La società dell’ “homo consumens”

Misologia ed emotivismo

Il capitalismo assoluto è il regno della misologia[1]: si assiste alla sostituzione accelerata dell’argomentare con l’automatismo e con l’emotivismo. Entrambi sono l’espressione del nichilismo tecnocratico. L’automatismo è l’effetto organizzato dell’invasione massiva delle tecnologie e, specialmente, dell’uso senza consapevolezza delle stesse. L’humus è stato preparato   dall’aziendalizzazione della società e delle istituzioni deputate alla formazione. Le resistenze sono state contenute e marginalizzate mediante l’indebolimento della formazione e con il veloce riposizionamento delle forze di opposizione all’interno del “regime liberista”. La società dell’odio verso la complessità e la concretezza ha la sua ragione profonda nella rivoluzione antropologica in atto: l’homo consumens può regnare sul silenzio del concetto. Le nuove tecnologie rendono gli acquisti facili e veloci, si deve ridurre il tempo del pensiero per allargare enormemente i tempi del consumo. Il capriccio personale diviene, in tal modo, il “diritto senza processo dialettico” su cui fondare la fragile identità dell’Occidente globale. L’automatismo astratto inocula l’odio per il discorso argomentato, logico e concreto. L’abitudine all’immediatezza e  l’incapacità di differire il desiderio cementano l’avversione verso il ragionamento. Il soggetto non lo tollera, vive come una violenza ciò che distingue la natura umana dalla natura degli animali non umani: il pensiero ed il linguaggio. Si fa strada il disprezzo verso la persona che deve confrontarsi quotidianamente con gli automatismi delle macchine, la disistima verso l’umanità è segnata, così, dalla vergogna prometeica. La misologia è la cifra e la sostanza del capitalismo, in quanto il concetto minaccia di differire la soddisfazione del desiderio indotto, ed in tale temporalità pensata il soggetto da consumatore potrebbe diventare “cittadino pensante”. Il capitale con il suo servidorame deve impedire che tale verità-potenzialità possa emergere. L’artiglieria mediatica è sempre in azione, è la battaglia campale  contro l’umanità e l’umano la guerra  perenne in atto, nessuno spazio dev’essere libero dal condizionamento, ma ogni gesto quotidiano deve rispondere all’automatismo acquisitivo, anche, nella sola formula del desiderio. La misologia deve diventare la nuova e perversa natura umana su cui fondare il regno della peccaminosità senza limiti e confini. La misologia è stata, già, descritta da Platone nel Fedone, essa si fa strada sull’incapacità di ragionare, a causa della “velocità” acquisita che inibisce il logico strutturarsi del pensare, e comporta un giudizio negativo su ogni forma di discorso che esige metodo, attenzione e disciplina. Il disprezzo verso il ragionamento logico ha la sua genetica in un negativo processo formativo. La misologia porta all’odio verso ogni manifestazione umana, in quanto dove vi è comunità umana vi è pensiero:

«Prima di tutto bisogna stare attenti che non ci succeda qualche guaio.» «E quale?» domandai. «Che non diventiamo dei misologi, come certi che diventano misantropi. Non c’è male peggiore che questo di odiare ogni discussione. Misologia e misantropia nascono nello stesso modo. La misantropia nasce quando si è riposta eccessiva fiducia in qualcuno, senza conoscerlo bene, ritenendolo amico leale, sincero, fedele mentre poi, a poco a poco, si scopre che è malvagio e infido, un essere del tutto diverso. Quando questa esperienza si ripete più volte, specie con quelli che stimavamo più fidati e più amici, si finisce, dopo tante delusioni, con l’odiare tutti e col credere che in nessun uomo vi sia qualcosa di buono. Non succede così ?» «Proprio così ,» risposi. «E non è ingiusto, questo? Non è forse vero che chi si comporta così , evidentemente vive tra gli uomini senza averne nessuna esperienza? Se, infatti, li conoscesse appena, saprebbe che son pochi quelli veramente buoni o completamente malvagi e che per la maggior parte, invece, sono dei mediocri.» «In che senso?» feci. «È lo stesso delle cose molto piccole e molto grandi. Credi forse che sia tanto facile trovare un uomo o un cane o un altro essere qualunque molto grande o molto piccolo o, che so io, uno molto veloce o molto lento o molto brutto o molto bello o tutto bianco o tutto nero? Non ti sei mai accorto che in tutte le cose gli estremi sono rari mentre gli aspetti intermedi sono frequenti, anzi numerosi?» «Ma certo,» riconobbi io. «E non credi che se si facesse una gara di malvagità, pochissimi arriverebbero tra i primi?» «È probabile,» ammisi. «Altro che,» disse. «Ma su questo punto, non si può fare un parallelo tra le discussioni e gli uomini. Il fatto è che tu hai continuato a discutere ed io ti son venuto dietro. Si può vedervi una relazione, invece, in questo senso, quando uno presta, cioè, troppa fede a una tesi e la ritiene buona senza conoscerla a fondo e poi in un secondo momento, gli sembra falsa, a volte anche a ragione, ma a volte a torto, e quando questo gli capita spesso… Tu sai bene che quelli che si perdono in discussioni sul pro e sul contro, finiscono col credersi dei sapientoni e di essere i soli ad avere intuito che niente a questo mondo, e tanto meno le discussioni, è stabile e sicuro e credono che tutto, come nell’Euripo, vada su e giù, senza sosta, senza un momento di tregua.» «È proprio vero, è così !» affermai. «Ebbene, Fedone,» riprese, «sarebbe una cosa veramente deplorevole se, con tutte le tesi vere e sicure che vi sono e vengono riconosciute tali, soltanto per il fatto che ci si imbatte in altre che, pur essendo sempre le stesse, ora ci sembrano vere ora false, si finisse col dare la colpa non a se stessi e alla propria incapacità ma, per la stizza, agli argomenti e si passasse tutta la vita a odiare e maledire ogni discussione privandoci, così , della verità e della conoscenza della realtà»[1]

La misologia comporta l’ostilità livida contro i classici e la filosofia, sono tollerati se sono parte del circuito della vendita, ma se formano personalità integrali si lancia il discredito verso coloro che vivono il logos, li si marginalizza ed ostracizza con il disprezzo della “comunità dei misologi”. Quest’ultima necessita di essere popolata da emotivisti, ovvero da coloro che vivono i loro “eiaculati emotivi” come reazioni compulsive radicate nel relativismo imperante che legittima ed omologa ogni scelta. La misologia coniugata con l’emotivismo è “il felice connubio” che sostiene l’attuale fase del capitalismo. Non si può non prendere atto della violenza della congiuntura attuale. Alla misologia bisogna contrapporre la speranza del pensiero, l’attività del logos ovunque ci si trovi, ogni contributo è prezioso anche se breve, dato che la verità non muore, ma è feconda.

 

Verità e naufragio

La misologia ha in odio la filosofia, non tutte le filosofie, ma la filosofia che ha come finalità la verità. Il sistema capitale prolifera nel vuoto della verità, nella sua rimozione, pertanto la misologia si consolida mediante la constatazione socialmente condivisa che ogni sforzo per raggiungere la verità è inutile. La verità è temuta, in quanto il sistema attuale si pone come “la verità”. La misologia ha destoricizzato ogni processo conoscitivo per presentare il presente come “eterno”, e dunque l’unico possibile. La verità è associata alla violenza totalitaria, e la liberazione da essa è il trionfo della libertà dalle catene del passato. A tale interpretazione bisogna contrapporre il processo dialettico, il quale astrae dalle contingenze la verità che si cela dietro di esse. Se l’essere umano si perde tra situazioni contingenti e tra le reazioni a stimoli immediati si perde nell’emotivismo individualista, per cui non governa la sua esistenza, ma ne è governato. La verità libera ed emancipa, per cui la filosofia è autentica solo se conserva il prezioso binomio filosofia-emancipazione che sottintende la pratica della verità. Quest’ultima non ha il carattere dell’esattezza delle scienze, poiché esse matematizzano l’oggetto analizzato, ma la verità filosofica non è mai assoluta, in quanto astrae dall’esperienza, per cui è perfettibile. Senza filosofia non vi è verità, né comunità democratica. La sua scomparsa dai curricula di molti paesi europei è la prova più palese della regressione civile e comunitaria dell’Europa della moneta unica. Platone nell’Eutifrone descrive il processo con cui si attua la filosofia, che ha il compito di conoscere in profondità ciò che l’atto percettivo non può cogliere:

“SOCRATE: Dunque una cosa non perché è veduta, per questo si vede, ma al contrario, perché si vede per questo è veduta, e neppure perché è condotta si conduce, ma perché si conduce proprio per questo è condotta, né perché è portata, si porta, ma proprio perché si porta è portata. É chiaro, ormai, Eutifrone, quello che voglio dire? Voglio dire questo: che se avviene una cosa o subisce un qualche fenomeno, non perché è avvenuta essa avviene, ma poiché avviene è avvenuta. E non patisce perché è paziente, ma perché è paziente patisce. O non sei d’accordo così ? EUTIFRONE: Io sì . SOCRATE: Dunque anche l’amato non è cosa che è avvenuta e che subisce alcun ché da un’altra cosa? EUTIFRONE: Ma certo. SOCRATE: E allora anche questo sta così come ai punti precedenti: che non perché è amata una cosa viene amata da coloro che l’amano, ma proprio perché si ama, viene amata? EUTIFRONE: Per forza! SOCRATE: Ma intorno al santo allora cosa vogliamo dire, o Eutifrone? Non viene amato, secondo il tuo discorso, da tutti gli dèi? EUTIFRONE: Certo. SOCRATE: Dunque è amato per questo, perché è santo, o per qualche altra ragione? EUTIFRONE: No, ma per questo. SOCRATE: Dunque perché è santo viene amato, e non perché viene amato è santo? EUTIFRONE: Pare così . SOCRATE: Ma perché è amato dagli dèi è amato ed è anche caro agli dèi? EUTIFRONE: Come no? SOCRATE: Dunque non è santo ciò che è caro agli dèi, o Eutifrone, e neppure è santo ciò che è caro agli dèi, come tu dici, ma questo è tutt’altra cosa da questo. EUTIFRONE: Come dici, o Socrate? SOCRATE: Perché abbiamo concordato che il santo perché si ama è santo, ma non perché è santo in quanto si ama. Non è così ? EUTIFRONE: Sì . SOCRATE: Concordiamo poi che ciò che è caro agli dèi, perché è amato dagli dèi, proprio per questo essere amato è caro agli dèi, ma non perché è caro agli dèi, per questo viene amato. EUTIFRONE: Dici il vero. SOCRATE: Ma, se fossero la stessa cosa ciò che è caro agli dèi e il santo, se il santo veniva amato proprio per il fatto di essere santo, anche ciò che è caro agli dèi sarebbe amato proprio per il fatto di essere caro agli dèi; se poi ciò che è caro agli dèi, era caro agli dèi proprio per il suo essere amato dagli dèi, anche il santo sarebbe santo proprio per l’essere amato dagli dèi. Ma tu comprendi bene che queste due cose stanno in maniera opposta e che sono assolutamente diverse l’una dall’altra. Infatti l’una è tale da essere perché è amata; l’altra poi, perché è tale da essere amata. Ma tu rischi, Eutifrone, mentre io ti chiedo cosa mai è il santo, di non volere manifestarne a me l’essenza, ma di dirmi, intorno a questo, solo una qualità accidentale, un qualcosa che codesto santo ha provato, come appunto l’essere amato da tutti gli dèi; ma cosa poi non l’hai ancora detto. Ma se per te è cosa grata, non tenermela nascosta, ma dimmi ancora un’altra volta da capo che cosa mai è il santo; sia che venga amato dagli dèi, sia che qualunque cosa abbia a provare; non è infatti intorno a questo particolare che ci saranno differenze tra noi. Ma dimmi dunque con cura cos’è il santo e cosa il non santo?[1]”.

I classici continuano a porci domande ineludibili, in primis, ci chiedono che tipo di comunità stiamo attuando, da tale interrogativo si solleva il dubbio, ormai certezza, se la società attuale nazionale ed internazionale sia il luogo dove, in nome del plusvalore e del potere, l’umano si annichilisca mostrandoci un futuro di sola desolazione ed atomismo globale. Si diventa esseri umani solo in compagnia delle domande che recano la necessità di disporci verso la verità, senza la quale non vi può che essere un tragico naufragio collettivo senza ritorno.

 

 

[1] Misologia dal gr. μισο-, forma assunta in composizione dal sost. μῖσος «odio»  e logos λόγος, il cui significato oscilla tra “ragione”, “discorso”.

[2] Platone, Fedone, edizioni Acrobat, pag. 21

[3] Platone, Eutifrone, edizioni Acrobat, pag. 6

L'homo oeconomicus può ancora imparare qualcosa dalle catastrofi? - Elzeviro

Fonte foto: Elzeviro.eu (da Google)

1 commento per “La società dell’ “homo consumens”

  1. Gian Marco Martignoni
    22 Dicembre 2020 at 22:19

    Considerazioni pertinenti e più che condivisibili, che Paolo Ercolani ha ampiamente sviluppato nel libro ” Figli di un io minore “, sottotitolato non casualmente ” Dalla società aperta alla società ottusa ” , con prefazione di Luciano Canfora.

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