“Le radici della disuguaglianza”. L’emergere dell’individualismo proprietario.

PARTE I – Hobbes, Rousseau.

 

Il saggio di Antonio Martone individua le “radici della disuguaglianza” nel pensiero moderno, attraverso l’analisi di alcuni autori che per ciò che hanno scritto e sostenuto sono da considerare come una sorta di ideal-tipo della “modernità”.

Gli autori presi a riferimento abbracciano un arco di tempo che va dagli inizi del 600 alla fine dell’800: T. Hobbes, J.J. Rousseau, A. de Tocqueville, M. Stirner e F. Nietzsche. Passiamo dall’Assolutismo di Hobbes all’idea Democratica di Rousseau, dall’analisi critica della nascente Liberal-Democrazia americana di Tocqueville per concludere con Stirner e Nietzsche, i quali analizzano in profondità categorie quali Democrazia, Socialismo, Liberalismo e ne mettono a nudo le contraddizioni creando i presupposti per la critica alle ideologie e aprendo la strada al post-modernismo e all’egemonia dell’individualismo e del totalitarismo liberal-capitalista contemporaneo. In modo particolare questi ultimi due autori, con le loro potenti critiche, sono riusciti a produrre l’effetto contrario rafforzando ciò che intendevano combattere.

Ragionare sulle origini della disuguaglianza attraverso l’analisi delle riflessioni degli autori presi a riferimento non può prescindere dal contesto storico nel quale ciascuno di essi è vissuto e nel quale ha operato. T. Hobbes è il primo ad essere messo sotto osservazione. Riferendosi ad Hobbes e al concetto di uguaglianza proprio della trattazione del filosofo inglese, Martone parla di un’“uguaglianza omicida” ossia l’idea che l’homo homini lupus non sia altro che l’uguaglianza nell’essere potenzialmente omicida dell’altro uomo, motivata dalla naturale spinta alla sopravvivenza. L’uguaglianza è un dato naturale per cui tutti gli uomini sono uguali. Hobbes con questa affermazione, se concorda con Aristotele sul significato della uguaglianza redistributiva, dissente da lui per quanto riguarda il significato dell’uguaglianza politica. Le ragioni di tale dissenso rispetto al pensiero aristotelico sono da ricercare nell’idea posta alla base della costruzione dello Stato, il Contratto Sociale, che per Hobbes è legge di natura.

Data l’estrema importanza dell’istituto contrattuale, Hobbes si sofferma a lungo sul concetto di leggi di natura, a tal proposito scrive nel De Cive[1]: <<Quelle che chiamiamo leggi di natura, non sono altro che delle conclusioni,  conosciute mediante la ragione, intorno alle cose da fare o da omettere. Ma la legge, parlando propriamente e con precisione, è il discorso di chi con diritto comanda ad altri di fare o di non fare una cosa; quindi, esse non sono propriamente parlando delle leggi, in quanto procedono dalla natura. Tuttavia, in quanto sono state promulgate da Dio nelle Sacre scritture, (…) sono chiamate del tutto propriamente con il nome di leggi. Infatti, la Sacra scrittura è il discorso di Dio, che comanda su tutte le cose con il diritto più alto>>. La sottoscrizione di un contratto parte dal presupposto che i contraenti siano tutti uguali ossia titolari di un eguale diritto che, nel caso specifico, è dato dal diritto alla vita e all’autoconservazione. Scrive ancora il filosofo:<<La massima parte di coloro che hanno trattato delle repubbliche, suppongono, o pretendono, o postulano, che l’uomo sia un animale atto per nascita alla società, (…); e su questo fondamento edificano la dottrina civile. (…) Se infatti l’uomo amasse l’uomo naturalmente, cioè in quanto uomo, non vi sarebbe nessuna ragione perché ciascuno non dovesse amare ugualmente ciascun altro, in quanto ugualmente uomo (…). Quindi non cerchiamo per natura dei soci, ma di trarre da essi onore e vantaggio (…)[2]>>.

Dicevo che ciascuno degli autori non può essere trattato al di fuori del proprio contesto storico; nel caso specifico, Hobbes non è avulso ai fatti che interessarono l’Inghilterra del ‘600 al punto tale che tutta la sua opera, altro non è che l’analisi del contesto sociale in cui ha operato. Gli eventi da considerare non sono solo quelli politico – religiosi ma anche economici. È in quegli anni che matura l’impianto che determinerà l’evoluzione politico istituzionale dell’Inghilterra, pronta a diventare, con l’Atto di Unione del 1706, il Regno di Gran Bretagna e Irlanda[3]; è sempre in quegli anni che vengono creati i presupposti per lo sviluppo economico che farà del Regno di Gran Bretagna e Irlanda la prima potenza economica e imperiale che egemonizzerà il Mondo proprio durante i secoli nei quali vivrà ciascuno degli autori presi a riferimento da Martone per spiegare “le radici della disuguaglianza”.

Hobbes, come scrive L. Berns, è il padre del Liberalismo e <<concorda con la tradizione, che discende da Socrate e Tommaso d’Aquino, secondo cui gli obiettivi e la natura della vita morale e politica sarebbero determinati in relazione alla natura, in particolar modo alla natura umana. Tuttavia, stabilisce il criterio secondo cui la natura umana determina i valori per la politica in modo assai differente rispetto a quanto ha fatto la tradizione, cioè, costruendo una teoria dello “stato di natura”. La teoria dello stato di natura, dedotta, dice Hobbes, dalle passioni dell’uomo, è un modo di affrontare l’antico problema psicologico, un problema d’importanza decisiva per la filosofia politica: l’uomo è per natura sociale e politico? Hobbes lo nega. Le ragioni di questa negazione sono illustrate dalla teoria dello stato di natura, quella condizione prepolitica nella quale gli uomini vivono senza governo civile, o senza un potere comune superiore che li tiene in soggezione (…)[4]>>.Pertanto, è solo se analizzato rispetto alla genesi del Liberalismo che si può cogliere il senso della teorica di Hobbes. La necessità di uscire dallo “stato di natura” equivale a dire, per Hobbes, che l’uomo è dotato di ragione per cui: <<(…) è capace di calcoli razionali, il che è un altro modo per dire che è in grado di scoprire quali sono i mezzi più adeguati per raggiungere i fini voluti, e quindi di agire non solo obbedendo a questa o a quella passione, ma seguendo il proprio interesse[5]>> e il passaggio alla costruzione dello Stato è una scelta dettata appunto dalla ragione che ha come scopo quello di tutelare il diritto di proprietà privata e il luogo fisico individuato per la negoziazione tra le parti il mercato. Il mercato come luogo di scambio, da qui la condivisione dell’uguaglianza distributiva aristotelica, la proprietà di beni materiali come strumento per l’autoconservazione. Mercato e proprietà privata, il primo per poter funzionare, la seconda per poter essere protetta, necessitano di uno Stato forte e Assoluto, almeno questo secondo Hobbes. I recenti studi di antropologia economica hanno dimostrato che lo scambio può avere anche ciascuno degli autori presi a riferimento da Martone per spiegare “le radici della disuguaglianza”.

Hobbes, come scrive L. Berns, è il padre del Liberalismo e <<concorda con la tradizione, che discende da Socrate e Tommaso d’Aquino, secondo cui gli obiettivi e la natura della vita morale e politica sarebbero determinati in relazione alla natura, in particolar modo alla natura umana. Tuttavia, stabilisce il criterio secondo cui la natura umana determina i valori per la politica in modo assai differente rispetto a quanto ha fatto la tradizione, cioè, costruendo una teoria dello “stato di natura”. La teoria dello stato di natura, dedotta, dice Hobbes, dalle passioni dell’uomo, è un modo di affrontare l’antico problema psicologico, un problema d’importanza decisiva per la filosofia politica: l’uomo è per natura sociale e politico? Hobbes lo nega. Le ragioni di questa negazione sono illustrate dalla teoria dello stato di natura, quella condizione prepolitica nella quale gli uomini vivono senza governo civile, o senza un potere comune superiore che li tiene in soggezione (…)[1]>>.Pertanto, è solo se analizzato rispetto alla genesi del Liberalismo che si può cogliere il senso della teorica di Hobbes. La necessità di uscire dallo “stato di natura” equivale a dire, per Hobbes, che l’uomo è dotato di ragione per cui: <<(…) è capace di calcoli razionali, il che è un altro modo per dire che è in grado di scoprire quali sono i mezzi più adeguati per raggiungere i fini voluti, e quindi di agire non solo obbedendo a questa o a quella passione, ma seguendo il proprio interesse[2]>> e il passaggio alla costruzione dello Stato è una scelta dettata appunto dalla ragione che ha come scopo quello di tutelare il diritto di proprietà privata e il luogo fisico individuato per la negoziazione tra le parti il mercato. Il mercato come luogo di scambio, da qui la condivisione dell’uguaglianza distributiva aristotelica, la proprietà di beni materiali come strumento per l’autoconservazione. Mercato e proprietà privata, il primo per poter funzionare, la seconda per poter essere protetta, necessitano di uno Stato forte e Assoluto, almeno questo secondo Hobbes. I recenti studi di antropologia economica hanno dimostrato che lo scambio può avere anche una diversa natura ad esempio di tipo morale, religioso ecc.[3]; Bohm – Bawerk, con Menger e von Wieser uno dei padri  fondatori della Scuola economica di Vienna, ipotizzava che  tra le prime forme di scambio vi fosse la scorreria ossia il conflitto violento, la natura “lupina” per dirla con Martone.

Scriveva Hobbes:<< La causa finale, il fine o il disegno degli uomini ( che per natura amano la libertà e il dominio degli altri ) nell’introdurre sopra di sé le restrizioni, entro cui li vediamo vivere negli Stati, è la previsione di ottenere in tal modo la propria conservazione, e una vita più confortevole; cioè, di uscire dalla miserabile condizione di guerra che è la necessaria conseguenza ( come si è mostrato) delle passioni naturali degli uomini, quando manca un potere visibile che li tenga in soggezione, e li vincoli, con la paura delle punizioni, all’adempimento dei loro patti e all’osservanza delle leggi di natura ( …)[4]>>, ed ancora,<< (…) come abbiamo mostrato, prima della costituzione dello Stato tutte le cose erano di tutti, e non vi è nulla di cui qualcuno possa dire che è suo, senza che qualsiasi altra persona, con lo stesso diritto, possa rivendicarlo come suo (dove infatti tutte le cose sono comuni, nulla può essere proprio di nessuno), segue che la proprietà ha avuto inizio con gli stessi Stati, e che è proprio di ciascuno, quello che può conservare grazie alle leggi e alla potenza dell’intero Stato, cioè grazie a colui cui è stato dato il potere supremo. Da ciò si comprende che i singoli cittadini possiedono qualcosa di proprio, su cui nessuno dei loro concittadini ha alcun diritto, perché sono tenuti alle stesse leggi; ma non possono avere alcunché di proprio, su cui non abbia diritto chi detiene il potere supremo, i cui comandi sono le leggi stesse, nella cui volontà è contenuta la volontà dei singoli costituito come giudice supremo. (…)[5]>>

Sulla funzione del Leviatano come strumento di difesa del diritto di proprietà e del funzionamento del mercato, è interessante quanto scrive Alejandro Pérez y Soto Dominguez, il quale affronta il pensiero di Hobbes dal punto di vista economico: <<Tradicionalmente se ha abordado a Thomas Hobbes como un teórico precursor del Estado Moderno. La propuesta de este artículo es elaborar una lectura económica de su obra para ubicar las consecuencias que tiene el planteamiento de la estructura institucional moderna. Se busca establecer el origen de la sociedad de intercambio y la propiedad como resultado de una estructura institucional enmarcada en el Estado Moderno. La ruptura de tipo antropológico de la visión hobbesiana, da lugar a una construcción institucional tal, que ofrece un espacio de relación entre los hombres por medio de la organización social construida alrededor del proyecto de la sociedad de intercambio.[6]>>.( traduzione mia << Thomas Hobbes è stato considerato un precursore teorico dello Stato moderno. La proposta di questo articolo è quello di elaborare una lettura economica della sua opera per individuare le conseguenze che la progettazione del moderno assetto istituzionale. Cerca di stabilire l’origine della società di scambio e del settore privato come risultato di una struttura istituzionale inquadrata nello Stato Moderno. La rottura antropologica della visione hobbesiana dà luogo a una tale costruzione istituzionale che offre uno spazio di relazione tra gli uomini attraverso l’organizzazione sociale costruita attorno al progetto della società dello scambio(…) >> ) L’approccio di Soto Dominguez è sicuramente funzionale a chiarire come Hobbes sia da considerare, nell’intenzione di Martone, il punto di partenza per analizzare “Le Radici della disuguaglianza”.  Scrive Soto Dominguez <<El aporte Hobbesiano en torno a la conceptualización del hombre moderno lo realiza a partir del abordaje de una estructura mecanicista. Es un hombre que construye su racionalidad y su ethos con base en una estructura pasional, fundamentada en los sentimientos de deseo/aversión. La definición de lo humano en el autor es la esencia pasional, la cual da cuerpo al comportamiento del individuo que podemos llamar humano. Ahora él no responde a un ideal superior sino a uno propio, lo bueno no emerge de la voluntad divina, sino del deseo interno[7]>>; ( traduzione mia << Il contributo hobbesiano alla concettualizzazione dell’uomo moderno deriva dall’approccio di una struttura meccanicistica. E’ un uomo che costruisce la sua razionalità ed ethos sulla base di una struttura passionale, basata sui sentimenti di desiderio/ avversione. La definizione dell’umano nell’autore è l’essenza appassionata, che incarna il comportamento dell’individuo che possiamo chiamare umano. Ora non risponde a un ideale superiore ma al proprio, il bene non nasce dalla volontà divina, ma dal desiderio interiore >>)  l’uomo moderno è animato costantemente dal “sentimientos de deso/aversión” e trova giusta realizzazione ne <<La propiedad: pasión institucionalizada. Como manifestación de lo anterior surge el establecimiento de la propiedad, la cual es un instrumento jurídico por medio del cual el Civitas extirpa una de las causas de la guerra total: el mutuo saqueo. Esta norma hará que el mutuo despojo que antes era deseado por los hombres cause aversión en los mismos[1]>>. ( traduzione mia << La proprietà : passione istituzionalizzata. Come manifestazione di quanto sopra, si pone l’istituzione della proprietà, che è un istituto giuridico mediante il quale la Civitas estirpa una delle cause della guerra totale: il saccheggio reciproco. Questa regola farà si che l’espropriazione reciproca che è stata precedentemente commessa dagli uomini provochi avversione nei loro confronti>>)     

La lettura in chiave economica dell’opera di Hobbes ha spinto a interpretare il suo “comportamento morale” come strumento utile per il raggiungimento dell’equilibrio di mercato attraverso le relazioni di scambio.[2]Per Hobbes, come si evince dai compiti attribuiti allo Stato, la libertà individuale riguarda la sfera economica e cioè lo scambio e la proprietà privata; l’oggetto del “Contratto sociale” sottoscritto prima tra i singoli e poi tra questi e lo Stato/Leviatano, è la difesa della proprietà privata e il regolare funzionamento dello scambio ossia dei contratti. Non a caso Hobbes fa scaturire dal mancato rispetto degli obblighi contrattualmente assunti da parte del Sovrano il legittimo diritto di resistenza da parte degli “uomini” divenuti “sudditi” dello Stato. Se lo Stato deve essere Assoluto, fonte unica del diritto, ed il Sovrano è legibus solutus, è anche vero che quest’ultimo è comunque vincolato alla norma originaria che è il “contratto sociale” con il quale ciascuno ha ceduto parte della propria sovranità allo Stato [3]. La difesa della proprietà privata dal potere assoluto del Monarca è parte della tradizione inglese. La Magna Charta, patto tra Monarca e Feudatari è a tutti gli effetti difesa della proprietà privata dalla sottrazione di parte dei frutti che essa produceva attraverso il prelievo fiscale operato dal monarca.

Passando a Rousseau: egli, con il “Discorso sull’origine della disuguaglianza”[1], “Il discorso sull’economia politica”[2] scritto su richiesta di Diderot per l’Encyclopédie, e  il “Contratto sociale”[3], prende atto dei limiti contenuti nella teorica di Hobbes spostando il tema dell’uguaglianza dalla sfera privata[4] a quella pubblica; nello specifico di come le volontà dei singoli associati si traducano nell’interesse pubblico o “volontà generale” da non intendersi come sommatoria delle singole volontà individuali. Penso che oggi Rousseau parlerebbe di come attraverso un processo negoziale si arrivi alla formazione della volontà generale alla quale le stesse minoranze si assoggettano accettando la potestà legislativa dello Stato, potestà che ha come fonte il contratto sociale che sta alla base del passaggio dallo stato di natura alla società civile. Per Rousseau il “contratto sociale” di Hobbes, con il riconoscimento del diritto di proprietà e della difesa del mercato, legittima il “furto” operato da alcuni a discapito della massa che dà origine appunto alla proprietà privata. A differenza di Hobbes, per Rousseau il “contratto sociale” deve invece avere la funzione di salvaguardare l’originaria uguaglianza e ciò può realizzarsi solo se tale fine viene spostato sul piano politico. Rousseau non è pienamente coerente: ritiene che la libertà dell’individuo non coincida con il diritto di proprietà e definisce “la proprietà un furto”, però non sostiene l’eliminazione di tale diritto. Scrive Martone << Entra in gioco così il concetto di volontà generale. Quest’ultima, essenzialmente diversa dalla volontà di tutti, non è la somma delle volontà individuali, ma qualcosa che tutte le trascende – una sorta di essenza metafisica, uno “spirito santo” che si deposita sulle volontà individuali degli uomini, innalzandole nel cielo della verità politica. La volontà generale è l’unica, autentica sovranità legittima. Essa però non è data una volta per tutte ma deve manifestarsi ogni volta che il popolo è riunito in assemblea (…) La volontà generale riduce e tendenzialmente elimina lo spazio dei particolarismi: la democrazia “perfetta” è quella che cancella qualsiasi dissidenza (n.d.r: questa impostazione di Rousseau non è totalitarismo: nel contesto attuale Rousseau parlerebbe di Democrazia partecipata circa la formazione della “volontà generale”)[5]. L’unanimità è invocata da Rousseau in quanto prova ontologica dell’esistenza della democrazia migliore (…)>> Evidenzia Martone: << Nelle intenzioni dell’autore ( n.d.r.: Rousseau), la volontà generale servirà a combattere, oltre all’ineguaglianza naturale, anche quell’ineguaglianza civile che rappresenta il segno più deteriore della corruzione politica>>[6]. In merito Martone richiama il seguente passo del Contratto sociale: << Il patto fondamentale, invece di distruggere l’uguaglianza naturale, sostituisce, al contrario, un’uguaglianza morale e legittima a quel tanto di disuguaglianza fisica che la natura ha potuto mettere fra gli uomini i quali, potendo per natura trovarsi ad essere disuguali per forza o per ingegno, diventano tutti uguali per convenzione e per diritto>>. Il contratto sociale dovrà essere capace di produrre un cambiamento morale tra tutti i sottoscrittori. Martone sottolinea come, per lo stesso Rousseau, una tale impresa appariva titanica se non addirittura impossibile; eppure è questo il tema che interessa la riflessione politica contemporanea.

La questione che poneva Rousseau richiama, dicevo, il dibattito sulla Democrazia deliberativa. A tal proposito mi viene in mente ciò che scrive David Held:<< La legittimazione politica (n.d.r. della democrazia deliberativa) non poggia sull’urna elettorale o sulla regola di maggioranza in sé, quanto, piuttosto, sulla capacità di presentare ragioni, spiegazioni e proposte plausibili per le decisioni pubbliche. L’obiettivo chiave è la trasformazione delle preferenze individuali, attraverso un processo di deliberazione, in posizioni che possano superare l’esame e la verifica pubblici. La discussione può vincere le limitazioni dei punti di vista individuali ed esaltare la qualità del processo decisionale pubblico per tutta una serie di ragioni>>[7]. Rousseau, uomo del suo tempo, poteva conoscere e studiare i modelli di Democrazia dell’antica Grecia, della Roma Repubblicana, delle città comunali e, essendo ginevrino, il governo della sua città; non poteva certamente immaginare il dibattito contemporaneo sui nuovi modelli di Democrazia, tra i quali bisogna annoverare la Democrazia della Governance [8] se non addirittura la “concertazione tra parti sociali”.Questi ultimi due esempi di democrazia sono ovviamente lontani dal modello di Democrazia teorizzato dal ginevrino; il dato che li accomuna, però, con il modello di Rousseau è la Democrazia come negoziazione tra interessi, che per il Nostro dovevano essere quelli del singolo individuo, oggi espressione di una molteplicità di stakeholders.

Rousseau riscrive le clausole del “contratto sociale” di Hobbes sostenendo che la disuguaglianza è strettamente legata alla proprietà privata e con questa affermazione si discosta non solo da Hobbes ma dallo stesso Locke[1] al quale si era, inizialmente, ispirato. Sull’origine della proprietà, scrive Rousseau: <<Il primo che, cintato un terreno, pensò di affermare questo è mio e trovò persone abbastanza ingenue da credergli fu il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, quante guerre, quante uccisioni, quante miserie e quanti orrori avrebbe risparmiato al genere umano colui che, strappando i pali o colmato i fossati, avesse gridato ai suoi simili: guardatevi dall’ascoltare questo impostore. Se dimenticate che i frutti sono di tutti e che la terra non è di nessuno, voi siete perduti>>[2].

Come scrive J.J. Chevalier [3], Rousseau dalla sua vita personale ha evinto le condizioni nelle quali versa una moltitudine affamata e priva del necessario. È a quella moltitudine che le clausole contenute nel “contratto sociale” di Hobbes hanno sottratto la naturale uguaglianza in nome dell’individuo proprietario tutelato dal Leviatano. La moltitudine affamata, resa tale dallo Stato assoluto tutore della proprietà privata e del mercato, non può nemmeno più recedere dal contratto perché lo Stato assoluto verrebbe meno ad uno dei suoi obblighi fondamentali e cioè il mantenimento dell’ordine pubblico.

Scrive Rousseau:<< La sola volontà generale può guidare le forze dello Stato secondo il fine della sua istituzione, fine che è il bene comune.  (n.d.r. da evidenziare il dibattito attuale sul bene comune, da intendere anche come dibattito sull’uso dei beni comuni e sul come porre un freno a diritti naturali che l’egemonia Liberale ossia la legittimazione assoluta della proprietà privata e del mercato puntano a privatizzare). Ciò che rende “generale” la volontà non è tanto il numero dei votanti quanto l’interesse comune che li unisce. La volontà generale, per essere veramente tale, deve esserlo tanto nel suo oggetto quanto nella sua essenza: deve partire da tutti per applicarsi a tutti>>. Da notare che Held non si discosta molto da ciò che scrive il ginevrino quando definisce il concetto di “Democrazia deliberativa”. È nella critica che Rousseau muove ad Hobbes che è possibile trovare “Le radici della disuguaglianza” che è propria della nascente società borghese, capitalista e liberale. Martone, giustamente, evidenzia che sia Hobbes che Rousseau, pur essendo individualisti, finiscono con il mettere in campo modelli fortemente anti – individualisti. Penso che l’individualismo di Hobbes e quello di Rousseau siano da considerare in contesti diversi. L’individualismo di Hobbes si esplicita nella sfera privata rappresentata appunto dall’uso della proprietà privata e dal mercato. Hobbes, da alcuni è considerato il padre del liberalismo ossia il “padre” dell’ideologia che giustifica la proprietà privata come elemento costitutivo della libertà individuale: l’uomo liberale è il proprietario e la relazione che ha con lo Stato è di difesa della proprietà privata dall’invadenza dello Stato. Su questo punto bisogna tener sempre presente il concetto di giustizia di Hobbes. Scrive in merito L. Berns: << Il diritto di natura è la libertà incontestabile di fare o di astenersi dal fare qualsiasi cosa ci sia possibile per preservare la propria vita. Il diritto implica anche un diritto ai mezzi per conseguire questo fine (…) ciascun uomo ha diritto per natura a qualsiasi mezzo egli giudichi utile per la sua conservazione. (…)[4]>>. Poiché la società civile è originata dal contratto sociale attraverso il quale ciascun individuo si vincola a rispettare gli obblighi contrattualmente assunti con l’altra parte e a non opporsi agli ordini dell’Istituzione che riconoscono come sovrana, dal rispetto dei contratti scaturiscono la giustizia o l’ingiustizia. Per cui, per Hobbes, non è l’oggetto della prestazione ad essere giusto o ingiusto, ma il rispetto o il mancato rispetto del contratto[5]. Il rispetto dei contratti, ossia dello scambio, è il fattore che determina l’ordine sociale. È in questo passaggio la fotografia del nascente sistema mercantile inglese: il riconoscimento del mercato come luogo di scambio e la necessità del rispetto dei contratti come comportamento funzionale, appunto, al nascente capitalismo. D’altra parte, Rousseau contesta l’ordine sociale che scaturisce dal rispetto formale dei contratti e si pone il problema della redistribuzione della ricchezza a favore delle masse sfruttate di allora. Afferma, infatti, con forza l’uguaglianza naturale che deve essere legata ad una redistribuzione delle risorse e che deve essere garantita dal “contratto sociale”. Da quanto sostiene Rousseau, in natura le risorse sono abbondanti: è la nascita del diritto di proprietà, e quindi della “società civile”, a renderle scarse e contendibili. Nel “Discorso sulla disuguaglianza” scrive[6]:<< è chiaramente contro la legge di natura (…) che un pugno di uomini nuoti nel superfluo, mentre la moltitudine affamata manca del necessario>>. Nel “Contratto sociale”[7] afferma che <<ogni uomo ha naturalmente diritto a tutto quello che gli è necessario (…) nessun cittadino sia tanto ricco da poterne comprare un altro, e nessuno tanto povero da essere costretto a vendersi>>. Non ci vuole molto per capire come la concentrazione della proprietà della terra nelle mani di pochi rendesse scarso il bene terra o qualunque altro bene. Per capire fino in fondo Rousseau bisogna tenere sempre presente il contesto in cui è vissuto. Le bon savage è per Rousseau l’ideal-tipo della bontà primigenia sostenendo che tutto ciò che è opera di Dio non può essere corrotto; ma che a corrompere la naturale bontà originaria è la nascita della civiltà, ossia la volontà dell’uomo o, in altre parole, la sovrastruttura culturale che ha come scopo la costruzione di visioni del Mondo utili a giustificare la disuguaglianza tra gli uomini. Rousseau affronta la questione anche dal punto di vista pedagogico nell’Emile[8]. Che una Società nata dal Contratto sociale abbia come oggetto il rispetto dell’uguaglianza naturale è fondamentale per evitare che essa degeneri in un sistema dove regnano corruttela e disuguaglianza sociale. Rousseau affronta il tema della disuguaglianza anche dal punto di vista della teoria economica. Certamente pensare Rousseau come economista, soprattutto dopo il modo con cui venne frettolosamente liquidato da Schumpeter[9], diventa difficile; eppure, secondo alcuni, merita di essere annoverato nella storia del pensiero economico ed, aggiungo, soprattutto ai fini del discorso sviluppato da Martone ne “Le radici della diseguaglianza”.

Sulla questione è interessante quanto scrive l’economista spagnolo J.F. Bellod Redondo in un saggio dal titolo significativo “Reivendicacion De Rousseau”[1] ( Traduzione mia “ Rivedicazione di Rousseau”) . A parere dell’economista spagnolo<<En contra de lo que sostiene Schumpeter, en los escritos económicos de Rousseau se encuentran muchas ideas y conceptos de la escuela fisiócrata, que era hegemónica en la época y en el país de economía agraria en que vivió. La fisiocracia fue un movimiento intelectual típicamente francés que surgió y se difundió en el siglo XVIII, cuya relevancia ha sido injustamente ensombrecida por el predominio del pensamiento económico británico y de su figura más destacada, Adam Smith. Cabe mencionar algunas ideas fisiocráticas que se encuentran en esos escritos: la invocación de la ley natural como principio explicativo, la condena del lujo, la preocupación por el descenso de la población en el campo en favor de la ciudad, la distinción entre trabajo productivo (en la agricultura) e improductivo (en el comercio y la manufactura), la defensa de un impuesto único y de un sistema fiscal más progresivo y, por último, un ataque frontal a los principios del mercantilismo. Igual que los demás fisiócratas, Rousseau considera la agricultura como única fuente de riqueza (excedente), de modo que juzga conveniente remover las trabas a su libre desarrollo. El lujo de los rentistas y los altos funcionarios públicos, así como las cargas tributarias impuestas a la agricultura para desarrollar y sostener a las ciudades y a sus habitantes, son lastres para la prosperidad. (…)>>. (traduzione mia << Contrariamente a quanto sostiene Schumpeter , negli scritti economici di Rousseau ci sono molte idee e concetti della scuola fisiocratica, che era egemone all’epoca e nel paese di economia agraria in cui viveva. La fisiocrazia era un movimento intellettuale tipicamente francese emerso e diffuso nel XVIII secolo , la cui rilevanza è stata ingiustamente oscurata dal predominio del pensiero economico britannico e dalla sua figura più importante , Adam Smith. Vale la pena ricordare alcune idee fisiocratiche che si trovano in questi scritti: l’invocazione della legge naturale come principio esplicativo, la condanna del lusso, la preoccupazione per il declino della popolazione nelle campagne a favore della città, la distinzione tra lavoro produttivo ( in agricoltura) e improduttivo ( nel commercio e nell’industria), la difesa di un’imposta unica e di un sistema fiscale più progressivo e, infine un attacco frontale ai principi del mercantilismo. Come gli altri fisiocratici, Rousseau considera l’agricoltura come l’unica fonte di ricchezza ( surplus) , quindi ritiene conveniente rimuovere gli ostacoli al suo libero sviluppo. Il lusso degli affittuari e dei funzionari pubblici di alto rango, così come gli oneri fiscali imposti all’agricoltura per sviluppare e sostenere le città e i loro abitanti, sono oneri per la prosperità(…)>>) . Come i Fisiocratici, Rousseau riteneva che la pressione fiscale sottraesse capitali all’agricoltura, unica fonte di ricchezza, spostandoli verso le attività commerciali e industriali con il conseguente impoverimento di tutti coloro che erano legati all’attività agricola. Se parliamo quindi di radici della disuguaglianza sul piano economico lo spostamento della ricchezza legata all’agricoltura verso la nascente industria è una delle cause se non quella principale. Tornando per un attimo ad Hobbes e al contesto rappresentato dalle guerre civili che interessano l’Inghilterra del ‘600, non si può fare a meno di evidenziare che il conflitto sia stato determinato dai diversi interessi economici in campo rispetto ai quali i temi teologico, filosofico e giuridico fanno da corollario: da una parte la nascente borghesia mercantile e industriale, dall’altra l’aristocrazia legata alla proprietà della terra come si evince dalla contrapposizione tra i Whig e i Tory. Questa contrapposizione,anche se in modo diverso, la troveremo di nuovo durante la Rivoluzione francese con gli sviluppi che da essa ne derivarono. Ritornando a Rousseau economista, scrive sempre Bellod Redondo[1] : <<En la obra de Rousseau es muy difícil separar sus reflexiones económicas de su obra filosófica y en particular de su teoría del Estado. Su liberalismo es una defensa de la ley natural como principio para liberar a la humanidad de todo tipo de coacción, no es una defensa del capitalismo y, por ello, es un autor “incómodo” como defensor del nuevo régimen económico en tanto que avance inobjetable o causa de progreso en todos los campos del orden social. En general, el pensamiento económico del siglo XVIII atacó las instituciones económicas del Antiguo Régimen, y aunque se podría decir que promovía el capitalismo naciente, Rousseau escribió antes del inicio de la Revolución Industrial. Los pensadores de la época consideraban que la servidumbre, el mayorazgo y la heredad de la tierra, la organización gremial y el proteccionismo comercial impedían la libre circulación de bienes y factores productivos y, en consecuencia, frenaban el progreso económico( …)>>. ( traduzione mia <<Nell’opera di Rousseau è molto difficile separare le sue riflessioni economiche dal suo lavoro filosofico e in particolare dalla sua teoria dello Stato. Il  liberalismo è una difesa della legge naturale come principio per liberare l’umanità da ogni tipo di coercizione, non è una difesa del capitalismo e,quindi, è un autore “scomodo” come difensore del nuovo regime economico come indiscutibile progresso o causa del progresso in tutti i campi dell’ordine sociale. In generale , il pensiero economico del XVIII secolo attaccò le istituzioni economiche dell’Antico Regime, e sebbene si possa dire che promosse il nascente capitalismo, Rousseau scrisse prima dell’inizio della Rivoluzione Industriale. I pensatori del tempo consideravano che la servitù, il maggiorascato e l’eredità della terra, l’organizzazione corporativa ostacolarono la libera circolazione delle merci e dei fattori produttivi e, di conseguenza, rallentarono il progresso economico (…)>>). In sostanza Bellod Redondo conclude il suo saggio evidenziando che Rousseau non viene considerato un pensatore economico perché non era un liberale nel senso smithiano del termine; per cui, pur meritando un posto tra gli economisti fisiocratici, non viene considerato tale perché fornirebbe un ventaglio interpretativo più ampio rispetto al passaggio dall’Ancien Regime al capitalismo liberale. Eppure, nonostante Rousseau non sia funzionale al nascente capitalismo liberale vi è un passaggio che proprio Bellod Redondo mette in evidenza nel suo saggio e riguarda il manifestarsi della volontà generale come espressione autentica del bene comune in relazione ai corpi intermedi, espressione di interessi particolari; da qui scaturisce l’interpretazione di un Rousseau ostile ai corpi intermedi. Rousseau è un individualista e l’individualismo è l’essenza del Capitalismo. L’individualismo proprio del Liberalismo introdotto nella Democrazia spianerà la strada ad una nuova e più raffinata forma di sfruttamento.

Il regista Gillo Pontecorvo, attraverso il personaggio di Sir William Walker, lo spiega agli schiavisti di Queimada nell’omonimo film. Lo storico del diritto Giovanni Cazzetta lo spiega attraverso un’approfondita analisi in un suo scritto dal titolo “Il lavoro”[2]. Per il Cazzetta due sono gli eventi che aprono l’età contemporanea all’insegna di grandi speranze: la rivoluzione francese, che avrebbe dovuto dare a tutti la libertà anche quella di lavorare e la rivoluzione industriale, che avrebbe dovuto assicurare prosperità. Levatrice di entrambe, la libertà individuale, che nel mondo del lavoro si tradurrà nella eliminazione delle Corporazioni, retaggio antico, addirittura romano. L’eliminazione delle Corporazioni, del maggiorascato, della manomorta, la vendita delle proprietà ecclesiastiche e l’abrogazione di tutta una serie di istituti che bloccavano la circolazione delle merci, tra le quali il lavoro, sono il prodotto della Rivoluzione Francese che in nome della libertà individuale di fatto crea le condizioni per nuove forme di schiavitù e di sfruttamento. L’istituto giuridico attraverso il quale la libertà individuale si esplicita è il contratto, che diventa l’istituto giuridico attraverso il quale le classi alte continuano a mantenere il proprio status sociale. Le corporazioni e i corpi intermedi che impediscono la libertà del lavoratore, verranno abrogate con le leggi d’Allarde del 2 – 17 marzo 1791 e Le Chapelier del 14 – 17 giugno 1791. Con l’abrogazione delle corporazioni vengono creati i presupposti per impedire che i lavoratori possano in qualche modo organizzarsi al fine di riequilibrare il rapporto contrattuale con i padroni. Questo passaggio,che si consuma durante la Rivoluzione francese, avrà effetti deleteri per milioni di uomini, i quali forniranno manodopera a buon mercato alla nascente industria in nome della Libertà e dell’Uguaglianza. La legge Le Chapelier, eliminando i corpi sociali intermedi, introdusse pesanti sanzioni per coloro che violavano la legge al fine di inibire le nascenti associazioni di lavoratori. Nella esposizione della legge, Le Chapelier prese a riferimento interi passaggi del “Contratto Sociale” di Rousseau. Gli effetti di tale provvedimento legislativo sulle masse proletarizzate furono deleteri e ci sarebbero voluti decenni perché potessero vedere migliorate le loro condizioni. Karl Marx, nel Capitale, definì questa legge un vero e proprio “colpo di Stato”.

Il dibattito sul significato della Libertà, della Democrazia e dell’Uguaglianza continua ad essere attuale. Interessante, per l’economia del discorso che sto sviluppando, è il contributo che Tocqueville diede al dibattito che interessò l’Assemblea Costituente della Francia del 1848 – 49. Da quel dibattito emerse in modo chiaro come la Libertà dei Democratici e soprattutto dei Socialisti è altra cosa rispetto alla Libertà dei Liberali. Sia chiaro, lungi da me condividere la differenza fatta da Croce tra Liberalismo e Liberismo, per quanto mi riguarda sono esattamente la stessa cosa. Tornando a Rousseau economista e sempre ai fini della individuazione delle “radici della disuguaglianza”, emerge con chiarezza che la disuguaglianza sia un dato relativo alla distribuzione della ricchezza e chela disuguaglianza politica sia una sua conseguenza. Nella sua Storia del pensiero economico, Henri Denis[1] dedica un capitolo a Rousseau. Scrive Denis:<<È stato sempre al centro dei pensieri di Rousseau la preoccupazione di definire le misure adatte a concretare quest’eguaglianza, sia pur relativa, degli uomini nella ricchezza>>. Rousseau esplicita l’esposizione del tema della giustizia redistributiva ne “La Economia politica” scritto per l’Encyclopedia di Diderot. Scrive H. Denis[2]:<<Rousseau non propone pertanto di sopprimere la proprietà privata, bensì ipotizza semplicemente, per limitarne il potere e l’estensione, una serie di misure tipicamente “socialiste”. Egli afferma che lo Stato ha la piena facoltà di regolamentare le successioni ereditarie, poiché in effetti, ha cura di sottolineare, il “diritto di proprietà, per la sua stessa natura, non può certo estendersi al di là della vita del proprietario”. Parimenti, lo Stato ha il potere di intervenire per regolare l’alienazione dei beni, affinché non escano dall’ambito della famiglia. Ma infine e soprattutto, Rousseau concepisce l’imposta come uno dei principali strumenti al servizio della realizzazione dell’eguaglianza. (…) l’imposta non deve essere considerata (…) soltanto come un mezzo per rifornire di denaro lo Stato; essa, al contrario, deve “prevenire il continuo aggravarsi delle differenze sociali”>>. È del tutto evidente che l’Individualismo e la Libertà di Rousseau sono altra cosa rispetto all’Individualismo e alla Libertà dei Liberali. Il ginevrino attribuisce allo Stato la capacità di creare l’ordine sociale, i liberali alla Locke e alla Smith attribuiscono tale capacità al mercato. Da questa posizione di Rousseau molti evincono l’origine dello Stato Totalitario. Martone[3] parla nel suo saggio di Leviatano democratico aggiungendo che: <<L’opera di Rousseau va compresa, però, a partire dalle contraddizioni del suo tempo. Egli si è fatto interprete, appassionatamente e contraddittoriamente, dell’imperiosa esigenza di giustizia egualitaria che si profilava in maniera irresistibile sullo scenario storico della seconda metà del diciottesimo secolo>>. Alcuni dei temi trattati da Rousseau, come ho provato ad argomentare, sono attuali altri meno o per nulla. Le ragioni sono dovute al contesto storico nel quale è vissuto. Rousseau aveva davanti a sé l’ascesa della società borghese e del sistema economico capitalista con i privilegi e con le disuguaglianza che la libertà dei Liberali portava avanti attraverso la protezione dello Stato Assoluto, come poteva essere appunto  la Francia mercantilista (questo almeno fino a quando i benefici delle politiche dello Stato Assoluto non superarono i costi causando la Rivoluzione del 1789)o la Gran Bretagna che ai tempi di Rousseau appariva pacificata dalla lunga guerra civile che l’aveva interessata per tutto il XVII secolo. Più in generale i Governi degli Stati Assoluti del XVIII secolo, divenuti nel frattempo Illuminati, portavano avanti politiche economiche e finanziarie favorevoli all’ascesa della borghesia e al sistema economico e ideale da essa interpretato, il Liberal – Capitalismo, che aveva nell’individualismo proprietario la sua Etica. E’ a questo sistema che Rousseau si oppone con la sua idea di  Democrazia fondata su un “Contratto sociale” che abbia in se anche fattori redistributivi; anche se, come abbiamo visto, le sue idee sono state utilizzate per introdurre leggi che oggi chiameremmo antisociali.

A differenza di Rousseau, come vedremo, Tocqueville ha di fonte a sé il primo sistema Liberal – Democratico Moderno e cioè gli Stati Uniti d’America; il sistema politico Britannico e l’esperienza della Rivoluzione francese del 1789 alla quale dedicherà uno studio specifico pubblicato, la prima volta, pochi anni prima della sua morte[4]; la rivoluzione del 1830, alla quale aderì senza molta convinzione e infine la Rivoluzione del 1848 con la successiva deriva Bonapartista. In un certo senso Tocqueville, rispetto a Rousseau, è stato fortunato perché ha potuto osservare il consolidarsi del Liberalismo e l’emergere di istanze Democratiche e Socialiste legate all’avvento delle masse sulla scena politica.

[1] T. Hobbes. De Cive – Editori Riuniti.  Pag. 113

[2] Ibidem nota 1 pag. 80

[3] R. Giurato –Stato, Corona e Chief Ministers. L’evoluzione politico – istituzionale inglese in età moderna. Ed. Il Chiostro 2° Edizione 2011

[4] A cura di L. Strauss – J. Cropsey  Storia della filosofia Vol. II politica  – Hobbes di L. Berns Ed. il melangolo 1995 pag. 146

[5] P. Tincani – I contrattualismi. Thomas Hobbes in  Filosofia del diritto Ed. Le Monnier 2017 pag. 69

[6] H. K. Scheneider – Antropologia economica. Ed. il Mulino 1985

  1. Diamond – Armi, Acciaio e Malattie. Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni. Ed. Einaudi 1998

[7] T.Hobbes Leviatano . Editori Riuniti 1982

[8] Ibidem  nota 7 pag. 138

[9] A. Pérez y Soto Dominguez – Sobre el froge del estado y las sociedades mercantiles. Revista Temas 2012 pag. 35

[10]Ibidem nota 9 pag. 39

[11] Ibidem nota 9  pag. 49

[12] H. Grueso Hurtado – La moral hobbesiana como equilibrio de mercado. Investigaciones de Historia Economica June 2013

[13] J.J. Chevalier Storia del pensiero politico ed. il Mulino vol. II

[14] J.J. Rousseau – Origine della Disuguaglianza – ed Feltrinelli 2019

[15] I.I. Rousseau – A Discourse on Political Economy – ISN ETH Zurich 2008 testo in inglese

[16]J.J. Rousseau.Il contratto sociale Ed. Einaudi 1984

[17]McPherson, Libertà e proprietà alle origini del pensiero borghese. La teoria dell’individualismo possessivo da Hobbes a Locke Ed. ISEDI

[18] A. Martone –Le radici della disuguaglianza. Ed. Mimesis 2011 pag.74

[19] Ibidem nota 18 pag. 74

[20] D. Held. Modelli di democrazia. Ed il Mulino 2007 pag. 410

[21]M. R.  Ferrarese- La governance tra politica e diritto ed. il Mulino

  1. Ferrarese – Promesse mancate – ed. il Mulino

[22] J. Locke. Trattato sul governo – ed. Riuniti

[23] Ibidem nota 14

[24] J.J. Chevalier – Storia del pensiero politico Volume II – L’età moderna ed. il Mulino 1981

[25] Ibidem nota 4 pag. 146

[26] T. Hobbes Leviatano. A cura di Tito Magri Editori Riuniti 1982

[27] Ibidem nota 14

[28] J.J. Rousseau – Il Contratto Sociale. Ed. Einaudi 1984

[29] J.J. Rousseau –  L’Emilio. –  La Scuola Editrice 1978

[30] J. A. Schumpeter – Storia dell’analisi economica. Edizione ridotta a cura di Claudio Napoleoni. Ed. Boringhieri 1979

[31] J.F. Bellod Redondo –Reivindicacio de Rousseau – Revista de economia Istitucional  Vol. 18 n. 34 Primer semestre /2016 PP 19 – 37 pag. 30

[31] Ibidem nota 32

[33] G. Cazzetta In Treccani – Il contributo italiano alla storia del pensiero- Diritto – 2012.

[34] H. Denis – La restaurazione dell’idealismo sociale : Jean Jacques Rousseau in Storia del pensiero economico  Vol. I L Ed. Oscar Saggi Mondadori pag. 290

[35] Ibidem nota 32 pag. 291

[36] A. Martone . Le Radici della disguaglianza. Ed. Mimesis 2011 pag. 89

[37] A. de Tocqueville L’Antico regime e la Rivoluzione. Ed. BUR 1996

 

 

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