Sull’ indeterminismo in natura e nella conoscenza della natura

Il recente conferimento del premio Nobel per la fisica a Giorgio Parisi per risultati conseguiti nei suoi studi sui sistemi complessi o non lineari ha stimolato, soprattutto da parte di ricercatori scientifici, considerazioni filosofiche antideterministiche peraltro ormai da vari decenni largamente prevalenti fra i ricercatori e fra i filosofi della scienza, ma anche sulla stampa non scientifica o filosofica e in particolare su riviste e siti internet politico-culturali di sinistra.

In particolare in questi giorni si leggono frequentemente solenni rivendicazioni di “originalità” e di pretese “grandi scoperte”, nell’ ambito del dominante paradigma (indeterministico) della complessità e da parte dei suoi cultori, circa l’ impossibilità di conoscere e prevedere per filo e per segno il divenire di moltissimi fenomeni naturali, di contro a pretese di “onniscienza” attribuite (ma indebitamente) al determinismo filosofico e scientifico “classico”, che la moderna scienza fisica e la moderna filosofia della scienza avrebbero definitivamente superato.

Inoltre, contro la asserita indebita e irrealizzabile pretesa di conoscere l’ evoluzione certa, dettagliata, precisa e a lungo termine dei sistemi fisici complessi (la stragrande maggioranza in natura, essendo il caso di quelli semplici, come il sistema solare, una sorta di “eccezione che conferma la regola”), se ne encomia spesso lo studio probabilistico, facendo oggetto di grande ammirazione chi l’ ha proposto e praticato: dal per me ottimo Boltzmann a cavallo del XIX e XX secolo, al per me pessimo Prigogine a fine ‘900 e ai suoi epigoni di oggi.

 

Peccato che l’ autentico pioniere di questo approccio alla ricerca scientifica nel caso dei sistemi fisici complessi (e di quelli biologici, ad essi riducibili), ben prima ancora dell’ottimo Boltzmann (quest’ ultimo particolarmente in riferimento alla termodinamica e alla meccanica statistica), sia stato un certo …Pier Simon de Laplace, vituperatissimo da grandissima parte se non da tutti i propugnatori “del paradigma della complessità”, in particolare nel suo famosissimo Saggio filosofico sulle probabilità.

L’ Introduzione di questo volume contiene un celeberrimo (per gli irrazionalisti famigerato) passo che i suoi denigratori solitamente citano “tagliandolo”, con grande malizia per lo meno (se proprio non vogliamo parlare di disonestà intellettuale), appena dopo che vi é affermato che il divenire oggettivo reale del mondo fisico é rigorosamente deterministico, proprio là dove inequivocabilmente vi si afferma che l’ umanità sarà sempre inesorabilmente “infinitamente lontana” (parole sue testuali!) da un’ onniscienza che le permetta di prevedere per filo e per segno tale deterministico evolversi dell’ universo [1].

 

Cosìcché capita spesso di leggere che “Se può essere semplice descrivere l’interazione di due masse (ad esempio un pianeta e il suo satellite) in base alla legge di gravitazione, le cose si fanno appunto “complesse” quando consideriamo le reciproche interazioni fra tre o più corpi: le soluzioni comincerebbero a essere approssimate, sfuggirebbero al determinismo che consente di prevedere con certezza il momento di un’eclissi lunare o il passaggio della cometa di Halley”.

Al che si può facilmente obiettare che a sfuggire al determinismo non é la realtà fisica considerata (“le cose reali”), ma invece la nostra conoscenza di esse di fatto possibile.

Non é vero che, come si sente anche affermare, “In fondo, Newton avrebbe avuto fortuna o si sarebbe facilitato il lavoro”, che “il semplice sarebbe in realtà sempre e soltanto il semplificato”.

Invece Newton si é di certo genialmente semplificato il lavoro, come Galileo e prima ancora Archimede, seguendo un elementare principio euristico, ma non ha affatto semplificato -o meglio: preteso di semplificare- (a suo arbitrio) la realtà (per lo meno “macroscopica”); la quale é e rimane oggettivamente deterministica non meno che, in larghissima prevalenza ma per fortuna non esclusivamente, complessa e di fatto imprevedibile; e come tale é (stata) conosciuta da Newton.

La stessa possibilità di rintracciare un limitato ordine probabilistico nel caos apparente dei fenomeni non lineari (possibilità rivendicata dai sostenitori del paradigma della complessità e che oggi, grazie anche alla realizzazione di potenti computer, é oggetto di studio di molti validi ricercatori, fari i quali il recente premio Nobel italiano) presuppone sì che l’ evoluzione dei fenomeni osservati non sia calcolabile (soggettivamente, gnoseologicamente o come si preferisce dire epistemologicamente) per filo e per segno; ma anche necessariamente che questa stessa evoluzione sia (oggettivamente, ontologicamente) ordinata secondo inderogabili modalità o “leggi” universali e costanti astraibili da parte del pensiero dai fatti particolari concreti. Per esempio i dadi (paradigmatici di quella che é per l’ appunto detta “aleatorietà”) danno probabilità di risultati ben definite e calcolabili per il semplice fatto che le loro traiettorie e rimbalzi sono strettissimamente, rigorosissimamente, integralmente deterministici (oltre che impossibili di fatto da individuare e calcolare con precisione in ogni singolo caso); che se invece fossero autenticamente caotici, col cavolo che se ne potrebbero calcolare le probabilità degli esiti (mi scuso per l’ intemperanza verbale)!

Ed è proprio per questo che, come spesso rivendicato dai sostenitori del paradigma della complessità, “Quando ci troviamo di fronte a sistemi complessi la non linearità risulta irriducibile, la sensibilità alle condizioni iniziali (come il famoso battito d’ali della farfalla) rende in sostanza impossibile una predizione accurata”, e tuttavia é possibilissimo “descrivere quale forma assumerà il disordine, verso quale attrattore strano si disporrà la dinamica caotica, quale isola d’ordine potrà apparire nel mare del disordine” delle nostre conoscenze; anche in tutti questi casi nessun preteso caso convive con la necessità deterministica del divenire naturale: l’ unico “caso” reale é proprio precisamente quello che compare nelle nostre (limitate) conoscenze della natura reale, ma non c’ é affatto nella realtà naturale stessa.

 

Si sostiene anche spessissimo che il nuovo paradigma avrebbe “finalmente acquisito la consapevolezza del fatto che conoscere le leggi che regolano i comportamenti dei componenti di un sistema non implica di per sé la comprensione “olistica” del suo comportamento globale”, e che “La difficoltà non starebbe nel formulare leggi fondamentali, quanto nello scoprirne le concrete conseguenze, sapendo che non si potranno semplicemente dedurre dalle leggi”.

Tante grazie, ma questo lo sapeva di già benissimo il determinista Laplace, in barba alle frequenti scorrette distorsioni del suo pensiero da parte dei suoi denigratori indeterministi; e infatti é proprio per questo che ha scritto il suo celebre Saggio filosofico sulle probabilità!

 

Si pretenderebbe che i sistemi complessi o non lineari non siano “riducibili alla causalità classica in cui l’effetto sarebbe proporzionale alla causa”. Si tratterebbe fra l’ altro del caso di “quanto il recente premio Nobel Parisi ha mostrato nell’ambito di quegli strani oggetti da lui scoperti che sono i vetri di spin (spin glass)”.

A questo proposito per parte mia trovo per lo meno discutibile la pretesa di calcolare quantitativamente cause ed effetti (intendo “quantitativamente” non in riferimento alle grandezze fisiche implicate, ma invece circa una alquanto soggettiva “entità -nel senso di facile prevedibilità o meno- delle differenze” fra il “prima” e il “poi” della causazione); ma in ogni caso, a prescindere da quanto un “dopo causazione” possa essere stupefacente rispetto al “prima”, sorprendente e soggettivamente meraviglioso per chi l’ osservi, qualsiasi sistema complesso -per lo meno “macroscopico; ma secondo me non solo”- è perfettamente riducibile al determinismo causale classico in quanto oggettivo divenire (ontologico) dei fenomeni naturali; ciò che non é possibile fare, ma Laplace ne era di già ben consapevole malgrado la taccia diffusa dai suoi molti (e conformisti) denigratori indeterministi, é rilevarne e/o calcolarne (epistemicamente) e in modo insuperabilmente approssimativo (di precisione limitata), , le rigorosamente inderogabili caratteristiche quantitative.

 

Circa i rapporti fra fisica e biologia, i sostenitori del paradigma della complessità sono soliti enfatizzare il fatto che “nel mondo vivente tendono larghissimamente a predominare sistemi complessi nei quali avvengono processi frutto di interazioni e scambi dagli esiti non del tutto prevedibili (in pratica, di fatto; ma non in linea teorica, di principio, N.d.R.)”. E in base a questo innegabile rilievo negano spesso la riducibilità del mondo vivente alla materia inorganica, nonché la compatibilità e la comprensibilità naturalistica dell’ integrazione di fatto esistente fra queste due componenti della realtà naturale qualora della natura minerale, non vivente si avesse una concezione deterministica.

In realtà non vedo come un rigoroso determinismo ontologico oggettivo inevitabilmente “sottostante” l’ indeterminismo (comunque limitato, “probabilistico” e non “caotico”! Ordinato e non disordinato!) delle conoscenze che di fatto possiamo ottenere in grandissima parte dei casi non dovrebbe consentire la perfetta riducibilità della biologia alla fisica-chimica: la biologia moderna ha dimostrato e continuamente dimostra, con certezza tendenzialmente sempre più salda e indubitabile, che quanto avviene fra gli organismi é proprio perfettamente riconducibile alle sottostanti interazioni molecolari o atomiche!

 

Anche per quanto riguarda le questioni poste dai crescenti progressi della neurologia in ordine alla filosofia della mente e ai rapporti fra materia (cerebrale) oggettivamente studiabile e coscienza fenomenica soggettivamente vissuta si insiste sul fatto che “Abbiamo svelato molti dettagli funzionali dei miliardi di neuroni che si agitano nel cervello, ma resta ancora difficile capire come i loro collegamenti [pretesi essere, N.d.R] disordinati attivino le modalità di pensiero.

Ma in realtà Anche i collegamenti sinaptici fra i neuroni, per quanto estremamente complessi e intricati, sono ordinatissimi in senso deterministico (cioé seguono inflessibilmente determinate modalità generali astratte universali e costanti), malgrado la loro estrema complicatezza li renda di fatto in larghissima misura imprevedibili.

Semplicemente, e considerando la questione in termini generalissimi e astratti, se il divenire reale della realtà naturale non fosse integralmente, “inderogabilmente” ordinato secondo modalità e leggi universali e costanti astraibili da parte del pensiero (cioé se fosse disordinato, caotico), allora non ne sarebbe possibile, per definizione, la conoscenza scientifica.

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1 Cito dall’ edizione UTET del 1967, pagg. 242 – 244 (Evidenziazioni in MAIUSCOLO mie):
<<Tutti gli eventi, anche quelli che per la loro piccolezza non sembrano ubbidire alle grandi leggi della natura, ne conseguono necessariamente, come ne conseguono le rivoluzioni solari. Non conoscendo i legami che uniscono tali eventi allo intero sistema dell’ universo, li si è considerati come dipendenti da cause finali o dal caso, a seconda che accadano e si succedano con regolarità oppure senza ordine apparente; ma queste cause immaginarie hanno subito un graduale regresso con l’ estendersi dei limiti della nostra conoscenza, fino a scomparire completamente DI FRONTE A UNA SANA FILOSOFIA, che non vede in esse altro che l’ espressione della nostra ignoranza delle vere cause.[omissis]
Dobbiamo quindi considerare lo stato attuale dell’ universo come l’ effetto del suo stato precedente e come la causa di quello futuro. Un’ Intelligenza che conoscesse sia tutte le forze da cui è mossa la natura, sia la corrispondente situazione dei componenti di essa, in rapporto a un dato istante, e che fosse inoltre così vasta da poter trattare l’ intera serie di tali dati per mezzo dell’ analisi matematica, abbraccerebbe in una sola formula i movimenti tanto dei maggiori corpi dello universo, quanto del minimo atomo. Nulla sarebbe incerto ai suoi occhi, ed entrambi presenti le risulterebbero il passato e lo avvenire

 

[qui finiscono di solito le maliziose citazioni dei suoi denigratori; ma il testo di Laplace continua- inequivocabilmente!- come segue].

 

Con la perfezione che ha saputo conferire alla astronomia, L’ INGEGNO UMANO OFFRE UN LIMITATO ESEMPIO DI TALE INTELLIGENZA. Le sue scoperte in meccanica e in geometria, aggiunte a quella della gravitazione universale, l’ hanno reso capace di abbracciare nelle medesime espressioni analitiche gli stati presenti e futuri del sistema del mondo. Applicando lo stesso metodo agli oggetti della sua conoscenza, l’ intelletto umano è riuscito a ricondurre i fenomeni osservati a leggi generali e a prevedere quelli che vengono prodotti DA DETERMINATE CIRCOSTANZE [e non: da ogni e qualsiasi circostanza, N.d.R]. Tutti questi sforzi nella ricerca della verità tendono ad avvicinarlo continuamente alla grande Intelligenza sopra nominata, DALLA QUALE RESTERA’ SEMPRE INFINITAMENTE LONTANO. Siffatta tendenza, tipica della specie umana, è ciò che ci rende superiori agli animali, e il progresso in tal senso distingue nazioni ed epoche e ne costituisce la vera gloria>>.

Pierre Simon Laplace - Wikipedia

8 commenti per “Sull’ indeterminismo in natura e nella conoscenza della natura

  1. Enza
    21 ottobre 2021 at 7:49

    Grazie a Giulio per questa interessante riflessione.
    Sono una modesta umanista e mi accosto in questa posizione.
    Ancora una volta, mi rendo conto della mia vasta ignoranza. Eppur contenta per gli spazi che mi si aprono ogni giorno, per caso, volontà o altrui generosità.

    • Giulio Bonali
      22 ottobre 2021 at 7:51

      Grazie a te per l’ apprezzamento.
      Gli umanisti, come anche i cultori delle scienze naturali e delle scienze esatte, non devono eccedere in modestia (oltre che ovviamente in presunzione; e sempre rammentando, come giustamente fai, che quel che affermava di sapere il più sapiente degli Ateniesi era il fatto di non sapere).
      Credo che tutti noi, per realizzarci al meglio, dobbiamo cercare di coltivare equilibratamente, anche se in diversa misura a seconda delle varie attitudini e inclinazioni personali, tanto la conoscenza scientifica quanto la cultura umanistioca.
      Quello del libero arbitrio (che mi sembra sottinteso nelle tue belle parole) é certamente uno degli argomenti filosofici più affascinanti.
      Se riuscirò a realizzare una breve sintesi delle mie anticonformistiche convinzioni in proposito, mi piacerebbe scriverne un breve articoletto per l’ Interferenza onde discuterne con glii amici della rivista (anche quelli più verbalmente intemperanti, che considero comunque tali: chi é senza peccato scagli la prima pietra!).

  2. gino
    21 ottobre 2021 at 16:57

    giá planck e einstein misero in guardia contro la stupiditá della tracimazione dell´indeterminismo dalle considerazioni statistiche di ambiti appropriati alla vita pratica quotidiana. ma purtroppo é da decenni di moda, la gente, ormai abbandonata la religione in senso tradizionale, continua ad aver bisogno delle sue cause: il bisogno di credere al FALSO. il vero annoia, il falso diverte… é il freudiano “appagamento di desiderio” (che é alla base delle malattie mentali).
    l´indeterminismo é usato dai cazzari per poter continuare impunemente a propagandare le loro cazzate. ora, finché queste sono innocue tutto ok, se fanno danni occorre intervenire con la forza. e tutte le comunitá umane lo fanno.
    cioé, se un indio “libero opinatore” convince altri indios a buttarsi dal monte roraima (splendide pareti verticali di 800m di dislivello) sulla base della negazione che all´atterraggio diventerebbero marmellata carbonica, perfidi indios “scientisti dittatoriali” certamente lo infilzerebbero di frecce.
    questi indeterministi autoproclamati scienziati, tronfi di un senso di superioritá (sono furbi, mica si fanno fottere dal perfido sistema, loro!) non si rendono conto peró che la fisiologia del loro corpo compie continuamente migliaia di azioni assolutamente deterministiche: il loro corpo é certo che stanno seduti in macchina, che si approssima una curva, che c´é un pedale della frizione e una leva del cambio per scalare la marcia… se lo mettono in dubbio, se fanno i terrapiattisti, si sfracellano.

    esiste veramente fabrizio, il sito l´interferenza, il notebook da cui sto scrivendo?
    ecco, a me se é indeterminata l´esatta posizione e velocitá di un elettrone o se si sbaglia di qualche metro l´orbita del pianeta ruotante intorno a beta sagittari, me ne pó fregá de meno. invece nella vita reale il missile ipersonico puntato sulla nostra capoccia e che puó sbagliare solo di decimetri c´é e funziona e non ci terrei a provarne l´indeterminazione della rotta.
    cosí come non ci tengo a passare col rosso sulla cristoforo colombo per sfidare indeterministicamente quei cattivoni dittatori che piazzarono il semaforo e sulla base della narrativa “ma in finale di incidente stradale muoiono in poki” se non “si muore CON incidente stradale e non DI incidente stradale” o “gli incidenti stradali non esistono”.

    p.s. se la frase “tutto é relativo” é vera, allora pure la stessa frase é relativa, ma allora qualcosa di assoluto c´é, ahah!

    • Fabrizio Marchi
      21 ottobre 2021 at 18:12

      Mi spieghi per quale cazzo di ragione (oltre alla tua protervia e alla tua arroganza) devi rivolgerti a me come se fossi un nemico della scienza, cultore della magia nera o di riti sciamanici (sostitutivi della scienza)?…
      Lo vedi che sei un integralista?
      La cosa è preoccupante (per te) perché o capisci fischi per fiaschi oppure vuoi capire solo quello che ti fa comodo capire, cioè nulla nel caso specifico, per poter continuare con le tue litanie.
      Tu sei prigioniero di una “logica” (si fa per dire…) da “idoli della tribù”, come avrebbe detto Bacone. Hai solo sostituito la religione con la scienza. Tutto qui. Un atteggiamento esattamente contrario a quello della vera Scienza.
      Se le cose stanno così non ha neanche senso continuare. Io mi affido alla Scienza, con tutti i suoi limiti e i suoi meriti, ben sapendo che mi sto affidando a degli uomini e delle donne che ricercano, che fanno, appunto scienza, che possono sbagliare, che spesso ci azzeccano e altre volte no, come è normale e umano che sia. Io ho ancora molte perplessità su questa questione del covid, ciononostante ho scelto di vaccinarmi, perché appunto ho operato una scelta, consapevole che poteva esserci anche un margine di errore, che avrei anche potuto sbagliarmi, ma l’ho fatto comunque. Tutto questo discorso farcito di esempi idioti (scusa ma è così) sull’indeterminismo è soltanto una provocazione, fa parte del tuo carattere, del tuo modo di essere. Sei fatto così, da sempre. E va bè, continua così, che ti devo dire, contento te…
      P.S. W la Scienza, che ringrazio ogni giorno per tutto quello che ha fatto e fa per consentirci di vivere meglio e più a lungo. Proprio per questo non è e non sarà mai una religione.

      • gino
        21 ottobre 2021 at 21:05

        ma stai bene???
        ho scritto “fabrizio” come avrei potuto scrivere “giulio” e come ho aggiunto il sito e il notebook, nel senso di oggetto esistente la cui esistenza potrebbe essere messa in dubbio dall´indeterminismo.

  3. Fabrizio Marchi
    28 ottobre 2021 at 20:15
  4. Mario Pasquato
    22 dicembre 2021 at 21:28

    Interessante articolo.
    C’è però un punto sul quale dissento, o che forse non ho ben compreso. Parlando dei dadi, si dice ‘che se invece fossero autenticamente caotici, col cavolo che se ne potrebbero calcolare le probabilità degli esiti’. Al di là dell’uso della parola ‘caotico’ in una accezione che non è quella tecnica della scienza dei sistemi complessi, ma che in questo contesto intuisco voglia dire intrinsecamente indeterministico, l’idea che dadi intrinsecamente indeterministici siano imprevedibili in probabilità non è difendibile.
    In primis perché la predizione che tutte le facce abbiano la medesima probabilità di mostrarsi, uguale a 1/6, non dipende affatto dalla natura del fenomeno casuale che provoca il mostrarsi di una faccia o dell’altra, ma dipende solamente dall’ipotesi che questo fenomeno, qualunque esso sia, abbia una proprietà di simmetria che non privilegia alcuna faccia sull’altra. In secundis perché fenomeni che vengono ritenuti intrinsecamente indeterministici, come quelli quantomeccanici, sono comunque prevedibili in probabilità nel senso che gli scienziati sono perfettamente a proprio agio con predizioni del tipo “l’elettrone ha spin up con probabilità 1/2” e trattano questa probabilità (a valle dell’operazione di misura) esattamente come quella del dado.
    Un’altra questione che l’articolo secondo me liquida in maniera un po’ superficiale è quella per cui ‘a sfuggire al determinismo non é la realtà fisica considerata (“le cose reali”), ma invece la nostra conoscenza di esse di fatto possibile’.
    A riguardo si possono fare due considerazioni: innanzitutto la distinzione tra la realtà fisica e la nostra conoscenza di essa è labile. Dal punto di vista di uno scienziato, che di solito vede con sospetto la metafisica, una distinzione del genere è giustificata solo se ci sono almeno in linea di principio delle circostanze in cui il determinismo della realtà sottostante è effettivamente accessibile. Se invece ci è sempre e comunque, anche in linea di principio, impossibile accedere a questa presunta realtà fisica deterministica, tanto vale considerarla come una astrazione sterile che complica inutilmente la teoria.
    L’altra considerazione è invece che l’indeterminismo dei sistemi complessi è dovuto a fenomeni di amplificazione delle peculiarità delle condizioni iniziali. Come nella pittoresca illustrazione dell’effetto farfalla, amplificazione significa che un fenomeno su grande scala (l’uragano) può dipendere da uno su scala molto più piccola (la farfalla). Fuor di metafora il macroscopico dipende dal microscopico. Ma il microscopico, se vale la teoria quantistica, è intrinsecamente indeterministico! Quindi il caos deterministico, che non fa altro che amplificare, si comporterebbe come un microscopio che rivela nel mondo macroscopico l’indeterminismo intrinseco del mondo microscopico. C’è un intero campo di ricerca a riguardo (quantum chaos).

    • Giulio Bonali
      20 gennaio 2022 at 22:25

      Solo a distanza di un mese vengo casualmente a conoscenza di questa critica che era a sua volta stata proposta a distanza di due mesi dal mio articolo.
      Spero che questa mia risposta venga a sua volta a conoscenza di Mario Pasquato (che nel caso di ulteriori sviluppi della discussione prego di avvertirmi a questo indirizzo: sgiombo@outlook.com)
      Effettivamente, sostenendo che qualora i lanci dei dadi fossero eventi autenticamente caotici non se ne potrebbe calcolare la probabilità degli esiti, usavo il termine “caotico” nel senso più corrente di “non regolato”, ovvero “non deterministico”, ovvero “indeterministico” e non in senso tecnico della scienza dei sistemi complessi: non “caos deterministico” ma “caos (tout court; ovvero, pleonasticamente) indeterministico”.
      Cioé nel senso che é solo per il fatto che si tratta di eventi deterministici (cosa che mi pare fra l’ altro che nessuno metta in dubbio), cioé che l’ Intelligenza inesistente e lontanissima dalle reali capacità raziocinative umane di Laplace prevedrebbe infallibilmente l’ esito di ogni singolo lancio, che se ne può (umanamente, realisticamente) stabilire la probabilità 1/6 (nel caso di un unico dado).
      Se invece fossero eventi casuali, privi di regolarità, allora non esisterebbe una determinata frequenza per ciascuno dei diversi esiti possibili (ipotizzabili) nemmeno in serie numerosissime di casi, ma per esempio, su successive sequenze di 10000 lanci, la prima volta potrebbero benissimo capitare 10000 esiti “2”, la seconda 5000 esiti “3” e 5000 esiti “12”, la terza 2500 esiti “2”, 2500 esiti “6” e 5000 esiti “10”, la quarta 10000 esiti “4” e così via senza alcuna possibilità di prevederne le proporzioni nelle serie ulteriori.

      Peraltro con Einstein, de Broglie, Schroedinger (che non meno di Bohr ed Heisenberg hanno contribuito alla meccanica quantistica), Bohm, Bell e altri e contro l’ interpretazione conformistica, non ritengo i fenomeni quantomeccanici indeterministici “intrinsecamente” (ovvero ontologicamente) ma solo gnoseologicamente o epistemicamente (l’ indeterminismo é proprio non ciò che essi sono, di come divengono, ma invece ciò che di essi si può sapere).
      Si tratta comunque in questo caso di un “indeterminismo debole”; id est (secondo le soggettivissime, insindacabili preferenze di ciascuno: de gustibus disputandum non est) di un “determinismo debole”; non un caos o disordine totale (non un “indeterminismo forte”) dal momento che casuale, sregolato é ogni singolo evento, ma le proporzioni fra i singoli eventi alternativi, almeno in insiemi numerosi di casi, sono regolari, ordinate (seguono determinate regole).
      Infatti non vedo affatto con sospetto l’ ontologia (termine più corretto in questo discorso di “metafisica”); sarà perché non sono uno scienziato, e anzi fra l’ altro concordo convintamente con Friederich Engels che (oggi, come nella seconda metà delll’ ‘800 e forse anche di più) «Gli scienziati credono di liberarsi dalla filosofia ignorandola o insultandola. Ma poiché senza pensiero non vanno avanti e per pensare hanno bisogno di determinazioni di pensiero e accolgono però queste categorie, senza accorgersene, dal senso comune delle cosiddette persone colte dominato dai residui di una filosofia da gran tempo tramontata, o da quel po’ di filosofia che hanno ascoltato obbligatoriamente all’università, o dalla lettura acritica e asistematica di scritti filosofici di ogni specie, non sono affatto meno schiavi della filosofia, ma lo sono il più delle volte purtroppo della peggiore; e quelli che insultano di più la filosofia sono schiavi proprio dei peggiori residui volgarizzati della peggiore filosofia».
      Nel caso dell’ indeterminismo quantistico (secondo il pr. di indeterminazione di Heisenberg) delle coppie di grandezze correlate ciascuna grandezza é conoscibile (misurabile) con buona precisione in alternativa all’ altra (dunque congiuntamente non sono conoscibili e però disgiuntamente sì, sono conoscibili entrambe). Ma poiché qualunque cosa per essere conoscibile (N.B.: non necessariamente conosciuta; cioé può anche benissimo non essere conosciuta, basta che sia conoscibile) deve, come conditio sine qua non, essere reale mentre se non é reale a maggiore ragione nemmeno é (n.b.: non solo conosciuta, ma nemmeno) conoscibile, dunque secondo me sono reali entrambe le due grandezze correlate indipendentemente dall’ eventuale misura (di una sola) di esse o meno (questo é quanto Schroedinger, platealmente frainteso da tanti, intendeva affermare col suo famoso esperimento mentale “del gatto”).
      Dissento completamente circa l’ indeterminismo dei sistemi macroscopici complessi, che invece secondo me puramente e semplicemente nel quadro ontologico generale di quanto sostenuto da Laplace più di due secoli fa, quando ancora la scienza dei sistemi complessi era ampiamente di là da venire (non per niente non solo era un ottimo scienziato, ma aveva anche formidabili “palle filosofiche”, contrariamente a tantissimi scienziati di oggi).

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