La ragione poetica

Siamo in piena tempesta, la ragione è capace di risultati strabilianti, ma è incapace  di temperare le tensioni e favorire relazioni positive. Non si riflette sufficientemente in questi decenni sul modello di razionalità che usiamo e sui suoi limiti. L’oscuramento mediatico della filosofia  ha consolidato il primato della ragione strumentale, la quale funge da strumento di attacco e calcolo.

Si è entrati all’interno del paradigma della ragione strumentale con l’arretrare della filosofia veritativa e critica, si è in un automatismo che si autoglorifica malgrado i risultati sempre più evidenti e palesi. Il vuoto veritativo è pratica dell’annientamento dell’altro. L’automatismo rafforza la ragione strumentale, la naturalizza, al punto da farla apparire come l’unica possibile. L’immaginazione filosofica è in tal modo posta alla berlina, è denigrata in quanto facoltà improduttiva, mentre la ragione strumentale ha la sua “solidità condivisa e acclamata” nel massimo rendimento. Rendere il corpo oggetto di prestazione e accumulo crematistico è il trionfo della ragione strumentale, se il corpo non risponde in modo adeguato è tagliato via dall’ordine del discorso. Corpo che non sente, quindi, ma entra nello spazio e nel tempo per trasformare i successi crematistici in espansione che occupano lo spazio e il tempo. Si alzano barriere tra individui e gruppi umani fino alla solitudine proprietaria e al culto degli interessi privati.

In queste ore un giovane ragazzo di 18 anni, uno studente  Giuliano de Seta, è morto schiacciato sotto il peso di una lastra che pesava una tonnellata. Silenzio quasi assoluto sull’accaduto, si muore a scuola durante l’alternanza scuola lavoro, sembra banale, ma morire tragicamente durante un’attività didattica voluta e programmata per ottemperare agli ordini dei ministri dell’istruzione che si sono succeduti  in questi anni, non provoca azione alcuna. La ragione strumentale che permea la governance non conteggia i morti ma solo il rendimento. Razionalità maligna, dunque, la quale astrae dalla vita e pianifica, ma non si confronta con le tragedie di cui è responsabile. Silenzio assoluto dei partiti e dei sindacati, cosa è un giovane studente “in formazione” per la logica liberista, se non un semplice numero? Seguiranno le indagini. Nessuno osa porre in discussione l’Idra della razionalità strumentale, i  morti continueranno ad essere solo materia estesa da conteggiare e da eliminare. La ferocia di un sistema che ha scelto il solo calcolo è dinanzi a noi: si insegna alle nuove generazioni che morire a scuola deve rientrare nella normalità come morire sul lavoro. Inquieta il silenzio generale, purtroppo la ragione strumentale rende muto il logos profondo per poter realizzare il suo imperio.

 

L’ Aurora di Maria Zambrano

Non si può in tali frangenti non ricordare Maria Zambrano: la ragione materna e poetica è la ragione che accoglie,  non si pone nell’ottica della pianificazione per astrarre plusvalore. La ragione materna è l’essenziale, ciò di cui l’Occidente globale manca. Si possiede la potenza, la si mette in circolo, ma non si vive l’essenziale. Mancare dell’essenziale significa possedere tutto, ma essere privi del senso. Il crimine non può che essere la normalità dell’agire, in tale contesto, segnato dal controllo e dalla sopraffazione. La ragione materna è attiva e passiva nel contempo. Ogni soggetto umano se rinuncia al calcolo e si pone in ascolto del mondo  è chiamato ai “perché”, in questa spontanea disposizione al “perché”, vi è la passività dell’essere chiamato e l’attività della ricerca. Quest’ultima deve scoprire nel tempo vuoto il senso della presenza dell’altro. Il tempo vuoto è il tempo dell’essenziale, in cui ci si spoglia delle sovrastrutture per porsi in feconda relazione con il proprio io profondo nel quale ritrovare la vita da cui germina il senso. La ragione materna salva l’anima, descrive percorsi sconosciuti alla ragione strumentale, limita l’inessenziale, lo limita con la forza materna dell’essenziale. La ragione materna non è anaffettiva come la ragione strumentale, la quale usa nella distanza emotiva e razionale ciò che tocca, la ragione materna è sentire la presenza dell’altro, l’alterità non è una funzione numerica, ma è presenza che ci invoca alla cura, ad essere vissuti con la dolcezza della ragione:

“La conoscenza che qui invochiamo, che sospiriamo, questa conoscenza postula e richiede che la ragione si faccia poetica senza rinunciare a essere ragione, che accolga il sentire originario, senza coazione, liberamente, naturalmente quasi, come una physis restituita alla sua condizione originaria[1]”.

La ragione materna è poetica, essa non separa e non usa, ma vive per conoscere la verità. Nella cura dell’altro e nella sua presenza la verità si incarna, e ci invita ad una scoperta inesauribile. La materna ragione non separa, ma integra per poter vivere la profondità della presenza.

Per la ragione strumentale l’altro non è presente, è solo materia che occupa uno spazio-tempo da cui trarre il massimo rendimento. L’incidente e la morte sono già contemplati in tali relazioni di dominio. La ragione strumentale opera sull’oggetto, ma non entra nella sua realtà, resta distante, lo guarda per manovrarlo. La ragione  materna entra in contatto, accoglie per poter conoscere. Vi è una passività che consente all’altro di esserci in pienezza per svelarsi. Si assiste ad una radura nella pienezza della ragione strumentale, le spire si allentano e l’altro compare non nella luce abbagliante dello svelamento totale, ma nella luce umbratile e lattiginosa che invoca un passo, restando fermi, verso l’altrui presenza:

“Fecondo il nuovo sapere lo sarà soltanto se scaturisce da viscere innamorate. Solo così esso sarà tutto ciò che il sapere deve essere: pacificazione e anelito, soddisfazione, fiducia e comunicazione effettiva di una verità che ci rende di nuovo vicini e partecipi[2]”.

La ragione strumentale persegue l’oggettività del calcolo,  la ragione materna è oggettività viva, poiché ascolta la presenza dell’alterità, non la calcola, ma lascia che essa con un moto spontaneo si orienti nella comunicazione feconda, la quale è inesauribile.

L’altro è l’aurora, la Zambrano usa la metafora dell’aurora, la cui luce è  acquosa, non si impone, ma si dispone secondo le geometrie sempre nuove dell’ascolto.

Senza la ragione materna in dialettica tensione con la razionalità strumentale nessuna comunità può sopravvivere. La sola ragione strumentale è il lamento funebre di un mondo che sa conteggiare i suoi  morti, ma non li comprende. La prima vera rivoluzione di cui necessitiamo è un nuovo modello di razionalità con cui vivere la realtà storica e sociale e diventarne partecipi con la cura e il concetto profondo.

[1]Maria Zambrano, Dell’Aurora, Genova, 2000, pag. 35

[2] Maria Zambrano, Pensiero e parola nella vita spagnola, Bulzoni editore, Roma, 2005, pag. 27

1 commento per “La ragione poetica

  1. Giulio Bonali
    19 Settembre 2022 at 10:21

    Ma la ragione é sempre e comunque, inevitabilmente “strumentale”: può (e a mio avviso, per una mia scelta irrazionale, deve) offrici strumenti, mezzi per realizzare scopi in determinate circostanze, ma non mai fini da perseguire; i quali sono invece immediatamente avvertiti irrazionalmente, senza poter essere argomentati, nella nostra coscienza (in ultima analisi la ragione risponde alle domande sul “come”, l’ irrazionalità sentimentale alle domande sui “perché).

    Inoltre credo che la ragione sia non solo capace di “risultati strabilianti” nella ricerca di strumenti atti a realizzare scopi inevitabilmente non razionalmente fondati, ma anche che sia necessaria e discretamente efficace onde cercare di “armonizzare” gli scopi stessi che la parte irrazionale di noi, i nostri sentimenti ci fanno sentire.

    Cioe necessaria ed utile per:

    a) Valutare quali scopi (o desideri, o aspirazioni, o pulsioni, o come di irrazionale li si voglia chiamare) sono “realistici”, ovvero realmente conseguibili con mezzi adeguati, e quali irrealistici, non oggettivamente conseguibili, e dunque destinati, se perseguiti e non “inibiti” o “repressi” dentro di noi, a produrre “guai” (insoddisfazioni, sofferenza, dolore…).

    b) Posto che inevitabilmente sentiamo aspirazioni, desideri, scopi in gran parte non congiuntamente conseguibili ma invece realizzabili gli uni al prezzo dell’ insoddisfazione degli altri, valutarne quantitativamente la forza (la desiderabilità della rispettiva soddisfazione, indesiderabilità della rispettiva frustrazione o repressione, onde stabilire quali insiemi i di finalità intrinsecamente coerenti (insiemi conseguibili nella loro completezza o integralità) sono più intensamente avvertiti e dunque da perseguirsi a scapito (al prezzo della insoddisfazione e preferibilmente della repressione o “messa a tacere” per quanto possibile) di quali altri scopi o insiemi di scopi con essi incompatibili, onde sperare e tentare di raggiungere il massimo di felicità cui é ragionevole, realistico aspirare.
    NOTA BENE: la res cogitans (pensieri, desideri, aspirazioni, sentimenti in generale), contrariamente alla res extensa (il mondo materiale naturale) può solo vagamente e con ineliminabili elementi di incertezza essere valutato quantitativamente, cioé può essere in qualche modo metaforicamente “ponderato” o “soppesato”, ma non mai propriamente MISURATO (ad esempio pesato, se di masse su tratta): mentre, salvo praticamente irrilevanti margini di incertezza e per lo meno in linea teorica, di principio, é possibile stabilire rapporti quantitativi espressi da numeri sui quali compiere calcoli matematici fra i vai aspetti della res extensa (es.: quanta energia, quanto metallo, quanta plastica, ecc. (in general quanti beni materiali) occorrono per costruire un determinato bene materiale e quanto ci vengono a costare), invece ciò ciò non é possibile, nemmeno in linea teorica o di principio, fra sentimenti, aspirazioni, “forza” o “convinzione di credenze o di ipotesi” e così via: per fare un esempio banalissimo: già può essere per lo meno difficilissimo stabilire se il mio desiderio di godere fisicamente congiungendomi carnalmente con una bellissima donna recentemente conosciuta e “disponibile” é più forte o più debole del desiderio di mantenere la mia relazione coniugale con mia moglie e buoni rapporti con i miei figli che ne sarebbero probabilmente -sic! anche i sentimenti altrui non sono misurabili!- compromessi, ma assolutamente impossibile sarebbe pretendere di stabilire di quanto l’ una alternativa sia più desiderabile dell’ altra onde decidere in basa ad una “certezza matematica”.

    Inoltre la “ragione (inevitabilmente) strumentale”, per esser efficace, deve per forza essere “veritativa”, ovvero fornire conoscenze vere del mondo oggettivo (solo nella sua PARTE materiale naturale): l’ irrazionalismo ontologicamente e/o gnoseologicamente relativistico NON E’ “strumentalmente utile o efficace”, non é espressione di razionalismo nemmeno in una sua non conseguente, limitata, in realtà falsa (se non per limitatissimi, non sostanziali aspetti) accezione scientistica.
    La “ragione strumentale”, acriticamente consumistica, non ha bisogno di scientismo ma invece di autentica scienza (ma non meno bisogno ne ha un razionalismo conseguente e autentico, che per realizzare gli scopi irrazionalmente avvertiti e “ragionevolmente ponderati” che ha scelto di perseguire deve necessariamente essere realistico, di non fare calcoli su illusioni ma su fatti reali oggettivi.
    Dunque il disastroso “vuoto veritativo” dilagante e da colmare (da superare) non riguarda tanto la res extensa scientificamente indagata, quanti la res cogitans da esplorare attraverso la filosofia e le altre “scienze umane”.

    La presenza dell’ altro, l’ amore del prossimo, la magnanimità, generosità, l’ altruismo non li dimostra nessuna applicazione della facoltà della ragione, che sono sempre inevitabilmente “strumentali”, ma si avvertono irrazionalmente dentro di noi (e la ragione ci offre gli “strumenti” -in senso lato- indispensabili per cercare per quanto possibile e salvo sempre possibili errori di realizzarli effettivamente, efficacemente)..

    In conclusione: concordo sostanzialmente con la diagnosi dell’ autore di questo scritto, e con la necessità qui indicata di coltivare e valorizzare la filosofia non meno della scienza.
    Ma dissento da quella che, salvo ad un fugace accenno nelle ultime righe, potrebbe sembrare una condanna del razionalismo (per me indubbiamente, assolutamente indispensabile per coltivare correttamente, veracemente la filosofia non meno che la scienza).
    Per lottare contro l’ ingravescente barbarie occorre non meno ma invece più razionalismo (e razionalismo più conseguente; ovviamente nella consapevolezza dei suoi limiti, peraltro inevitabile perché sia davvero conseguente fino in fondo: precisazione decisamente pleonastica!), essendo del tutto evidente che lo scientismo, ovvero la pretesa assolutizzazione acritica e il preteso carattere di “onnipotenza miracolistica” della scienza, é una patente forma di irrazionalismo.

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