Il mondo nuovissimo (terza parte)

ANNO XLII DELL’ERA DELLA RINASCITA

 

Ha smesso di nevicare a notte inoltrata, ma all’alba il cielo era già limpido e sgombro di nubi. Un’abbacinante e soffice coltre bianca copre ogni cosa quando finalmente trilla la sveglia, destando Marco 2039 da un sonno agitato. Il giovane si rigira ancora intontito nel lettuccio: avverte un cerchio alla testa e un sapore acre nella bocca riarsa. «Devo fare in fretta se non voglio tardare al lavoro», biascica, cercando tastoni la confezione di pasticche del benessere prescrittegli mesi prima dal medico online (soffre infatti di ricorrenti emicranie – ma “non è nulla di serio”, l’ha rassicurato una voce robotica). Gli ci vuole qualche affannoso minuto per rievocare ciò che è capitato il giorno avanti… e ricordarsi del fatto che gli è stato inopinatamente concesso un giorno di ferie (pagate). Ondeggia, come in preda alla vertigine. La bottiglia di vino, smezzata, occupa il centro del tavolinetto, attorniata da stoviglie unte: ricacciando un rigurgito acre Marco la sbatte in frigo a far compagnia a gamberi e conchiglie. Inghiottita la pillola si sente immediatamente meglio (è fortunato a potersi permettere un’assicurazione sanitaria basica!) e prima ancora di riempire la cuccuma con due cucchiaini di caffè – cioè del surrogato brunastro acquistabile nei negozi dei dintorni – opta per una fresca boccata d’aria sul terrazzino.

La temperatura, seppur prossima allo zero, è sopportabile, l’atmosfera tersa; s’è chetato pure il vento nordorientale, mutatosi in una lieve brezza che soffia dal mare. In lontananza rilucono pallide le acque del golfo – soltanto la piana sottostante e la battigia sono avvolte, come di consueto, da una fitta, impenetrabile foschia. Appoggiato alla balaustra il giovane rimira dall’alto, in silenzio, alberi, strade e tetti imbiancati, sedotto dalla nivea purezza di quel manto non ancora contaminato da sporcizia, suole, rifiuti. Fantastica, assaporando quello spettacolo per lui insolito ed effimero come un arcobaleno d’estate: fra un quarto d’ora al massimo centinaia di adulti diretti al lavoro sciameranno fuori dalle case alveare, annerendo i marciapiedi – ma per adesso si respira quiete. Cosa mi manca per essere contento? si domanda Marco – e subito si risponde: una persona, una donna con cui condividere questo fuggevole momento… e magari una cena e qualcosa d’altro. Francesca gli ha fatto visita in sogno: regole e ferrei divieti possono violentare la natura umana, imbrigliarla perfino, ma per quanti sforzi si facciano sovvertirla è impossibile. Il giovane comunque non coltiva illusioni: sa bene che il suo desiderio rimarrà inappagato. Il monolocale assegnatogli può a stento ospitare un’unica persona, ma non è la ridotta metratura a costituire il principale ostacolo. La coabitazione di maschi e femmine è proibita per legge al pari di relazioni e rapporti sessuali: basta un amplesso occasionale per incorrere nel reato di “fornicazione”, punito con pene severe. La procreazione è ammessa esclusivamente in forma assistita e gli individui sani sono tenuti alla periodica donazione di seme, che sarà poi usato per fecondare – all’interno di strutture specializzate – giovani donne fertili e garantire così un futuro alla comunità: nella società della Rinascita padri e madri non esistono più (nemmeno genitori uno e due, se è per questo). Non tutti riescono a mantenersi casti (o a rassegnarsi alla pratica vergognosa del vizio solitario), perciò chiunque può accedere con modica spesa alle “case del diletto” aperte in ogni quartiere urbano e colà, grazie alla realtà virtuale, vivere le esperienze agognate. Nel chiuso di una cabina insonorizzata è lecito soddisfare le voglie più turpi e inconfessabili – Marco però in quei locali malfamati non ha mai messo piede, e nutre un’istintiva avversione per chi li frequenta.

Si odono sbattimenti di porte e un vociare indistinto, poi una ridda di imprecazioni: qualcuno deve essere scivolato sulla neve fresca. La magia si è ormai dissolta e il giovane rientra in casa. Mentre intinge un biscottino ammuffito nella bevanda fumante inizia a ripensare agli eventi della sera precedente alla ricerca di spiegazioni plausibili (prima di far colazione ha voluto appurare, per scrupolo, che il giorno di riposo gli sia stato effettivamente autorizzato). Può darsi che i manager siano soliti approcciare singoli dipendenti, magari per sondarne gli umori o per raccogliere informazioni che reputano utili… forse è una prassi abituale, solo che lui non lo sa perché non gli era mai successo prima di imbattersi in qualcuno di loro e con i colleghi non è certo in confidenza. Sarà così, tenta di persuadersi, ma… perché quello strano accenno, allora, a una festività cancellata dai calendari? Lo coglie una sottile irrequietezza, di nuovo un senso di spaesamento, e rotea febbrilmente lo sguardo come se cercasse qualcosa cui appigliarsi. Il miniappartamento appare pulito, in ordine: merito del personale di servizio, che passa tre volte alla settimana a riassettarlo mentre lui è al lavoro – così dicono, almeno, perché Marco non sa neppure che faccia abbiano le pulitrici, ammesso che siano donne in carne e ossa e non robot. Quel Luigi… si è mostrato generoso, d’accordo, ma poteva anche tenerseli per sé i suoi doni! in qualche modo gli ha sconvolto l’esistenza, suscitandogli interrogativi cui non è proprio in grado di dare risposta, ma con i quali d’ora in avanti gli toccherà convivere. «Io non ho mai chiesto niente a nessuno! – alza infervorato la voce – faccio il mio senza lamentarmi, non ambisco a nulla… perché non mi hanno lasciato in pace? Sarebbe stato meglio andare in ufficio oggi, sarebbe stato… sì, più rassicurante».

Trangugiato con una smorfia l’ultimo sorso di cicoria Marco si reca in bagno per darsi un’approssimativa sciacquata (lavarse in tochi si diceva una volta: d’altronde nello stanzino manca lo spazio per una doccia…), poi attacca a interrogarsi sul come impiegare al meglio la mattinata “festiva”. Per schiarirsi le idee esce di nuovo sul balconcino e si sofferma a contemplare il paesaggio circostante: in giro non c’è più nessuno, ma ovunque si scorgono impronte sulla neve, il cui candore è uno sbiadito ricordo. Il quartiere è deserto, privo di vita e di colore. Una sigaretta ci vorrebbe, ma il giovane ignora la loro passata esistenza, visto che il tabacco è fuori legge da decenni.

Dopo un po’ ritorna dentro e, scosso da un tremito, accende il visore, ma non prima di essersi versato mezzo bicchiere di vino. Riepiloga le informazioni raccolte la sera prima, che poi si riducono a una: il Madagascar non produce cereali. Traduce mentalmente: il mio lavoro non serve a nulla… pertanto devo capire per quale motivo mi costringano a star seduto dieci ore al giorno davanti a un computer. Prima dell’Era della Rinascita c’è stato il… periodo oscuro: tocca apprendere qualcosa su quell’epoca oramai lontana. Alle scuole tecniche la storia non è materia di insegnamento (lo stesso termine “storia” è desueto) e i millenni trascorsi vengono liquidati con una sfilza di aggettivi sprezzanti, ma qualche video deve pur essere sopravvissuto… Trepidante avvia la ricerca in rete: dopo molti tentativi andati a vuoto compare sullo schermo il link a un documentario realizzato qualche lustro prima con materiale d’archivio. Le immagini non sono granché nitide e ogni tanto si bloccano crepitando: la prima scena mostra la via di una grande città, gremita all’inverosimile di individui che sembrano camminare l’uno sopra l’altro sullo sfondo di edifici alti fino al cielo. Visi seri e ingrugniti, passi frettolosi sotto una pioggia insistente… poi l’operatore inquadra uno scorcio di periferia metropolitana abitata da gente scura e cenciosa, con galline che razzolano e fangose pozzanghere: lerciume, squallore… due immensi, spauriti occhi neri su una faccina smunta: intorno al capo del bimbo africano svolazzano dozzine di mosche, non si vede nient’altro… nella ripresa successiva due gruppi si fronteggiano urlanti e minacciosi brandendo bastoni finché l’arrivo della polizia non li disperde a suon di botte… violenza, incendi, pestaggi… edifici che crollano colpiti da missili, secco tuonare di cannoni, persone mascherate e irriconoscibili che, protette da tute simili a scafandri, si accostano con cautela a larve umane attaccate a un respiratore… La voce narrante spiega in tono neutro: “… già alla fine del secondo millennio il mondo era sull’orlo della catastrofe, ma poi le cose peggiorarono, sebbene nel continente nordamericano e in quello europeo si stessero pian piano affermando i diritti civili. Altrove però regnavano tirannia e barbarie. Competizione e disuguaglianza mietevano vittime, ma all’inizio di quello che era definito il ventunesimo secolo l’eccessivo aumento della popolazione mondiale, che giunse a superare gli otto miliardi di unità, determinò la crisi irreversibile del sistema: la produzione agricola planetaria cominciò a rivelarsi insufficiente a sfamare le masse e in molte parti del globo scoppiarono tumulti, repressi con durezza. Si moriva di fame e soprattutto di sete, perché la crescita inarrestabile delle temperature, provocata dall’inquinamento atmosferico, causava diffuse e perduranti siccità. Per colpa di politiche sconsiderate il clima stava cambiando: i letti dei fiumi si asciugarono, ma il mare inghiottì floride città costiere, forzando intere comunità a emigrare. Gli scontri di civiltà si moltiplicarono, poiché i popoli erano intossicati da ideologie razziste e populiste e non si consideravano fratelli. Alla fine del secondo decennio scoppiò una pandemia originatasi nei laboratori militari dell’allora Repubblica Cinese: è opinione diffusa che i comunisti al potere intendessero piegare il mondo semilibero con l’arma batteriologica, ma la situazione sfuggì loro di mano. Si ebbero centinaia di milioni di vittime: niente poteva fermare il virus, anche se alcune corporations statunitensi misero generosamente a disposizione dell’umanità preziosi vaccini… fu a quel punto che un folle satrapo orientale alleato dei cinesi, il nuovo Hitler (Hitler? Chi è Hitler?, si domanda Marco, attento a ogni dettaglio), aggredì all’improvviso e senza alcuna ragione un paese pacifico avviato verso la democrazia. L’Occidente venne in soccorso del popolo invaso, ma il dittatore pazzo, prossimo alla disfatta, decise di ricorrere all’arma atomica, e in poche ore mezza Europa venne polverizzata dalle testate nucleari. Fu un’ecatombe, ma un attimo prima che avvenisse l’irreparabile i top manager delle multinazionali americane assunsero finalmente il potere, scongiurando la distruzione del mondo e salvandolo. La guerra, costata centinaia di milioni di vittime (altre centinaia di milioni? Ma quanta gente è morta in quegli anni disgraziati?), si concluse con la sconfitta del tiranno, ma i suoi effetti si protrassero per anni. I manager delle grandi multinazionali democratiche, persuasi che gli stati avessero fatto il loro tempo, strinsero allora un patto, inaugurando l’Era della Rinascita in cui felicemente viviamo…”

Certo, i filmati sono più eloquenti delle parole nel rappresentare una civiltà in disfacimento, però stavolta a Marco i conti non tornano. Ci sono dei passaggi poco comprensibili, ma a confonderlo è quel riferimento – se non alla pace – alla conclusione di un conflitto. «Ma come? – protesta sottovoce – ricordo che già quando andavo in collegio, da piccolo, una parte del notiziario serale era dedicata, un giorno sì e l’altro anche, ai sanguinosi scontri sul confine orientale… gli asiatici attaccavano, i soldati della Federazione delle Libere Imprese… cioè i nostri… li respingevano, vincendo battaglie su battaglie… è da allora, ma forse anche da prima, che la guerra va avanti ininterrotta… possono dirci quello che vogliono, ma i manager non l’hanno portata, la pace! Ma soprattutto: perché non lasciarmi nell’ignoranza?», conclude stizzito, afferrando il telecomando a infrarossi.

Come volevasi dimostrare: va in onda il videogiornale di metà mattina che, dopo aver dato conto del Vegan Pride tenutosi a New Wall Street, celebra con enfasi l’eroica resistenza di una compagnia di volontari in Asia: “… aggrediti all’improvviso da soverchianti forze nemiche i nostri sono riusciti a resistere e a contrattaccare, subendo gravi perdite, finché il sopraggiungere di reparti corazzati ha costretto gli assalitori a un’umiliante ritirata… Ancora una volta i reparti della Federazione si sono dimostrati all’altezza della loro missione civilizzatrice…” Il trionfalismo dello speaker stona con la cruda franchezza della videocamera, che riprende un’arida, sconfinata pianura e uomini di mezza età inseguiti da blindati che ne fanno strame. I colpi di fucile rimbalzano inoffensivi sulle corazze dei mezzi che poi, sotto il fuoco delle artiglierie, indietreggiano con pochi danni… in cielo si fronteggiano intanto due droni di ultima generazione: quello nemico è di forma triangolare, “l’F40, superiore a qualsiasi aviogetto avversario” assomiglia a una falce di luna. Più che a un combattimento sembra di assistere a una danza (o a una dimostrazione): i due grossi apparecchi eseguono eleganti acrobazie, poi si allontanano in direzioni opposte senza aver sparato un solo missile. Le perdite umane sono state cospicue, ma forse non rilevano… risuonano le note dell’inno federale. Segue la pagina sportiva: “Nel terzo turno del campionato europeo di calcio virtuale per club travolgente successo del Real Madrid guidato da Pelé e Maradona sull’Austria Vienna, andata in vantaggio con un goal del clone di Sindelar: finisce 7-1, i blancos paiono lanciati verso la conquista del trentesimo trofeo continentale… brusca battuta d’arresto per lo Zaule, sconfitto ad Aberdeen dai padroni di casa nella replica del Pittodrie Stadium…”

Basta e avanza: un clic e lo schermo si rabbuia.

Il giovane passa le due ore scarse che residuano prima che sia mezzogiorno a scervellarsi, ma troppe sono le tessere mancanti del mosaico: lascia cadere le ipotesi a una a una e, tirate fuori dal frigo le vivande, si accinge senza soverchio entusiasmo a desinare. Per fortuna gamberoni e capesante vanno scaldati e basta: attiva il fornetto e, nel frattempo, si concede il lusso di un secondo bicchiere di bianco, che centellina immerso in vaghi pensieri. La bottiglia è ormai finita: allora stappa un po’ a fatica quella di spumante. Non è abituato all’alcol né alle bollicine e il primo sorso lo inebria un poco, facendogli girare la testa: meglio non bere a stomaco vuoto, addenta con voracità inaspettata un crostaceo, ma è il sapore delicato delle conchiglie a sorprenderlo in positivo. Mangia con appetito, adesso, e quasi senza accorgersene tracanna mezzo litro di vino effervescente. D’improvviso lo coglie una strana euforia: sente di dovere e poter fare qualche cosa di utile e… importante (si ripromette), anche se prova una sensazione di pienezza – invero non sgradevole – e le gambe lo reggono appena. Spalanca la porta finestra e mette piede in poggiolo, poiché ha bisogno d’aria pulita: il tempo si è rimesso al brutto e ha ripreso a nevicare. Inspira profondamente: non è ubriaco, solo leggermente brillo, e una spruzzata di fiocchi gelati in pieno viso ravviva un ottimismo che non credeva gli appartenesse.

Per qualche istante Marco si abbandona alla tormenta che, selvaggia e insieme ammaliante, lenisce ogni turbamento dell’animo: resiste finché il corpo, scosso dai brividi, non lo forza al rientro. Non che in appartamento faccia caldo, tutt’altro: per evitare sprechi la temperatura all’interno dell’edificio è stabilmente impostata sui 15 gradi centigradi, anche se certe notti – sospettano i residenti – la caldaia condominiale viene addirittura spenta. Per non crepare di freddo tocca arrangiarsi, cioè coprirsi per bene: Marco si avvolge in una spessa coperta di (simil)lana e si distende sul letto, precipitando subito in un inquieto dormiveglia che cede tosto il passo a un sonno profondo.

 

Non riposa a lungo però: un frenetico sbatacchiare di imposte lo riscuote bruscamente a metà pomeriggio, interrompendo un sogno picaresco. Che fare? Non ha voglia di aspettare la sera chiuso fra quattro mura: setaccia l’armadio alla ricerca di indumenti pesanti e, indossatili, si prepara titubante a uscire. Gli stivaletti invernali in dotazione (ne ha un unico paio) non sono antiscivolo: dovrà fare parecchia attenzione, visto che le strade potrebbero risultare sdrucciolevoli.

È aduso a camminare in solitudine, ma a quest’ora non c’è un’anima attorno né segni di vita animale: le bestie se ne stanno rintanate, i vicini torneranno da uffici e stabilimenti ben dopo l’imbrunire. Regna un silenzio sordo che non rasserena: Marco 2039 si sente osservato, sebbene nessuna finestra illuminata vivacizzi le severe facciate dei casermoni del rione, tutte rinnovate di fresco. Alcuni pini inghirlandati dalla bufera, nel frattempo scemata, danno un tocco natalizio alla scena che lui non è in grado di ravvisare – muove i suoi passi con cautela, gli occhi bassi, guardandosi dall’insidia delle discese. La neve per fortuna è morbida, non ancora gelata, ma subitanee folate mettono a repentaglio l’equilibrio del giovane, specie in prossimità dei crocicchi battuti dal vento. Non sa dove stia andando: in verità avanza come un sonnambulo, seguendo il tracciato della via che conduce all’altopiano.

Gli edifici ai lati si diradano, ma a un tratto Marco intravede una figura imbacuccata che procede spedita nella sua direzione. Chi sarà mai?, si incuriosisce, e accelera a sua volta l’andatura – si è ormai lasciato alle spalle una lunga serpentina di orme.

Potete ben immaginare lo sbalordimento del giovane non appena si accorge che “il” viandante è in realtà una lei e ha i tratti delicati e (per lui) inconfondibili della cassiera Francesca. Marco si pianta, attonito e inspiegabilmente felice, e dopo averle rivolto un cenno di saluto la chiama per nome.

La ragazza sorride, un po’ a disagio, e non sembra intenzionata a fermarsi, ma lui sente l’impellenza di confidare a qualcuno le sue parziali scoperte (con chi altri potrei parlarne?) e le si affianca. Nota che il viso di lei è pallido più della neve mentre le mani nude sono arrossate. Doma l’impulso di afferrarle e tenerle strette nelle sue, per scaldarle, e attacca confusamente a narrare di una guerra che affermano essere terminata quasi mezzo secolo prima e invece continua imperterrita, di paesi che producono soltanto cifre… racconta lo spiazzante episodio del vecchio collega e la sua invettiva contro un mondo, una società che pare ospitare solamente giovani… non tralascia di informarla sulle circostanze in cui è venuto in possesso del buono speso al market.

Marco vorrebbe trasmetterle le sue emozioni, ma la donna appare disattenta, come se pensasse ad altro… o se tutte quelle cose le sapesse già (ma questo è impossibile, riflette lui). Inaspettatamente Francesca gli chiede se abbia gradito il cibo dei signori (usa questo termine preciso) e lui accenna di sì, ma la domanda lo ha lievemente indispettito perché suona alle sue orecchie stupida e irrilevante. Può darsi non abbia compreso – azzarda – o forse semplicemente non gli crede: come reagirebbe lui al suo posto? Quel che lo lascia perplesso (e lo sbigottisce un tantino) è la mancata reazione di lei di fronte a rivelazioni che chiunque giudicherebbe sconcertanti: si attendeva perlomeno un’esclamazione, un moto di incredulità, qualcosa insomma… invece niente. Come interpretare un simile contegno?

La giovane sembra piuttosto ansiosa di congedarsi: «Ascolta Marco – sussurra – mi ha fatto piacere incontrarti, ma ora devo proprio andare: mi aspettano».

Solamente adesso lui mette a fuoco l’aerotaxi parcheggiato a mezz’aria a un isolato di distanza – e intuisce che è lì per lei: «Tu non stai andando al lavoro, mi sbaglio?»

Francesca avvampa, piena di imbarazzo, e china gli occhi a terra. Prova a… giustificarsi: «Non posso trattenermi perché… devo vedere una persona, ma quello che mi hai detto è… molto interessante, ne riparleremo».

«Una persona o… un uomo? – la incalza Marco, che (come si soleva dire nel vecchio mondo) ha mangiato la foglia – Non occorre che mi risponda, tanto ho già capito che è uno di loro – il tono è alterato, ma sulla rabbia prevale la delusione – scommetto anche che le cose che le ho appena detto le sapeva già».

«Oh, non è come pensi, davvero! – la ragazza quasi scoppia a piangere – non è una mia scelta, ho dovuto… subirla. Sì, lui è uno di loro, non di quelli più in vista… un responsabile della sicurezza, e mi obbliga ad… assecondarlo, io sto più in basso di te, sappilo! – si deterge le lacrime miste a nevischio – Alcune cose le so, è vero, altre no… è un peso che porto, e adesso lo porti anche tu: quel manager non ti ha fatto un regalo, stanne certo. Tu sei un uomo molto intelligente… e buono, Marco: non avercela con me, per favore. Ti prometto che ci rivedremo… presto!» e gli stringe forte la mano prima di fuggire via, coprendosi il volto.

Il giovane è rimasto come impietrito: c’erano sincerità… e dolore in quelle ultime frasi spezzate. Si pente di essere stato così duro con Francesca… anche lei, probabilmente, una vittima. È con i manager semmai che bisogna prendersela, sono loro la causa… di tutta questa infelicità! Il robotaxi decolla sollevando una nuvola biancastra e in pochi attimi sparisce alla vista; Marco sfoga la sua ira impotente sferrando un calcio a un cumulo di neve e poi si sfila d’impeto l’anello dal dito e fa per lanciarlo lontano, ma all’ultimo si blocca e sgrana gli occhi: è come se all’improvviso gli avessero… sostituito il fondale.

(fine terza parte)

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