Chi non ci è permesso criticare

Premetto che questo articolo è una sorta di spartiacque. Dopo averlo letto, molti nostri/e lettori e lettrici si allontaneranno, anche con sdegno, altri e altre si affezioneranno ancor più; altri ancora, forse si avvicineranno. Ma, come ho detto già diverse volte, questo giornale non è stato fondato per rassicurare né per contare il numero delle visite.
Andiamo all’oggetto.

Per capire chi vi comanda basta scoprire chi non vi è permesso criticare”. Questa frase è stata attribuita a Voltaire. Se sia stato effettivamente lui a pronunciarla o altri, poco conta. Ciò che conta è che è assolutamente condivisibile, per lo meno per quanto mi riguarda.

Già da tempo ho cominciato a fare questo gioco, una sorta di “m’ama, non m’ama”, come si faceva da ragazzini con le margherite, e ho provato ad applicarlo alle diverse vicende del mondo. Facendo questo gioco, mi sono reso conto che nell’attuale contesto storico che ci è toccato in sorte di vivere, due cose, molto diverse fra loro (ma con forti punti di contatto che fra poco vedremo), sono assolutamente incriticabili e incontestabili, pena l’ostracismo, l’emarginazione sociale e umana, l’esposizione al pubblico ludibrio, la chiusura di ogni spazio pubblico e molto spesso anche privato, la fine di ogni possibilità di inserimento, di carriera o di promozione sociale. Queste due “cose” sono Israele e il femminismo.

Ho visto tante persone nel corso della mia vita, anche intelligenti, colte, oneste e degne di stima, fare brillanti carriere accademiche (o in altri ambiti) nonostante fossero comuniste rivoluzionarie dichiarate e militanti, anche in formazioni di estrema sinistra. Ho visto tanti altri dichiarare e professare pubblicamente il loro anticapitalismo e il loro antiamericanismo viscerale, politico e ideologico. Anche in questo caso, le loro posizioni non hanno costituito un ostacolo alle loro carriere e al loro excursus professionale.

Se qualcuno fra questi (o altri) si fosse invece sistematicamente e pubblicamente impegnato nel sostenere che Israele è uno stato razzista, guerrafondaio e terrorista, che specula vergognosamente sulla tragedia dell’Olocausto per coprire i propri crimini, i cui confini non sono ancora stati volutamente definiti perché è loro ferma intenzione continuare ad espandersi e rubare altra terra agli arabi, il cui atto di fondazione è un’aggressione a mano armata nei confronti del popolo palestinese, e che per tali ragioni è da considerarsi un’entità illegittima, non solo non avrebbe fatto carriera in ambito accademico (o in qualsiasi altro ambito) ma non sarebbe neanche stato assunto come bidello.

E questo è un fatto che non può essere negato, e chi lo nega è in malafede.

Nella stessa misura, subirebbe la stessa sorte chiunque osasse mettere radicalmente in discussione o anche semplicemente criticare la narrazione ideologica femminista ormai da tempo largamente dominante. E anche questo è un fatto. E anche in questo caso chi lo nega è in malafede.

Piaccia o no, è così. E allora una riflessione sorge spontanea, perché se le cose stanno effettivamente in questo modo, devono necessariamente esserci delle ragioni.
Partiamo dalla prima questione: Israele.

L’infame speculazione ideologica, morale e politica sulla tragedia dell’Olocausto e sulle milioni di persone, non solo ebree, massacrate nei lager nazisti, è ciò che consente a Israele di fare il bello e il cattivo tempo nei territori palestinesi occupati e in tutto il Vicino Oriente. E’ ciò che giustifica i suoi crimini spacciati per una sorta di compensazione per i torti subiti. Per questa ragione il dramma dell’ Olocausto, che non è figlio del demonio o della mente di un folle, ma l’ inevitabile e logica conseguenza di un imperialismo criminale (come altri), quello nazista e dei regimi fascisti suoi alleati, armato di una ideologia razzista (come altre), è stato elevato ad una sorta di nuova ideologia, di nuova religione secolarizzata. L’Olocausto è stato quindi eretto a “male assoluto” per eccellenza, dopo naturalmente essere stato decontestualizzato e destoricizzato dal punto di vista storico e politico. Questa operazione si è resa necessaria perché si doveva invece contestualizzare, per poterlo giustificare, l’altro genocidio, quello atomico, scatenato sul Giappone dagli USA (Hiroshima e Nagasaki necessarie per porre fine alla guerra…).
Tale speculazione ideologica ha come “mission” anche e soprattutto quella di paralizzare psicologicamente l’opinione pubblica mondiale e in particolare europea, attraverso un processo sistematico (già avvenuto) di interiorizzazione del senso di colpa per quanto accaduto (i lager nazisti, la persecuzione e il genocidio degli ebrei). Naturalmente la storia è zeppa di genocidi, basti pensare a quello commesso dai bianchi, liberali anglosaxon protestant ai danni dei nativi americani o a quello dei cattolicissimi spagnoli e portoghesi in America Latina e tutti insieme allegramente quello perpetrato nei confronti degli africani deportati e ridotti in schiavitù (solo per citare i più noti…). Non ci risulta però che quel genocidio abbia avuto effetti psicologicamente paralizzanti né che abbia creato particolari sensi di colpa nell’opinione pubblica americana, tant’è che gli USA hanno continuato fin da allora indisturbati nelle loro politiche e guerre imperialiste in tutto il mondo. Anzi, quel genocidio è stato di fatto anch’esso inserito, pur in seguito ad una specie di lavacro purificatore (l’industria cinematografica americana è stata determinante in tal senso), in quella sorta di “messianica vocazione civilizzatrice” che l’America ha da sempre attribuito a se stessa e di cui si è auto investita (senza che nessuno glielo abbia mai chiesto, ovviamente…).

L’altra considerazione, di natura politica (ma non separabile da quella ideologica) è la seguente: se ciò è accaduto è dovuto al fatto che evidentemente il sistema capitalistico occidentale è in larga parte dominato dai gruppi di potere economici e finanziari sionisti (è bene ricordare che ebraismo e sionismo non devono essere assolutamente sovrapposti) che sono in grado di esercitare un peso e un condizionamento determinanti sui governi occidentali e in particolare su quello americano, al punto di determinarne le scelte politiche strategiche e anche l’ideologia di riferimento.

L’ideologia femminista, mutatis mutandis, segue esattamente lo stesso percorso perché basata, concettualmente parlando, sullo stesso identico senso di colpa scientemente instillato nella psiche degli uomini. La narrazione femminista ha infatti come presupposto un postulato che, in quanto tale, non può essere messo in discussione, e cioè l’oppressione millenaria del genere femminile da parte di quello maschile. Tutto ciò genera e ha generato negli uomini un senso di colpa profondo e inestinguibile che essi hanno interiorizzato (né più e né meno di come gli europei hanno interiorizzato il senso di colpa per la Shoah) finalizzato a paralizzarli psicologicamente frustrando sul nascere la possibilità stessa da parte loro di abbozzare una critica. Anche il deterrente, non a caso, è lo stesso, anche se agisce su un piano simbolico ancora più profondo perché va a toccare l’identità sessuale degli uomini, sia come genere che come singoli individui: ostracismo, emarginazione sociale e umana, esposizione al pubblico (e anche privato, in questo caso) ludibrio, chiusura di ogni spazio pubblico e il più delle volte anche privato, fine di ogni possibilità di inserimento, di carriera o di promozione sociale.

Non possiamo ora entrare nel merito, per ovvie ragioni di tempo e spazio e data la complessità del tema. Quello che voglio evidenziare in questa sede è come queste ideologie siano molto simili dal punto di vista del metodo (e in parte anche del contenuto). La prima specula su un fatto certo, l’Olocausto, la seconda sulla base di un postulato (l’oppressione millenaria del genere femminile da parte del genere maschile) dato però per certo e innegabile né più e né meno del primo (la condizione del genere femminile, nella sua totalità, viene dal femminismo equiparata a quella degli ebrei nei lager o degli schiavi neri nelle piantagioni di cotone americane o di qualsiasi altra etnia, gruppo sociale o comunità che sia stata oppressa nel corso della storia). Non è casuale, in entrambi i casi, che chi osa mettere in discussione o semplicemente criticare queste due ideologie, viene accusato di negazionismo. Accusa infamante che serve e a creare un clima di terrore psicologico finalizzato a sua volta a frustrare sul nascere ogni possibile critica.

Ma tutto ciò, sempre alla luce di quella citazione attribuita a Voltaire con cui abbiamo scelto di aprire questa riflessione, ci dice anche altre cose. Ci dice che il sistema (capitalistico) dominante si sente al sicuro al punto tale da consentire una critica anche radicale alla sua stessa struttura economica e politica, ma non al punto tale da consentire una critica altrettanto radicale alla sua ideologia (sovrastruttura), o meglio ad alcune parti della sua ideologia che sono quelle che abbiamo appena posto all’attenzione. E ci dice anche che la sovrastruttura può assumere talvolta, come in questi casi, una funzione strategicamente ancora più importante della struttura (alla quale è comunque strettamente legata), se è vero che i rapporti di produzione capitalistici possono essere criticati (per lo meno in questa fase…) ma non la legittimità dello stato di Israele e la narrazione femminista.

Se è dunque vera l’affermazione di Voltaire, e se è vero che la “questione israeliana” e il femminismo sono sottratti ad ogni possibilità di radicale critica e non possono essere messi in discussione senza essere sanzionati (per ora solo nelle forme suddette), se ne deve necessariamente dedurre che la catena di comando di questo sofisticato e complesso sistema di potere che è l’attuale dominio capitalistico, vede al suo vertice quelle due istanze ideologiche.
La logica mi dice questo. Sempre pronto laicamente a ricredermi, però a colpi di logica e non di chiacchiere, finte di corpo, come si usa dire in gergo calcistico, o arrampicate sugli specchi.

17 commenti per “Chi non ci è permesso criticare

  1. Luca
    9 ottobre 2015 at 15:41

    Eh già. Lei ha proprio ragione. Ad esempio a me per lungo tempo non è stato permesso di criticare il piagnisteo palestinese perchè ognivolta i compagnucci venivano a rompermi le scatole fino a casa.

    • 9 ottobre 2015 at 17:24

      Infatti, di cosa si lamentano sti palestinesi. Li hanno solo massacrati e defraudati della terra dei loro padri…

      • Luca
        10 ottobre 2015 at 18:19

        E di cosa hanno da lamentarsi gli occidentali se il loro governo li tartassa di tasse mentre loro si preoccupano dei diritti umani dei palestinesi?

  2. Alessandro
    9 ottobre 2015 at 17:28

    Analisi molto interessante e il parallelismo regge, soprattutto sul senso di colpa interiorizzato in entrambi i casi, che è un passaggio magistrale nell’articolo. A mio parere va comunque precisato che la critica alla politica israeliana è politicamente scorretta al pari di quella al femminismo, ma è comunque, a differenza di quest’ultima, diffusa. In questo stesso giornale on line non mancano gli articoli scritti da vari autori che ne sono una testimonianza.
    La critica al femminismo è invece appannaggio di pochissimi e ciò per tutta una serie di ragioni, la più importante delle quali è che chi la intraprende a viso aperto, lo fa a suo rischio e pericolo. Faccio un esempio: Massimo Fini. Costui era stato presentato come una delle firme più autorevoli del Fatto Quotidiano, ma è stato poi velocemente scaricato perchè colpevole di avere scritto alcuni articoli sul suo blog critici nei confronti del femminismo e del femminile. Contro di lui si è scatenata una vera e propria caccia all’uomo e da tutte le parti si è chiesta la sua testa, richiesta che è stata in breve tempo soddisfatta. Lo stesso Fini è sempre stato assai duro anche nei confronti di Israele nei suoi articoli, ma mai aveva dovuto subire un tale linciaggio mediatico. Ecco perchè anche i più coraggiosi anti-americani, anti-israeliani e così via, al cospetto del femminismo diventano tutti dei docili agnellini. Va anche aggiunto che ancora il femminismo nella testa di fini intellettuali è quel movimento che lotta per la parità tra i sessi, una balla diffusissima proprio perchè messa in discussione solo da un manipolo di coraggiosi, che proprio perchè minoranza assoluta possono essere zittitti facilmente o isolati e bollati come misogini, sfigati e così via.

    • Fabrizio Marchi
      9 ottobre 2015 at 18:06

      Bè, aspetta però, Alessandro, io non parlavo di semplice critica alla politica israeliana ma dell’ipotesi di mettere in discussione la legittimità dello stato di Israele, che è cosa ben diversa…
      Ora, nessun leader politico, né tanto meno un aspirante leader, ma neanche un semplice militante con ambizioni di carriera (stesso discorso per l’ambito accademico e quello giornalistico)si azzarderebbe a portare avanti un discorso di questo genere. Avrebbe finito prima ancora di cominciare.
      In questo senso dicevo che la critica a Israele e il femminismo sono sullo stesso piano. Entrambi non possono essere messi in discussione. Poi è vero che un certo margine, anche ampio, di critica ad Israele, è politicamente consentito e in determinati ambiti politici non è ostativa di nulla, mentre anche una moderata critica al femminismo non è tollerata e chiude ogni sbocco e ogni possibilità per chi abbia ambizioni in ambito politico, accademico o giornalistico (ma non solo…)

  3. Rino DV
    9 ottobre 2015 at 19:07

    E’ così. E’ assolutamente innegabile.
    Mi limito a sottolineare questo, che la critica al femminismo suscita reazioni più profonde nell’area emozionale. Crea un imbarazzo ingestibile negli uomini ed una reazione di scandalizzata, inorridita incredulità nelle donne. Ciò benché sia vero anche che in una (sia pur piccola) minoranza di esse è possibile trovare attenzione, mentre tra gli uomini è rarissimo incontrarne uno che non sfugga e non devii dal tema o che addirittura non si allontani fisicamente. In ogni caso, dichiarare in pubblico che la “millenaria oppressione maschile” (detta anche “Olocausto femminile”, sic!) è una menzogna radicale, innesca reazioni esplosive incontrollabili.
    Del resto ciò è ovvio: tra F ed M non corrono solo rapporti superficiali o relazioni sociali generiche. C’è la profonda intimità che viene toccata/ferita, qui.
    Si ha a che fare con la nitroglicerina.

  4. Rino DV
    9 ottobre 2015 at 22:18

    Aggiungo una chiosa “filosofica” (pur se sarebbe più appropriato definirla epistemologica).
    .
    Da quanto incontrovertibilmente scritto e descritto da Fabrizio si nota questo, che un racconto manipolatorio può fondarsi altrettanto bene sulla menzogna (l’ “Olocausto femminile”) come sulla verità, quello ebraico.
    .
    Noi invece pensavamo che si potesse manipolare, ossia mentire, solo con le menzogne al punto di considerare ‘menzogna’ sinonimo di ‘manipolazione’.
    E così ho fatto pure io nel post precedente, secondo l’uso comune.
    .
    Adesso però scopriamo che anche la ‘verità’ – in quanto usabile agli stessi fini della menzogna – è essa stessa sinonimo di ‘manipolazione’.
    .
    Scopriamo insomma che si può manipolare con entrambe e che pertanto, a quel fine, non c’è differenza tra un racconto del tutto vero, uno del tutto falso, un altro poco vero e molto falso o viceversa e così via in tutte le combinazioni/proporzioni possibili.
    .
    Ad. es. il femminismo, da me definito sopra come menzogna radicale (da intendersi cioè come manipolazione totale) non è del tutto falso nei suoi contenuti. Non ci sono solo fandonie, deformazioni, alterazioni. Ci sono anche tante verità parziali e persino molte verità integrali. Questo non toglie nulla, anzi aggiunge qualcosa, alla natura manipolatrice della Grande Narrazione Femminista.
    .
    Infatti, quanto alla manipolazione si può enunciare questo simpatico paradosso: si può manipolare persino con la menzogna. Di solito infatti si usa la verità (o qualcosa che le somiglia).

    • Animus
      10 ottobre 2015 at 23:26

      Lo sai che devi rinraziare Popper per questo, vero?
      In effetti, se hai scritto “pur se sarebbe più appropriato definirla epistemologica”, mi sa che lo sai… :-))

  5. Emanuela B.
    10 novembre 2015 at 9:56

    “Scusate, se tra voi mi presento”… buongiorno, comincio con una citazione. Scusate se mi intrometto, sono approdata qui dall’articolo su Ipazia e ho virato verso questo post. E con mia enorme sorpresa, leggo che “cio’ che non ci e’ permesso criticare” include il concetto di esistenza dello stato di Israele (e qui ci sarebbe un mare da scrivere) e poi piu’ in la una riflessione -con soli commenti approvanti- sorprendente: il FEMMINISMO (su cui ci sarebbe un mare da scrivere).
    Nessuna persona di sesso femminile ha scritto nessun commento,.
    Certo, un “tema” di tale portata necessita di premesse, statistiche, analisi basate su storia, filosofia e politica, per non parlare d’arte e religione. Insomma, lo scibile umano.
    Forse potrei cominciare con chiederci: cosa si intende per femminismo.
    Premettero’ alcune cose: ho preso parte ad iniziative del movimento studentesco, ho fatto parte di un “collettivo” per poi lasciarlo, non amo ne’ ho mai amato gli estremismi, amo a differenti livelli l’altro sesso e sono felicemente sposata.
    Questo per mettere una cornice, creare quei necessari contorni ad una riflessione su un tema cosi’ vasto.
    Sono rimasta molto colpita da cio’ che ho letto perche’ non mi aspettavo di leggere affermazioni quale quelle lette piu’ sopra.
    A cosa vi riferite quando parlate di falsi storici? Il riferimento ad una tragedia vera quale le operaie morte in una fabbrica, divenuto “simbolico”?
    A quale “narrazione femminista” vi riferite, quella che sarebbe “dominante”?
    E chi negasse questo sarebbe “in malafede”?
    Io non so dove viviate, fisicamente e ideologicamente parlando.
    Si vede chiaramente che il mondo e’ dominato da femministe arrabbiate, quelle che castrerebbero il maschio tipo le amazzoni di alcuni film passati. Io vivo in Gran Bretagna, dove il movimento di presa di coscienza delle donne nacque anche politicamente con le suffraggette, e non mi risulta che la societa’ sia piena di urlanti e scatenate mangia uomini, e dove la critica a certo tipo di manifestazioni del femminismo, quello “arrabbiato” esiste ed’ e’ accettabile (anche di donne che critichino) e nessuno si sognerebbe di dire che uno/una possa perdere il lavoro.
    Il fatto che venga citato Massimo Fini e’ fuori luogo, perche’ non mi risulta che gli sia stato vietato nulla ma che certe sue scelte personali siano motivate dal fatto tragico di perdere la vista.
    Non ho mai sentito di uomini a cui siano stati fatti dei torti di alcun genere per aver criticato il cosiddetto femminismo. Non mi risulta che la societa’ sia dominata da donne.
    Mi risulta anzi che le donne siano oggetto di una mattanza quitidiana, di altissima percentuale specialmente in Spagna ed Italia. Mi risulta che le donne vengano pagate meno per lo stesso lavoro. Mi risulta che siano le donne fatte oggetto di mercificazione nelle nostre societa’ sessuofobiche. Che a dispetto di alcune manifestazioni “arrabbiate” e dopo un periodo forte di denuncia, quale quello degli anni 60/70, tutti gli sforzi verso una dignificazione della figura femminile sia miserabilmente caduta in un baratro per cui oggi per fare carriera come donna, ancor piu’ di ieri, devi essere super sexy e super perfetta, cosi’ come nelle pubblicita’ televisive dalla fine anni 50 in poi si propagandava (a parte il sexy, anzi guai!).
    Che le donne siano oggetto piu’ degli uomini a discriminazioni di ogni genere, specialmente sull’eta’ e sulla propria immagine tale da spingere le donne a passare dal chirurgo per non apparire vecchie -si. apparire, perche’ ci sono anche donne che si vedono vecchie gia’ a 30 anni- o a soffrire di anoressia/bulimia e di scarsa autostima, e’ un fatto.
    Tutto questo e’ retorica? E’ malafede? Io non so dove viviate e come sia la vostra vita, ma forse bisognerebbe che una riflessione basata su dati di fatto fosse fatta senza tanta commiserazione. Che sorpresa leggere commenti del genere, mi aspetto che siate tra coloro che non vogliono vedere le donne fare sport e lavori “da uomini”. Le donne in casa, per favore… che senno’ poveri uomini si sentono aggrediti….bella giustificazione per tutti coloro che stuprano e che uccidono le donne

    • romano
      11 novembre 2015 at 20:03

      “Il riferimento ad una tragedia vera quale le operaie morte in una fabbrica, divenuto “simbolico”?”
      Se si sta riferendo alla storia dell’8 marzo, la informo che si tratta effettivamente di un falso storico.
      http://it.avoiceformen.com/propaganda-femminista/8-marzo-inganno-femminista/
      Non è quindi, come scrive lei, una tragedia vera.
      La quasi totalità dei morti sul lavoro è costituita da uomini. Di conseguenza, anche se quella tragedia fosse realmente avvenuta, è scorretto elevarla a “simbolo” dell’oppressione femminile. Quell’evento sarebbe l’eccezione che conferma la regola.
      “Mi risulta anzi che le donne siano oggetto di una mattanza quotidiana, di altissima percentuale specialmente in Spagna ed Italia”
      In un paese di 60 milioni di abitanti vengono uccise meno di 160 donne l’ anno. Le sembrano numeri che possano giustificare l’uso del termine “mattanza”? Il suo, e quello di tutta l’informazione mainstream, è lo stesso linguaggio usato dalla destra più becera, forcaiola e razzista. Basta sostituire le parole “uomini/maschi” con “immigrati/negri” e la parola “donne” con “italiani”. Un linguaggio che è tanto caro e funzionale a chi ci comanda dato che alimenta una stupida guerra tra sessi (e quindi tra poveri), distraendoci da quelle che sono le reali emergenze.
      Non mi risulta che in Italia venga uccisa una donna al giorno, non mi risulta che le donne uccise ogni anno siano 365 ( in realtà sono meno della metà). Quindi le chiedo: perché parla di mattanza QUOTIDIANA? Perché ha più che raddoppiato il numero delle donne uccise? Malafede, disonestà intellettuale o semplice ignoranza dettata dalla totale mancanza di consapevolezza e senso critico?
      “… specialmente in Spagna ed Italia”
      Le fornisco una notizia: l’Italia è uno dei paesi più sicuri per le donne. http://www.centriantiviolenza.eu/onu-italia-fra-paesi-piu-sicuri-per-le-donne/
      In paesi “progressisti” e femministi come la Svezia le donne hanno più probabilità di essere ammazzate.
      In Italia (ma questo vale per quasi tutti i paesi del mondo), la percentuale di uomini uccisi è di gran lunga superiore. Sia donne che uomini ammazzano in prevalenza uomini.
      Abbiamo quindi appurato che, nonostante vengano ammazzati molti più maschi, lei ha sentito la necessità di concentrarsi sulle donne. Evidentemente, per lei, la vita di 3 donne vale di più della vita di 7 uomini (questa è più o meno la proporzione donne/uomini ammazzati in Italia).
      “Mi risulta che le donne vengano pagate meno per lo stesso lavoro”
      Altra squallida menzogna. In pratica sta dicendo che gli imprenditori sono talmente masochisti da assumere uomini pur avendo l’opportunità di assumere una donna e pagarla di meno. Sono talmente misogini da rinunciare a fare maggiori profitti pur di fare un dispetto alle donne. Usare la logica ogni tanto, no eh?
      Basta essere dotati di un minimo di buon senso per, quantomeno, dubitare di questa bufala del Gender Pay Gap. Le fornisco un paio di articoli che smontano quella che è a tutti gli effetti una schifosa mistificazione:
      http://www.forbes.com/sites/realspin/2012/04/16/its-time-that-we-end-the-equal-pay-myth/
      http://www.cbsnews.com/news/the-gender-pay-gap-is-a-complete-myth/

      “ Mi risulta che siano le donne fatte oggetto di mercificazione”
      Mercificazione o auto mercificazione? https://www.youtube.com/watch?v=v6yXETbU28A
      «La donna non è affatto un oggetto. Quello che facciamo è dovuto alla voglia di essere protagoniste. E per riuscirci usiamo i giornali. Ho avuto la copertina di Panorama e non è da tutti. Non sono loro che hanno usato me. È un uso reciproco. Sono egocentrica, chi fa spettacolo lo è, mi piace essere guardata. Se le donne sono oggetto, chiunque lo è, anche gli uomini» Melissa Satta http://altrimondi.gazzetta.it/2009/10/22/non_sono_una_donnaoggetto_ma_a/
      Sarebbe ora di finirla di dipingere le donne come vittima anche quando non lo sono.
      Che le donne siano oggetto più degli uomini a discriminazioni di ogni genere (…) è un fatto.”
      Un fatto? Ma non diciamo fesserie.
      Il 70% delle vittime di omicidio sono uomini http://www.ansa.it/web/notizie/specializzati/legalita/2013/07/11/526-omicidi-2012-minimo-ultimi-40-anni_9008949.html
      Gli uomini, pur vivendo mediamente 5 anni in meno, devono andare in pensione più tardi http://www.uominibeta.org/articoli/a-proposito-di-parita-parliamo-di-pensione/
      https://it.notizie.yahoo.com/speranza-di-vita-cresce-distacco-donne-uomini-145920815.html
      Diritti riproduttivi asimmetrici a danno degli uomini http://www.uominibeta.org/articoli/maternita-paternita-e-diritti-asimmetrici-riproduttivi/
      Bonus disoccupazione per sole donne, incentivi e sgravi fiscali per imprenditoria femminile. Queste e numerose altre iniziative sessiste giustificate dal falso assunto secondo cui “la crisi è sulle spalle delle donne”. Pazienza se la realtà è un’ altra. Pazienza se nel mondo reale il 95% dei suicidati per ragioni economiche sono uomini, pazienza se l’87% dei senzatetto dono uomini.
      http://www.eures.it/upload/doc_1305878239.pdf
      http://www.caffenews.it/legalita-antimafie/40951/italia-emergenza-homeless-cresce-il-numero-dei-senza-tetto/
      il 98% dei morti sul lavoro sono uomini http://www.vegaengineering.com/dati-osservatorio/allegati/Statistiche-morti-lavoro-Osservatorio-sicurezza-lavoro-Vega-Engineering-31-10-12.pdf
      La lista di “discriminazioni” contro gli uomini può continuare all’infinito. Bastano comunque questi pochi dati (soprattutto quelli relativi a senzatetto, suicidi e morti sul lavoro) per sbugiardare chi ancora ciancia di “uomini privilegiati”, “donne cittadine di serie b”, ecc.
      “Non ho mai sentito di uomini a cui siano stati fatti dei torti di alcun genere per aver criticato il cosiddetto femminismo”
      http://www.uominibeta.org/articoli/per-capire-chi-vi-comanda-basta-scoprire-chi-non-vi-e-permesso-criticare-voltaire-2/
      “Io non so dove viviate e come sia la vostra vita”
      A quanto pare noi viviamo nel mondo reale, lei vive nel mondo delle favole “femministe”.
      Buon risveglio

      • Fabrizio Marchi
        12 novembre 2015 at 21:47

        Caro Romano, sottoscrivo il tuo commento e ti ringrazio della risposta articolata ed esaustiva ad Emanuela B. Ci sarebbe stato anche molto altro da dire ma va bene così.
        Io in tutta sincerità non ho più voglia di ribattere a simili scontate argomentazioni, a queste lezioncine imparate a memoria . Come dico spesso, il tempo e le energie non sono infinite e bisogna impiegarle al meglio. Per cui grazie ancora delle energie e del tempo che mi hai fatto risparmiare.
        A buon rendere 🙂

  6. Alessandro
    11 novembre 2015 at 22:38

    romano: standing ovation!

  7. Fabrizio Marchi
    13 novembre 2015 at 9:36

    In realtà a svelare la bufala dell’incendio della fabbrica furono proprio due storiche militanti femministe, Tilde Capomazza e Marisa Ombra che pubblicarono un libro sul tema dal titolo “8 marzo,una storia lunga un secolo”, scritto dopo aver fatto una accurata ricerca storica sui fatti e riportando le fonti (che confermano la bufala).
    Come la stessa Capomazza spiega in questa intervista a Repubblica che riporto sotto “…Fu lì che scoprimmo (nei testi consultati che riportavano gli atti delle varie Conferenze) che di incendio non si parlava affatto, ma decisiva fu la lettura degli atti della Conferenza internazionale delle donne socialiste a Copenaghen 1910 dove di Gdd (Giornata della Donna) si parlò ma non di incendi… La giornata, dopo vari tentativi fatti da Clara Zetkin fu poi approvata a Mosca nel 1921 , definita giornata dell’operaia, e ispirata alla rivolta delle donne di Pietrogrado contro lo zarismo avvenuta il 23 febbraio 1917( corrispondente nel nostro calendario gregoriano all’8 marzo)”, la storia del’incendio è stata quindi inventata di sana pianta.
    Sbaglia però anche “A Voice for Men” perché fornisce un’interpretazione tutta ideologica della vicenda (in chiave apertamente anticomunista) quando dice che “la festa dell’8 marzo è stata imposta dal comunista Vlamidir Lenin e dalla femminista Alexandra Kollontai per far credere alle lavoratrici di essere state liberate dalla schiavitù capitalistico-patriarcale. La festa venne poi ufficializzata dal Soviet Supremo per commemorare i meriti delle donne Sovietiche nella costruzione del Comunismo”.
    La Festa dell’8 marzo nasce in realtà, nelle intenzioni degli ideatori, come una giornata dell’ operaia, quindi una festa di classe, anche se dedicata alle donne, nella fattispecie le donne operaie e proletarie. L’8 marzo, dunque, come il 1 maggio, Festa del lavoro, o come il 7 novembre (ben più importante, ovviamente, essendo la data della Rivoluzione d’Ottobre) o altre feste socialiste e comuniste.
    E’ stato il femminismo, quindi, che ha sostanzialmente manipolato quella ricorrenza trasformandola in una celebrazione del genere femminile, di fatto in una festa dal retrogusto sessista e antimaschile.
    Sbaglia anche, a mio parere , a definire o a bollare la Kollontai come una femminista. In realtà il femminismo non era ancora nato (nascerà negli anni ’60 negli USA e quasi contestualmente in Europa occidentale). La Kollontai era una comunista e non si sarebbe mai sognata di dire e neanche di pensare aberrazioni del tipo che “la violenza è maschile”, “In ogni uomo c’è un potenziale stupratore”, “la guerra è un “gioco” dei maschi”, “la lotta di classe è un affare privato fra maschi”. Intanto perché non lo pensava affatto, secondo poi perché se si fosse pronunciata in tal senso sarebbe stata spedita nell’arco di pochi giorni se non di ore a edificare il socialismo nelle miniere della Jacuzia, nella Siberia orientale a 50 gradi sotto zero.
    Quindi è bene fare degli adeguati distinguo, altrimenti si ingenera confusione…
    Ciò detto, condivido comunque quello che dicevi. Se anche quell’incendio ci fosse stato (e io penso che ci sia effettivamente stato), non sarebbe altro che l’eccezione che conferma la regola, dal momento che a morire sul lavoro, ovunque, sono pressoché soltanto uomini http://www.uominibeta.org/home/morti-sul-lavoro-l8-sono-donne/
    Del resto, oltre allo stillicidio quotidiano di operai che cadono da un’impalcatura o da un traliccio oppure finiscono sotto una pressa o di contadini schacciati da un trattore, la storia è piena di spaventose stragi sul lavoro (tutte al maschile…) avvenute in tutto il mondo dovute per lo più a crolli nelle miniere e a volte ad incendi (fra cui anche quello citato anche da “A Voice for Men” della Triangle Factory del 25 marzo 1911 in cui morirono 146 lavoratori, in maggioranza immigrati italiani).
    Di seguito il link dell’intervista a Repubblica di Tilde Capomazza: https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&cad=rja&uact=8&ved=0CCAQFjAAahUKEwjWsvyu8ozJAhVCzRQKHbjDA7k&url=http%3A%2F%2Fwww.repubblica.it%2F2008%2F12%2Fsezioni%2Fspettacoli_e_cultura%2Fpassaparola-3%2Fotto-marzo%2Fotto-marzo.html&usg=AFQjCNE8xlPNM7ibx-hHunxscCQHh3-W2g&sig2=OvpU8ZrenaCQCUS18fKb4g

    P.S. ci sono tantissimi altri articoli, interviste alle due autrici ecc. che trattano l’argomento. Naturalmente è stato però fatto calare l’oblio su questa vicenda. E si capisce anche il perché. Un’ideologia che come suo atto fondativo e simbolico ha scelto una clamorosa balla non sarebbe più credibile. Sarebbe come a dire che l’assalto al Palazzo d’Inverno il 7 novembre del 1917 nell’allora Pietrogrado da parte dei bolscevichi oppure che la Presa della Bastiglia avvenuta il 14 luglio 1789 che diede l’avvio alla Rivoluzione francese, sono date inventate di sana pianta.

    • romano
      13 novembre 2015 at 13:32

      Fabrizio, ti ringrazio…. ignoravo l’esistenza del libro di Tilde Capomazza e Marisa Ombra.

  8. Corrado
    15 dicembre 2015 at 23:10

    Complimenti per l’articolo. Anchio dopo aver abitato 15 anni negli USA sono arrivato a simil conclusioni ma per percorsi diversi. In america la quasi totalità dei mass media è di proprietà di persone di etnia ebraica e di conseguenza tutta l’informazione rappresenta sempre in luce positiva gli ebrei ed Israele. Quindi non c’è da sorprendersi che tutti i politici Americani sono pro Israele perchè se non lo fossero i mass media li metterebbero alla berlina e l’opinione pubblica, che è controllata dall’informazione dei mass media, non li voterebbero mai. Basti pensare a quando Marlon Brando disse in tv che Hollywood era in mano alla comunità ebraica, ragion per cui i cattivi erano sempre di ogni nazionalità tranne che ebrei nei film. Il giorno dopo dovette andare in tv dove si inginocchio (letteralmente) davanti al capo di un’associazione ebraica chiedendo scusa e piangendo. Quindi tornando alla frase di Voltaire: “Per capire chi vi comanda basta scoprire chi non vi è permesso criticare”…pensate alla sensazione di scomodità che avete avuto mentre avete letto cio’ che ho scritto. Questa sensazione è dovuta a una vita di indottrinamento da parte dei vostri padroni che hanno reso ogni critica verso di loro immorale. Pensateci!

  9. Marco
    1 aprile 2016 at 14:20

    Rispondo con ritardo, ma penso sia importante porre l’attenzione su questo argomento: La violenza di genere.
    Questa viene interpretata e quotidianamente pronunciata, come vile gesto unilaterale degli uomni contro le donne. I dati sugli omicidi sono incontovertibili, sia chiaro. Ma la violenza, purtroppo, non si esaurisce solo nella soppressione biologica della vita, ma si esercita in molti altri modi. In Italia per questo vi è un osservatorio e non è difficile leggerne le periodiche pubblicazioni. Non esiste però alcun osservatorio sulla violenza subita dagli uomini dalle donne. Perché? Tali ossrvatori esistono in UK, in Spagna, Francia, Germania etc., ma non in Italia. Perché? Semplice nuoce alla narrazione femminista. Non si deve dire. Deve prevalere l’idea che solo la donna può solo subire violenza, ma non la esercita. In UK ormai il 40% delle denunce per violenze domestiche è effettuato dagli uomini, simili dati caratterizzano altre nazioni dove queste rilevazioni vengono effettuate e studiate. Perché in Italia non se ne può parlare? Perché il Ministero delle pari opportunità non finanzia nulla del genere. Perché l’Istat tace sull’argomento? Per lo stesso motivo.
    Si può parlare per ore di questi argomenti, bisogna farlo con dati, con serenità, per quanto possibile e liberi da pregiudizi.
    Non può passare l’idea che essere nati maschi contenga in se il peccato originale nella stessa misura in cui questo secondo altri punti di vista accade per le femmine. Solo che la “narrazione” è diversa. Siamo immersi nel vortice della “colpa” maschile che viene quotidianamente prounciata, cantata ed urlata. Mentre esiste senza dubbio una costante violenza (di tutti i tipi)quotidiana esercitata da unomini e giustamente stigmatizzata. Quella femminile non è evidenziata né dalla stampa né in una narrazione altrettanto meritevole di attenzioni. Valga per tutte una: il 95% dei processi intentati contro gli ex mariti per “molestie verso i figli” si conclude con l’assoluzione di questi ultimi. Si tratta solo di un espediente per allontanare gli ex mariti dai figli al fine di ottenerne l’affidamento. La vita di molti uomini ongni anno è lacerata e distruttta da accuse infamanti, che anche dopo la coclusione processuale lascia tracce indelebili. Non è forse violenza questa? e da chi è agita? Sarebbe bello aprire gli occhi, parlare di cose serie in modo serio e finirla di essere ideologici.

  10. Scorpion
    11 giugno 2016 at 7:19

    Condivido buona parte del vostro dire, ma vi invito a dare una spulciata alle tesi revisioniste di Faurisson, di David Cole (ebreo) e molti altri..
    Cole ha elaborato un documentario su Auschwitz di oltre un’ora ancora reperibile su YouTube..
    son sicuro avrete molto da ricredervi persino sul presunto “sterminio”

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