La (post)moderna caverna platonica

La scissione del tempo e dal tempo storico con la sua “guidata” frammentazione è il dominio che si instaura nelle coscienze, il logos è sostituito  dal reale lacaniano. Il tempo immediato diviene  la legge che governa le menti e fa in modo che l’astratto governi.  La caverna di Platone è la mente umana posta al servizio dell’astratto, in essa il reale ha sostituito la realtà. Non si deve conoscere la realtà con i  rapporti di produzione in cui si è implicati, rivelerebbero le contraddizioni e  la costante sussunzione delle soggettività alla propaganda.

Lacan con la distinzione tra reale e realtà è interno al percorso platonico. La caverna è buia come il reale astratto, non vi sono rapporti sociali e di produzione, il reale respinge e rimuove la realtà e la verità. Il reale è il sogno ipnotico del capitale, per autoconservarsi deve surrogare la parola con la propaganda, la realtà materiale con l’astratto. L’ipnosi di massa spinge le menti nel buio dell’astratto, si spegne lo sguardo del logos nello splendore mediatico del sonno della ragione. Il tempo si frammenta e scompare con i suoi dati carichi di senso, i quali  attendono il soggetto per riportarli alla loro oggettività. Il reale è il fortilizio del capitalismo, addomestica con l’astratto, l’io non media tra il Super-io e l’Es, ma tutto è immediato, e pertanto la coscienza si disperde nel presente. L’irrazionale domina, poiché la razionalità è connessione temporale, visuale olistica in cui i dati sono connessi nella loro complessità secondo paradigmi ermeneutici condivisi  e posti dialetticamente. Il tempo immediato si configura come “dataismo”, una manciata di dati e numeri governati da algoritmi, sono  la rete invisibile in cui far cadere i popoli divenuti massa e  a cui dare forma. I dati sono costituiti da numeri ed immagini selezionati per costruire l’opinione pubblica. L’epoca del disprezzo deve indurre i popoli ad usufruire di dati ed immagini apparentemente innumerevoli, in realtà interscambiabili: si moltiplicano le informazioni che confermano la medesima versione degli avvenimenti, secondo gli interessi delle oligarchie.

Il clero mediatico è il punto archimedico di trasmissione, non più interprete, non più forza critica della democrazia, ma semplice mezzo di diffusione del pensiero unico. Si assiste ad una diffusione di dati, di immagini e parole. La democrazia è divenuta conteggio di dati da assimilare che ripetono il medesimo, in tal modo si schiaccia l’opinione pubblica in una condizione di subalternità senza prospettiva. I subalterni si muovono all’interno di una temporalità frammentata, in una coazione a ripetere che si trasforma gradualmente in una prigione introiettata che rende muti e separa dalla storia: gli uomini e le donne del nostro tempo sono atomizzati e resi superflui. Il reale spinge nell’astratto, chi vive nell’astratto non è toccato razionalmente dalla realtà, pertanto non può trasformarla. La trasmissione di dati uccide la comunicazione dialettica, poiché comunicare è condividere criticamente le informazioni per interpretarle olisticamente, altrimenti si vive nell’irrazionale. Il reale è schizoide, perché separa, inficia il pensiero e la comunità politica, fino a farli evaporare nel sogno. Il disagio emotivo che questo induce, spesso non compreso, segnala la profondità del male, ma si resta in tale stato, in quanto si vive in un ambiente storico che inibisce il pensiero nella forma del concetto. La malinconia e le passioni tristi sono i veicoli che consolidano il dataismo senza pensiero e partecipazione. I dati sono quantitativamente innumerevoli, ma la loro qualità non consente la genealogia  attiva degli avvenimenti in cui siamo implicati. La passività è nella forma dei dati che si riflettono nella mente senza intelligenza, è il nuovo realismo del tempo presente,  è la legge che cancella ogni progettualità politica e nega l’umanesimo, al suo posto vi è un nuovo nichilismo che si propone come verità a cui ci si deve adattare: il niente è la legge suprema che conserva il nuovo Leviatano con l’ipnosi dell’astratto.

 

Realtà e attività

Senza il pensiero che media i dati non vi è democrazia, ma solo finzione giuridica della stessa. Manca l’indugiare, la capacità di sottrarsi al flusso della produzione e del consumo per poter riflettere sulla mole di dati per discernerne validità e veridicità. Il modo di produzione capitalistico nella sua fase assoluta ha eliminato l’indugiare nella formazione di ogni singolo e nella cultura della comunità. L’indugiare è l’epochè della produzione, il pensare è il soffermarsi-indugiare sui dati per trasformarli in concetto. Il pensare sostituito dal calcolo passivo dei dati necrotizza la politica, la rende imitazione sofistica di se stessa. Vi è il tempo della produzione-consumo con i suoi ritmi, e la temporalità dell’indugiare, senza la tensione dialettica delle temporalità si profila il totalitarismo dell’irriflesso. Il pensiero nella forma del concetto consente al singolo di connettersi con la storia e con se stesso. La realtà è l’insieme delle relazioni di cui i soggetti sono parte attiva e passiva, anzi l’attività è la ricerca della passività residua che produce il male sociale ed individuale. Il soggetto che dialoga con se stesso e con il “mondo”, lo crea e lo ricrea pensandosi non solo come parte integrante di esso, ma responsabile dinanzi a se stesso e alla comunità. Il realismo nichilistico cancella la responsabilità, in quanto il soggetto non ha attraversato il negativo per elaborare il concetto, è parte di un immenso apparato di dominio e potere di cui usa il linguaggio. Per eliminare gli spazi dell’indugiare-pensiero si è intervenuti nella formazione, la scuola è stata resa azienda, pertanto la formazione alla cittadinanza è divenuta formazione ai tempi e ai desideri del capitalismo neoliberista. L’ingresso massivo dei mezzi mediatici senza alcuna cornice  assiologica ha puntellato il sistema. Il saper fare si è scisso dal pensare, per cui teoria e prassi hanno divorziato. La pedagogia schizoide usa “parole buone”  per fare “cose cattive”. Ogni attività che esige l’indugiare è considerata difficile e selettiva, pertanto si invoca l’inclusione per eliminarla. Le letture devono essere brevi e deve prevalere l’immagine sul concetto. Scorre il disprezzo collettivo organizzato dalla pedagogia organica al dominio per valutare le nuove generazioni solo come braccia e pulsioni da donare al mercato. Non ci si deve soffermarsi sulla realtà sociale, non si deve pensare il proprio tempo, ma solo rincorrerlo nella folle corsa in cui è vincente il capitale, ma il perdente non comprende che la gara è truccata sin dall’inizio. Il pensiero necessita della stabilità del sentimento, al suo posto vi è l’emozione, che si consuma in tempi velocissimi senza lasciare traccia. L’educazione alle emozioni che compare in non pochi progetti scolastici e sociali è formazione al fugace vera premessa del ciclo produzione-consumo. La resistenza può svolgersi in tanti modi, ma il primo in assoluto è formare all’indugiare, vi è un umanesimo da rifondare con la forza della parola pensante che legge la tragedia del tempo presente. Al dataismo che vorrebbe sostituire la profondità del pensiero con la superficialità complicata degli algoritmi bisogna opporre più pensiero contro la violenza del semplicismo che rischia di travolgerci in una ingovernabile tempesta senza fondo. Resistere è preparare la Kehre, il salto nella svolta che può determinare l’uscita dal nichilismo, e ciò non può che  esigere il  lavoro collettivo del pensiero. L’uscita dal reale, e quindi dalla caverna, è la pratica dialogica della dialettica senza la quale si è spinti verso la solitudine schizoide del capitalismo.

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