“Palestrati/e” e “tatuati/e”

Palestrati/e  e Tatuati/e

Avrete sicuramente tutti notato l’aumento esponenziale delle persone “palestrate” e di quelle tatuate, da almeno una quindicina di anni a questa parte. Ormai a non avere almeno un tatuaggio (a dire poco…) sul corpo, spesso nei posti più impensabili, sono una esigua minoranza di persone, quelle più avanti con l’età, naturalmente.

Mi picco di essere un modesto osservatore della realtà e sono convinto che anche questi aspetti, apparentemente marginali, siano in realtà molto importanti per comprendere la realtà stessa e le sue dinamiche.

Sia chiaro, ogni epoca ha le sue mode, usi e costumi. Quando il sottoscritto era un ragazzo ci si vestiva o da “compagni”, o da “pariolini/fascisti”, o da “freakkettoni/rockettari” o da “coatti”, più alcune varianti tra l’una e l’altra. Non c’è dubbio che quelle mode corrispondessero alla fase storica che si stava vivendo.

Cominciamo col dire che oggi non c’è tutta quella varietà, diciamo così, e ovviamente questo non è casuale. Stiamo vivendo una fase di sostanziale omogeneizzazione culturale e quindi è evidente che anche il look e gli atteggiamenti estetici assunti dalle persone siano in linea con il contesto storico e culturale vigente. Però con alcune varianti importanti. Vediamole.

La pratica del tatuaggio è molto più diffusa tra i ceti popolari piuttosto che fra quelli borghesi. Anche in base al numero, all’estensione, alla varietà e alla vistosità “modalità shocking” dei tatuaggi è possibile capire al volo se una persona è di estrazione popolare oppure borghese. Quando poi l’estensione della superficie corporea tatuata e la “qualità” dei disegni scolpiti si accompagna al fisico “palestrato” o “pompato”, come si suol dire (da non confondere con il fisico modellato da una sana attività sportiva, sto parlando di due cose molto diverse fra loro…) siamo pressochè certi che la persona in questione sia di estrazione popolare.

E anche questo non è, ovviamente, casuale. Non essendo in grado di competere sul piano economico, sociale, professionale e culturale, la persona di estrazione popolare (in questo caso molto più di sesso maschile…) la “butta sul fisico”, come si suol dire. Come dicevo, questa è una reazione spiccatamente più maschile, perché in qualche modo i maschi devono poter essere appetibili nei confronti dell’altro sesso. Il discorso vale anche per le femmine, ovviamente, ma per queste ultime l’essere sessualmente attraenti va ben oltre l’appartenenza sociale. Una donna povera ma fisicamente attraente, infatti, ha comunque un suo peso specifico, un suo “valore di mercato” (direttamente proporzionale alla sua capacità di attrazione fisica) e quindi una sua spendibilità complessiva (non solo relazionale ma sociale ecc.). Viceversa, un uomo non affermato socialmente e neanche fisicamente attraente (o particolarmente attraente) non ne ha alcuna, per cui qualcosa deve pure inventarsi, sempre come si suol dire, per cercare di avere uno straccio di vita sessuale e di relazione…

Anche le donne si ”palestrano”, naturalmente, ma anche in questo caso, il “palestrarsi” è trasversale alla condizione sociale. Anzi, le signore ricche e borghesi trascorrono spesso più tempo nei centri sportivi e benessere di quelle povere perché, appunto, hanno più tempo da dedicarvi. Il tempo è un problema, per la verità, anche per le donne in carriera, le quali comunque non rinunciano a mantenersi in forma. Sanno che anche se la loro posizione sociale è di un certo rilievo, spesso elevata o anche elevatissima, la condizione fisica (leggi, la loro capacità di essere sessualmente attraenti) rappresenta per loro, in ogni caso, un peso specifico a prescindere. Sotto questo profilo, alcuni uomini (una minoranza di essi) sono invece meno oppressi. Un uomo ricco, famoso e socialmente affermato può fregarsene della condizione fisica perché sarà comunque oggetto del desiderio e di attenzioni da parte femminile.

Dopo di che ci sono una serie di altri aspetti.  Uno è di natura identitaria (e sociale). Il “palestrato”, in qualche modo, manifesta la sua origine sociale, anche se lo fa a livello del tutto inconscio. Perché se da una parte la rifiuta (nessuno, oggi, rivendica con fierezza di essere un proletario, anzi se ne vergogna) dall’altra la espone, la rende pubblica, attraverso la manifestazione fisica, estetica. Naturalmente l’esposizione della muscolatura si accompagna con quella di altri orpelli altrettanto necessari. Un certo modo di vestirsi, curare il look e, naturalmente, possedere un certo tipo di moto o di automobile (in realtà la possiede la finanziaria che gli ha concesso il prestito ma ci capiamo…), anche se quest’ultimo aspetto riguarda più i maschi che le femmine in virtù di quanto già detto prima: il peso specifico dell’avvenenza fisica per le femmine è tale da non aver bisogno di una serie di orpelli necessari invece ad un maschio di ceto sociale basso o medio-basso anche se mediamente attraente.

Infine c’è, naturalmente, anche un risvolto psicologico. L’essere fisicamente prestanti compensa altre lacune sia di ordine sociale e di immagine pubblica, come già detto, sia di ordine culturale e intellettuale. Sia chiaro, il discorso può valere spesso anche al contrario. Si compensa la scarsa attrattività fisica con l’affermazione sociale (per chi ci riesce…) o culturale/professionale (sempre per chi ci riesce…). Sappiamo però bene che questa è la società del “uno su mille ce la fa…” come recita la famosa canzone, e quindi, prigionieri di questa condizione e di queste gabbie, la grande maggioranza delle persone, è destinata a condurre una vita infelice.

E se cominciassimo anche dal liberarci da queste schiavitù (oltre che dal lavoro salariato ma quella è una questione appena appena più complessa…)? Non sarebbe un bel passo in avanti?

Youtuber famosi nel bodybuilding italiano e truffe

Fonte foto: Italian body (da Google)

 

 

 

 

6 commenti per ““Palestrati/e” e “tatuati/e”

  1. Alessandro
    23 maggio 2020 at 20:49

    Ormai siamo al trionfo del vuoto apparire. Fino a una ventina-trentina di anni fa ci si proponeva in società attraverso il vestiario, che comunicava una certa appartenenza sociale o una qualche forma identitaria, come giustamente evidenziato nell’articolo, talvolta un anticonformismo di pura facciata, ma non s’andava oltre questo, oggi secondo i dettami del mercato non è più sufficiente e si stimola a spendere di più, dipingendosi il corpo o modellandolo attraverso interminabili e noiosissime sedute in palestra. Benchè il primo posto in quanto a masochismo spetti a chi si fa bucare da tutte le parti per riempirsi di ferraglie. De gustibus non disputandum est, però fino a un certo punto: siamo di fronte al kitsch vero e proprio, difficile negarlo.
    Un vero e proprio traino al cattivo gusto lo svolgono i mercenari del pallone, che sono tatuati ovunque, oltre ai tronisti vari che bazzicano nelle trasmissioni televisive da quattro soldi ma seguitissime dal pubblico a casa.
    Negli anni Ottanta ricordo perfettamente che i calciatori era di un’altra levatura, persone talvolta di buon gusto, o comunque nella media, non raramente anche colte, oggi veramente fanno rabbrividire dalla pochezza che esprimono sotto tutti i profili, a eccezione che sotto il profilo tecnico, ma sempre meno anche lì.
    Dal momento che viviamo nella società unisex anche le donne fanno la loro parte nel mantenere alto il vessillo del cattivo gusto, anche se in modo più dignitoso.
    Le mode ci sono sempre state, non sono un esperto in materia, ma attraverso quadri, foto, posso dire che la bruttezza odierna non ha eguali, non solo tra gli uomini, ma anche tra le donne, sempre più prive di qualsiasi fascino anche nel vestire, ormai quasi omologato a quello maschile, in modo particolare nell’odierno Occidente.
    Uomini sempre più femminilizzati, donne sempre più mascolinizzate. Non è proprio un gran bel vedere.

    • Gian
      24 maggio 2020 at 1:03

      Non posso che approvare.

    • ndr60
      30 maggio 2020 at 18:48

      Penso che la percentuale di tatuati, tra i calciatori di serie A e gli abitanti delle vele di Scampia, sia più o meno uguale, così come quella di laureati (prossima a zero). Però hanno tutti lo smartphone ultimo modello.

      • Sandro
        30 maggio 2020 at 21:35

        Sì, ma il discorso riguarda anche tanti altri Paesi di questo tormentato pianeta.
        Ormai è una malattia mondiale.

  2. Raffaele
    24 maggio 2020 at 21:43

    Complimenti, un’ analisi antropologica molto acuta. Non nascondo che mi ha lasciato un senso di angoscia, come in generale tutte le riflessioni di Marchi sulla povertà non solo materiale ma anche affettiva dei “vinti” in una società ultracompetitiva.

  3. Engy
    25 maggio 2020 at 12:18

    Sono d’accordo su tutto!
    …e a me gli uomini palestrati, soprattutto tatuati, fanno senso, mi sembrano di plastica.

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