Pregiudizi

Ricordare l’Olocausto non è un semplice esercizio di memoria, ma prassi pedagogica e  critica sociale. Per dare senso ad una tragedia immensa che più volte si è verificata  e continua a ripetersi nella storia, bisogna imparare a discernere le pratiche discriminatorie che continuamente cambiano forma. L’attualità vede il profilarsi di  pregiudizi tradizionali con nuove forme di preconcetti in modo subdolo e capzioso. I pregiudizi in ogni forma si presentino hanno sempre lo scopo di forgiare stereotipi da usare per puntellare il potere, essi sono strumenti che delimitano la prassi ed occludono ogni orizzonte di cambiamento. Le caverne platoniche e le gabbie d’acciaio si susseguono in un gioco di abbagli collettivi e rischiano di consolidare dietro le loro fumisterie una generale regressione del senso sociale. Il pregiudizio utilizzato dal potere e dalle classi dirigenti è ben differente dal pregiudizio popolare, il primo è creato ad hoc con le armi della propaganda sempre più invasive per eternizzare se stesso, il secondo, invece, è l’effetto di stratificazioni culturali secolari e linguistiche che necessitano di essere trascese attraverso un’operazione linguistica e di educazione collettiva, si tratta, spesso di residui sovrastrutturali sopravvissuti ai cambiamenti strutturali. La parola pregiudizio deriva dal latino praeiudicium, significa sussumere in una categoria universale precostituita ogni soggetto appartenente ad un particolare gruppo sociale. Il silenzio della ragione governa ogni atteggiamento pregiudizievole. Lo sguardo non si posa sul soggetto che si presenta nell’orizzonte percettivo, ma lo cancella, lo oscura tra parole e significati precostituiti, si tratta di una forma di annichilimento dell’altro che viene fagocitato , assimilato in giudizi già “pubblicamente emessi” per essere espulso da ogni autentica relazione. L’illusione da cui congedarsi, il primo pregiudizio da abbattere, è giudicare il presente come un’epoca che lotta contro i pregiudizi senza crearne.

 

Nuovi pregiudizi

Non è difficile imbattersi nei pregiudizi che “il politicamente corretto” sta affermando con la forza della propaganda. In primis, le donne sono sempre meglio, non è difficile ascoltare simili affermazioni. Lo scopo di tali nuovi pregiudizi che negano la specificità e l’attitudine di ogni singola persona è la riduzione della stessa, in questo caso le donne, ad un pregiudizio positivo, che come tale è più difficile riconoscere. Le donne sono negate nella loro specificità e condizione materiale per essere rappresentate come migliori degli uomini: la gabbia d’acciaio unisce uomini e donne nel suo grembo per dividerli, per istigarli in una  contesa orizzontale senza sintesi, in cui tutto ciò che è maschile deve tacere, mentre il femminile portato sugli altari della propaganda è esaltato per diventare il mezzo per consolidare l’attuale politica economica e sociale. Non dissimile è la condizione del gruppo LGBT, di cui si esalta la sensibilità e l’intelligenza artistica, anche in questo caso, il pregiudizio è più vivo che mai, poiché ogni persona omosessuale è uguale a se stessa e quindi non è accolta nella sua verità, ma associata a pregiudizi apparentemente positivi. Categorie deboli sono così strumentalizzate in un momento di crisi per cercare consenso ed impedire che si metta in discussione il sistema, che mentre esalta i diritti individuali li nega.

 

Emancipazione autentica

La liberazione dai pregiudizi esige che le persone possano essere riconosciuto ed accolte nella loro verità esistenziale che scompagina stereotipi e facile giudizi. Non vi sono gruppi umani migliori o peggiori di altri, ma il discernimento dev’essere fatto caso per caso, persona per persona. I pregiudizi positivi sono la nuova forma di razzismo con cui ci dobbiamo confrontarci, poiché il potere assolda persone che nella storia hanno subito terribili ingiustizie e discriminazioni da usare come milizie nella guerra della propaganda per eternizzare il presente. L’assenza di corpi medi, di luoghi di incontro e di libera discussione permette il silenzio della ragione e il solidificarsi di una realtà carica di tensioni e di contraddizioni. La ricerca di un fondamento comune, non deve esimerci da distinguere la concretezza di ogni vita che dev’essere liberata da ogni riduzionismo. Aristotele ci ha insegnato che l’essere è polivoco, per cui potremmo affermare che l’essere, ovvero l’umanità è comune, ma si declina per ogni persona in una particolarità irripetibile. Contro i pregiudizi tutti siamo vocati, in primis, le categorie coinvolte ad abbandonare i giochi del potere e della propaganda per emanciparsi da strumentalizzazioni che vogliono ingabbiare in nuovi recinti asfittici e discriminatori:

“Tutti credono che la mia disabilità sia la mia caratteristica maggiore esteticamente. Non è vero: questo infatti è solo il mio status di vita, nella mia figura la cosa più evidente è la carrozzina, ma questa e’ solo un ausilio. Il mio vero problema è la faccia a palla. Io non voglio stare in piedi, o essere diritta per essere bella, voglio solo avere il viso scavato. Centinaia di diete, trattamenti cosmetici di ogni tipo, ma la guancia non mi perdona” . Una richiesta più che legittima, che non differisce da quella che potrebbe fare qualsiasi altra donna. Paradossalmente però “essere handicappati è una cosa vincente nell’estetica, può sembrare assurdo ma se una persona ha una disabilità, per il resto del mondo è difficilmente brutta, può essere deforme, ma anche se ha un unico pregio esteriore, per esempio gli occhi verdi, questo viene sopravvalutato fino all’inverosimile. La cellulite, ad esempio, piaga dell’ultimo millennio per la specie femminile, in una donna disabile si presenta agli occhi degli altri con nessuna negatività, noi siamo belli anche con le culotte de cheval. Tutto ciò è terribile! Rivendico il mio diritto di avere il problema della cellulite e di abbronzarmi come scelta estetica e non solo perché il sole fa bene alle ossa. E basta con i maglioni comodi color senape o grigio topo, e le tute larghe che sono tanto pratiche per fare la pipì, ma un mercato di abiti pieno di colori, di taglie strette e spacchi a non finire… Incredibile ma vero, da quando sei neonato se si accorgono che hai un handicap, anche l’ostetrica decide che sei il più bel bambino che abbia mai visto. Non c’e’ scampo, noi siamo tutti belli e dolcissimi. Ovviamente questa immagine rimane per sempre, o meglio per sempre rimaniamo dei bellissimi bambini, anche se la nostra età anagrafica supera i cinquant’anni. Anche sostituendo il biberon con il sigaro facciamo sempre una grande tenerezza, e apriamo i cuori di chiunque ci guardi proprio come accade con un bebè[1]

[1] 5 I. Argentin (considerazioni di), L’handicap e l’estetica, DA, n. 1, 2002

Combattiamo i pregiudizi, ma quelli veri! - Il Quotidiano In Classe

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