari a base comunista, cioè contro lo stesso scoglio di fronte al quale s’era arenata  la politica del Secondo Impero. (..). Ma lo scopo di eliminare il comunismo delle grandi famiglie non era perciò raggiunto. L’unico risultato tangibile realizzato fu una furibonda speculazione  sui terreni, il dilagare dell’usura, la rovina economica delle popolazioni native.

Il fiasco dell’introduzione forzata della proprietà privata della terra in Algeria condusse più tardi ad un nuovo esperimento. Sebbene già nel 1890 il governatorato generale dell’Algeria avesse insediato una commissione che vagliò e condannò le leggi del 1873 e 1887, occorsero altri sette anni prima che i legislatori della Senna si decidessero ad una riforma nell’interesse del paese rovinato. La nuova svolta prescinde in linea di principio dall’introduzione forzata  della proprietà privata ad opera dello stato[1]”.

In ogni continente la guerra di sterminio si ripete eguale e con modalità sempre più aggressive e razziste, la penetrazione nelle pianure del West con le ferrovie svela la verità del capitale, esso porta la guerra di sterminio dove le comunità locali si oppongono alla penetrazione violenta del capitalismo:

“Furono ferrovie, cioè capitale europeo, prevalentemente inglese, a trasportare il farmer americano, passo passo, sulle sterminate pianure del West, dove annientò gli indiani con le armi da fuoco, i mastini, l’alcool e la sifilide, e li trapiantò con la forza da oriente ad occidente per appropriarsene come <<libera terra>> il suolo, dissodarlo e metterlo a cultura[1]”.

Il processo di accumulazione è globale, pertanto le oligarchie mondiali non potranno che portare alla guerra, in quanto lo spazio geografico da annientare e sfruttare è limitato.

L’analisi di Rosa Luxemburg è oggi più vera che mai, assistiamo infatti al confronto tra oligarchie transnazionali per il controllo dei loro spazi vitali/mercato. In tale contesto le comunità locali potrebbero ricoprire un grande ruolo per limitare e smascherare la verità del modo di produzione capitalistico, tale resistenza attiva presuppone un percorso di consapevolezza collettiva che il capitalismo impedisce in quanto ha occupato con le armi della finanza le istituzioni. Ciò malgrado nessun processo è irreversibile, il nostro tempo può usufruire della rete per veicolare forme di aggregazione e resistenza alle tempeste del capitale, e specialmente necessitiamo di riprendere il cammino della prassi critica dai grandi pensatori rimossi dall’azione ideologica del capitale. Per ricostruire una opposizione al capitale è necessario riattivare la memoria, non a fini monumentali, ma per riallacciare  con l’impegno la critica propositiva con la tradizione anticapitalistica marxiana e marxista. Nel tempo attuale le nicchie di resistenza sono plurime, convergono nella consapevolezza degli effetti fatali del modo di produzione capitalistico. La convergenza deve sviluppare divergenze prospettiche in linea con le diverse tradizioni politiche, non per trovare facili e astoriche soluzioni nel passato, ma per continuare l’impegno nel presente, il quale necessita di radicamento e identità senza le quali non vi è  solo adattamento al puntinismo del presente. La resistenza propositiva può avvenire solo nella chiarezza del nemico e della verità del capitalismo, questo è il fondamento da cui tutto può avere inizio:

La produzione capitalistica non è produzione per il consumo, ma produzione di valore: in essa i rapporti di valore dominano dunque l’intero processo produttivo e riproduttivo[2]”.

Resistere significa opporsi ai processi di valorizzazione, essi non sono fuori di noi, ma agiscono su di noi e in noi, ci riducono a mezzi per produrre plusvalore, a tale logica bisogna sottrarsi con l’impegno gratuito, vero scandalo e trasgressione al modo di produzione capitalistico. La critica al capitale, se sostenuta dalla stessa logica dell’accumulo, è la massima vittoria del capitalismo,  non ha nulla da temere da coloro che perseguono gli stessi obiettivi pur palesando limiti e contraddizioni del capitale. L’esodo è condizione interiore e sociale senza il quale non vi può essere un’autentica alternativa; chiunque abbia vissuto l’esperienza dell’esodo per breve tempo e per tutta la vita è già un rivoluzionario, poiché ha la chiarezza del nemico.

 

[1] Rosa Luxemburg, L’accumulazione del capitale, PGRECO, Milano, 2012, pag. 142

[2] Ibidem pp.453 454

[3] Ibidem pag. 364

[4] Ibidem pag. 366

[5] Ibidem pag. 370

[6] Ibidem pp. 381 382

[7] Ibidem pag. 394

[8]  Ibidem pag. 3

Rosa Luxemburg - Una donna al giorno

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