“Suburra”: dal laboratorio Roma una teoria del potere.

Non entrerò nel merito narrativo di “Suburra”, soprattutto per non svelare l’intreccio a coloro che non hanno visto il film. Non ho letto il libro e non posso esprimere giudizi sulla “riduzione”; infine ritengo che il significato, il messaggio (o morale) superi l’opera. Derogo quindi dal principio “estetico, a cui aderisco, per cui il film in quanto opera d’arte (anche se “riproducibile”) va criticato mantenendo unita la “forma” al “contenuto”, insomma contro la fruizione “cineforum”, quella contro cui si scagliò Nanni Moretti con l’invettiva “No il dibattito, no!!”.
Questo film, come intelligente instant movie, interviene sull’oggi e a mio avviso propone un’interessante “teoria politica”, per la precisione una “teoria del potere” con verifica immediata, e perciò da “dibattere” subito.

I responsabili: dalla Mela Stregata a Ostia

Pur non approfondendo il “plot”, alcuni elementi di contesto narrativo vorrei semplicemente segnalarli:
1) continua la fascinazione per i personaggi “malvagi”, già prodottasi nelle serie TV di Stefano Sollima, in particolare in “Romanzo Criminale”; qui è generata nel farsi rapido dell’azione più che nella distesa descrizione psicologica. L’immedesimazione è un bene o un male? La mancanza del “coro”, del riferimento positivo della legge, è però la situazione “selvaggia” dell’oggi e per “analizzare” occorre vedere dalla stessa parte del male, dal livello soggettivo-morale più vicino allo zero;
2) Suburra, la via oscura di Roma, la pioggia continua alla “Blade Runner”, l’oscurità di “Gotham City” e il richiamo alla Chicago del genere noir, questo spazio ci immerge senza consolazione nel destino ineluttabile: la ragione dominata dalla violenza. Tuttavia è un’esperienza sensoriale distrattiva, il buio e l’umidità, i sensi possono ingannarci da alcuni particolari importanti;
3) Il consistente “montaggio” che struttura tutto il film, riprende – citandolo anche (a voi scoprire dove)- il “monumentale” montaggio incrociato del finale de “Il Padrino (parte III)”. L’intreccio continuo tra piano finanziario-politico-criminale con i vari capitoletti e conflitti dice dell’intento di rendere il “sistema”: analizzandone, i pezzi, ma tenendo sempre in primo piano le relazioni;
4) infine due particolari: a) c’è una scena girata dentro il caffè “La Mela Stregata”, in Piazza Pasquale Paoli 1, alla fine di Corso Vittorio e davanti Ponte Vittorio, cioè il Ponte “simbolicamente” più importante che unisce riva destra (Italia) con riva sinistra (Vaticano) e inoltre ancora il palazzo del caffè è lo stesso, celebre, dove viveva Giulio Andreotti; b) legami con perno Ostia tra quest’opera sul male di Sollima e quella sul bene –“Non essere cattivo”- di Claudio Caligari, attestato da Alessandro Borghi, attore comune e di primo piano nei due film. Mentre è sullo sfondo Pasolini morto ad Ostia “Io so i nomi dei responsabili…” .

Finanzcapitalismo e palazzinari
La “teoria del Potere” del film ha, come si diceva, una efficace penetrazione analitica dei piani e una chiara visione degli intrecci.
La politica è debolissima\la finanza decide, in camera caritatis, gli indirizzi economici\ la malavita è Alfa e Omega di tale circuito immettendovi liquidità (all’inizio) + controllandolo con la violenza (alla fine). Questo è lo schema astratto e significa dominio del “finanzcapitalismo”, secondo la puntale definizione di Luciano Gallino, di cui piangiamo in queste ore la scomparsa; significa che non si “produce” più valore sociale -insieme a profitto- ma si estrae valore da ogni aspetto della vita (sanità, istruzione, territorio, ecc.), laddove alla mediazione della merce D-M-D1 si sostituisce l’imperativo del denaro D-D1 . Gallino da Adriano Olivetti, alla Torino dell’auto, è stato testimone del tramonto di un industria utile, perlomeno anche utile, e ci ha accompagnati ad assistere allo spettacolo della società abbandonata ai disegni di oligarchie di manigoldi. La finanza follemente speculativa e fortemente illegale quando non criminale, apparentemente immateriale, ha in realtà appetito di contare il suo valore in qualcosa di estremamente solido che commercia e, infine, governa la materialità dei corpi: l’abitare (le case), lo spostarsi (strade), l’acquistare (centri commerciali), l’aver vizi (il “Casinò” – anche il film di Scorsese è sullo sfondo di questo flusso). La crisi delle relazioni sociali moderne incentrate sul rapporto Capitale-Lavoro la cui misura è per l’economia politica borghese “originaria” del valore, cioè, secondo Adam Smith, “la Ricchezza delle Nazioni”, produce una regressione. Scomparso il lavoro, cioè gli uomini nel “fare”, si retrocede alla “fisiocrazia”, al possesso di terra e di mattoni, che è la misura “pre-potente”, al di là della presenza umana (potenziale, poter fare).
Ora lo spettacolo di (della) Suburra ha però una sua cifra specifica ed una funzione “illuminante” dell’oscurità: la storica “quistione romana” aperta con la breccia del settembre 1870, giunge ora a far di Roma il laboratorio, il compendio perfetto, della tendenza speculativa, laddove più appariscente è la questione fondiaria.
La “riva sinistra”, al di là di Ponte Vittorio, il Vaticano, possiede un immenso patrimonio immobiliare nei luoghi di pregio + quasi tutti i terreni. E’ un’accumulazione durata secoli e potenziata nel secondo dopoguerra dall’attivismo finanziario dello IOR nell’attirare fondi “oscuri”. In sintesi un controllo dall’alto (denaro) e dal basso (fondi e immobili) della città.
Dall’altra parte, la “riva destra”, il potere laico e l’economia borghese, ha calpestato abbondantemente la città ricchissima di storia (che è la Storia) ma fragile antropologicamente di fronte alla modernità.
Come emerge dal dibattito teorico su “Roma Moderna” da Leonardo Benevolo a Italo Insolera, la città è stata investita dalle necessità di modernizzazione, con disordine ma soprattutto con il comando della speculazione, a partire dallo scandalo della Banca Romana. Anche gli interventi apparentemente più razionali, come quello fascista, hanno prodotto disastri (le borgate) superiori ai benefici e le cose sono andate peggiorando sempre, a parte l’eroico tentativo di Luigi Petroselli e Renato Nicolini. In pratica Roma è rimasta incantata sulla speculazione edilizia, visto che tale meccanismo “bellico” risulta essere eguale a quello della finanza: ogni prodotto apparentemente utile, per es. un palazzo -> deve “difettare” l’urbanistica, cosicché si produca un indotto disastroso (urbanizzazione, traffico, ecc.) -> dove poter inventare altre produzioni “apparentemente” correttive (strade, tubazioni e cavi da fare e rifare in continuazione, ecc.).

Distruggere per ricostruire.
In questo contesto di lungo- medio periodo storico si innestano ora, sia il bisogno di profitto “consistente” di un surplus finanziario legato a capitali illeciti (ma oramai “ingrigiti” dalla miscelatura in attività di riciclaggio), sia il bisogno del potere politico di animare lo spettacolo della “crescita” per garantirsi ancora una poltrona. Allora a Roma, dove precipitano e si combinano questi elementi, si può guardare come a un catalizzatore di una tendenza globale; qui, come detto, vi sono tutti gli attori con una consolidata esperienza: palazzinari, politicanti, delinquenti e finanzieri di varie famiglie e di unica religione.

In fondo il merito di “Suburra” è illuminare i conflitti di Roma “post-moderna” (postmoderno alla maniera di Paolo Portoghesi che vede nel Barocco lo specifico e persistente stile romano) e mostrare la prosa del potere, analogamente alla Roma antica, che, per Marx, metteva in prosa la lotta di classe come origine del potere.

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