Il rasoio di Michea

La Repubblica ha scoperto l’esistenza di un pensatore di nome Jean-Claude Michéa e lo ha intervistato. Di seguito l’intervista, peraltro molto breve ma efficace realizzata da F. Gambaro, che consigliamo di leggere interamente: jean-claude-michea-la sinistra deve rifondare l’alleanza illuminista.

Noi ce ne eravamo occupati da tempo. Qui jean-claude-michea e la sinistra capitalista l’articolo di Matteo Luca Andriola, più lungo perché più approfondito, che naturalmente suggeriamo di leggere con ancora più attenzione.

Michea è un intellettuale controverso che arriva a mescolare “il sacro con il profano”, come si suol dire, spesso con eccessiva disinvoltura e anche spregiudicatezza ma, per lo meno per quanto ci riguarda, ha avuto senz’altro un merito: quello di aver “isolato” o meglio separato nettamente l’attuale “sinistra” “liberal”, “riformista” e “politicamente corretta” dalla storia e dalla tradizione del Movimento Operaio, Socialista e Comunista. Secondo Michea, e noi non possiamo che condividere, l’attuale “sinistra” ha posto in essere una vera e propria cesura con quella storia e con quella tradizione, con le quali non ha da tempo più nulla a che vedere. Si tratta di una “sinistra” che ha aderito in toto al modello capitalista e alla sua ideologia, che ha barattato i diritti sociali con quelli civili, dopo aver ovviamente eliminato il conflitto sociale e la prospettiva di una critica strutturale dell’attuale sistema capitalistico (e di un suo potenziale e ipotizzabile futuro superamento), dal suo orizzonte. Ed è ovviamente la stessa “sinistra” responsabile di aver abbandonato al loro destino i ceti sociali che storicamente rappresentava e di averli consegnati alle destre o alle “neodestre” populiste e nazionaliste europee.

Per ricostruire una Sinistra (S maiuscola e senza virgolette) all’altezza dei tempi e degna di essere definita tale – e anche su questo siamo d’accordo con Michea – capace di interpretare le contraddizioni vecchie e nuove prodotte dal grande processo “(contro…) “rivoluzionario” posto in essere da un sistema di dominio capitalista sempre più sofisticato e pervasivo, bisogna innanzitutto denunciare la natura reale e l’effettiva funzione dell’attuale “sinistra”, autoridottasi ad ancella di quello stesso sistema e a garante di quella “governance” (leggi, pace sociale) che ad esso sta a cuore più di ogni altra cosa.

Il “rasoio di Michea” può quindi senz’altro esserci di aiuto in tal senso, oltre e al di là di alcune sue avventurose e anche azzardate teorie filosofiche, comunque degne di essere approfondite.

6 commenti per “Il rasoio di Michea

  1. armando
    29 dicembre 2015 at 15:08

    Avevo già commentato l’articolo di Andriola, e quì mi ripeto. Per esempio, questo passaggio: “L’ideologia progressista è fondata sulla credenza che esista un “senso della storia” e che ogni passo avanti costituisca un passo nella giusta direzione. Tale idea si è dimostrata globalmente efficace fintanto che si è trattato di combattere l’Ancien régime” parla di ideologia progressista, ma è condiviso, come approccio filosofico, anche dal marxismo e da Marx. Il punto è questa condivisione, a mio avviso, quella che ha fatto si che il capitalismo fosse considerato la condizione necessaria per il comunismo, non solo dal punto di vista economico (lo sviluppo delle forze produttive come base) ma anche filosofico. E se invece, fermo lo smascheramento ideologico del capitale operato da Marx, la debolezza della sua critica, dimostrata dagli eventi della storia per cui non è all’ordine del giorno nessun comunismo, fosse proprio quì?

    • Giacomo
      29 dicembre 2015 at 23:33

      Il problema non è semplice da dipanare. Bisognerebbe considerare in modo critico l’idea di progresso, forse in modo anche più critico di quanto l’hanno fatto i decrescisti. Progresso significa “fine dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo ‘anche’ grazie alla tecnica” o “dominio della tecnica (e quindi del capitale che la usa per massimizzare il profitto)”? Marx probabilmente, e qui la critica è necessaria, pensava ad un mondo con la possibilità di uno sviluppo lineare senza fine, un mondo a risorse infinite. Io ho sempre pensato che in un mondo a risorse infinite ci sarebbero infinite risorse per ognuno e per questo un tale mondo minimizzerebbe il conflitto con una distribuzione eguale delle risorse (cmq infinite) cosa che probabilmente pensava anche Marx. Ma nessun mondo ha risorse infinite, anche quelli tecnologicamente superiori che possiamo immaginare, semplicemente perché noi siamo “finiti”, semmai è un problema di soglie: ad un certo livello di popolazione e risorse disponibili il comunismo è migliore di altre alternative, con lo sviluppo di una società più complessa non è detto che lo sia, ma ci potrebbero essere altre soglie nel futuro in cui una distribuzione eguale diventa di nuovo la migliore possibile sia in alto, verso una tecnologia a maggior energia (ammesso che riusciamo a scoprirla), sia in basso, verso una decrescita ed un uso più efficiente delle risorse (escluderei un ritorno indietro totale perché le conoscenze che abbiamo renderebbero un mondo futuro ben diverso da quello del passato a meno di guerre termonucleari devastanti). Naturalmente non è nemmeno detto che però una distribuzione egualitaria sia quella che poi si realizza nella realtà: il principio della massimizzazione del profitto può contrastare questa idea (l’eguaglianza non produce quei differenziali che permettono l’aumento del profitto) creando un equilibrio instabile e di nuovo conflitto, a questo punto rientra anche in gioco la questione “morale” e non solo la mera economia, che ho delineato sopra: progresso è fine dello sfruttamento e dell’alienazione o è solo progresso tecnico?

  2. Briaf Rokudō
    29 dicembre 2015 at 22:46

    Approfitto di questo breve spazio prima di tutto per complimentarmi del bagaglio tematico e culturale offerto da questo sito e dalla sua redazione. I contributi che mi hanno condotto alla casuale scoperta di questa eccezionale avventura editoriale portano la firma del direttore F.Marchi e di M.L.Andriola. In particolare gli articoli vertenti sul ruolo e sulla funzione delle nuove destre europee. Attualmente sono in una “religiosa” sospensione del giudizio, tuttavia sono particolarmente incuriosito dalle cosìdette “infiltrazioni” e “strategie” di ordine culturale ed ideologico effettuate spregiudicatamente da alcuni settori della destra radicale. Trattasi di uno spontaneo e progressivo procedimento di rimessa in discussione critica di contenuti precedentemente elargiti o piuttosto di un tattico “restyling” ideologico (come quello compito dall’intellettuale de Benoist) funzionale ad uno strategico riposizionamento politico? Ulteriore caso di “rossobrunismo” o c’è sotto qualche cosa? Queste mie riflessioni sono state principiate indirettamente dalle parole di Michéa riportate sull’intervista: Marine Le Pen che cita disinvoltamente Gramsci e Marx. Antepone a questa constatazione, la preliminare considerazione che una critica del capitalismo su basi nazionalistiche è incompleta, tuttavia sottolinea che rispetto al desolante panorama elettorale francese, il FN è perlomeno l’unica formazione politica che meglio sa porsi come legittimo referente delle classi popolari abbandonata dall’attuale “sinistra”.
    Concludo quindi chiedendovi che cosa ne pensiate della scelta, perlomeno tattica, di Michéa di sostenere Le Pen. Possiamo dire che sia cascato nella trappola sotterraneamente perseguita dai rossobruni?

    • Fabrizio Marchi
      30 dicembre 2015 at 1:07

      Penso, senza ombra di dubbio, che quello di appoggiare il FN della Le Pen sia stato un grave errore da parte di Michea (lo stesso errore, peraltro, fu commesso da Preve) anche se, a mio parere, è anche esagerato parlare di appoggio. In realtà Michea, per lo meno a quanto ne so, ha più che altro affrontato il tema della “evoluzione” della “sinistra”; un processo che l’ha vista gradualmente abbandonare la lotta di classe (e di conseguenza i ceti popolari e proletari) per aderire al capitalismo e alla sua ideologia, in particolare alla sua versione “politicamente corretta”. Questo spazio lasciato vuoto dalla sinistra è stato occupato dalla destra, o meglio da una nuova (quanto sia nuova è poi tutto da vedere…) destra populista e nazionalista che ha saputo costruire un blocco sociale interclassista formato da una medio alta borghesia nazionale messa ai margini dal grande capitale internazionale e smaniosa di riconquistare l’egemonia perduta e dai ceti piccolo borghesi e popolari impoveriti e impauriti dalla globalizzazione e dalla crisi economica, in cerca di (comprensibile) sicurezza sociale. Il collante di questa alleanza interclassista è il ritorno a quel vecchio stato-nazione che da una parte restituirebbe l’egemonia politica perduta a quei settori di borghesia nazionale di cui sopra e dall’altra garantirebbe maggiormente i ceti popolari attraverso una politica di chiusura rigida nei confronti dell’immigrazione. Ceti popolari che, nel frattempo, scientemente depoliticizzati e deprivati di coscienza politica e di classe, hanno finito per credere che l’immigrazione massiccia sia la causa dei loro problemi, cioè della mancanza di lavoro, della disoccupazione, dei bassi salari, e non delle contraddizioni strutturali del sistema capitalista. Manna dal cielo per la destra che da sempre specula e alimenta la famosa “guerra fra poveri”.
      Nulla di nuovo, alla fin fine, se andiamo a vedere. Il FN è una forza antieuropeista ma non certo anticapitalista e antimperialista. Anzi, non fa mistero di essere nostalgica dei fasti della Francia grande potenza colonialista e imperialista.
      La ricostruzione di una forza autenticamente critica nei confronti del sistema capitalista dominante non passa certo attraverso la destra, che è soltanto una delle varianti (come l’attuale “sinistra”) di quello stesso sistema.

      P.S. grazie per i complimenti che fanno sempre piacere e per gli apprezzamenti nei confronti di questo giornale

      • Briaf Rokudō
        30 dicembre 2015 at 21:36

        Ti ringrazio per l’articolata e limpida risposta. Avevo senz’altro enucleato il discorso portante delle analisi di Michéa: la metamorfosi liberal-liberista dell’attuale sinistra europea e del progressivo abbandono di tutte quelle istanze comunitarie che erano, almeno in principio, istanze dello stesso socialismo. Aver sposato il cosìdetto “Progresso”, almeno quello nella sua accezione più politically correct, l’ha corrosa internamente spogliandola della sua forza rivoluzionaria.
        Tuttavia, come fra l’altro hai rammentato, questa presa di coscienza dell’attuale stato di cose lo ha spinto a “simpatizzare” per il FN, come il compianto Preve. Quest’ultimo è purtroppo venuto a mancare proprio un mese precedente all’ascesa politica di Salvini quale segretario della Lega Nord. Adesso mi chiedo, riducendo quindi l’orizzonte complessivo al nostro caso italiano, se dovessimo percorrere questo sentiero che non voglio per forza di cose definire “rossobruno”, Preve avrebbe aderito al progetto “sovranista” (termine dal punto di vista della semantica politologica, piuttosto ambiguo) elaborato dal Carroccio? Spero proprio di no, in quanto è ormai chiaro, data per scontata l’assoluta non omogeneità dei due paesi, che le parole spese per il FN valgano anche per la cosìdetta Lega 3.0 ristrutturutasi e riciclatasi lepenista. La mia preoccupazione è che intellettuali davvero anti-conformisti come Michéa non si accorgano di essere vittima di un raggiro ideologico, qualora dovessero oltre che simpatizzare, sostenere una determinata forza politica. Il recupero della sovranità nazionale, declinabile poi in quella economica, monetaria, fiscale etc. è senza alcun dubbio una priorità, ma sarebbe un’uscita che non risolverebbe appunto tutte le contraddizioni vigenti.
        Probabilmente sarà la tattica del ‘meno peggio’?

    • armando
      30 dicembre 2015 at 15:42

      Il tema è di bruciante attualità, e sicuramente avremo modo di parlarna ancora, e ancor più approfonditamente: mutazione genetica della “sinistra”, declino della perseità delle classi, tramonto della rivoluzione, tramonto della contraddizione capitale/lavoro nei termini in cui si è manifestata per tutto il secolo scorso, nuovo approccio alle questioni di una parte della “destra”, fenomeno del “rossobrunismo” che sarebbe però da definire con molta più precisione e in autonomia, cioè senza assumerne le definizioni interessate del mainstream che vuole solo demonizzare con un sol colpo sia il rosso (anche il PCFR, il nuovo partito comunisra russo, che il bruno, come ha già tentato di fare in Russia e Ucraina, salvo sdoganare l’aranciobrunismo, quello che davvero, con fatti concreti e documentati, ha sdoganato gli ucronazi di Previ Sektir e Svoboda. Sta di fatto che ciò che sta accadendo è suscettibile di rimettere in discussione, credo anche dal punto di vista teorico, idee, convinzioni, forme ideologiche, che sono entrate da tempo nella nostra visione della storia e del conflitto di classe ed anche nel nostro lessico. Io credo che dovremmo iniziare a parlarne non dal presupposto che tutti i vecchi paradigmi siano da buttare a priori, ma certamente rianalizzandoli alla luce della realtà concreta e rispetto a come si pongono di fronte ad essa tutti gli attori della scena. Altrimenti il rischio è di finire come i vecchi gruppi emmelle nati alla fine degli anni sessanta. Cioè ripetere all’infinito gli stessi concetti a platee sempre meno numerose e interessate, mentre la realtà intorno ci dice cose diverse. Non è questo il caso, certamente, dell’Interferenza e di Fabrizio, che anzi cerca meritoriamente e laicamente di discutere e dibattere senza paraocchi. Ma la sinistra, da questo punto di vista, ha una lunga e poco edificante storia di rigidità ideologica, la rigidità del “mi spezzo ma non mi piego”, che alla fine l’ha portata proprio a spezzarsi e confluire armi e bagagli in pieno campo avversario, diventandone anzi la punta di diamante, ben più importante della vecchia destra liberalliberista e conservatrice, ormai impossibilitata a sostenere credibilmente la schizofrenia fra gli effetti del capitalismo globalizzato (a cui inneggia) col sistema di valori ai quali, non importa per quale ragione, .aderiva.

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