Conflitto di classe e femminismo: una contraddizione insanabile

Ho letto questo articolo https://www.sinistrainrete.info/politica/13873-lenny-benbara-il-populismo-e-il-grande-complotto-rossobruno.html di Lenny Benbara (un intellettuale della sinistra francese vicino a France Insoumise) pubblicato sul blog di Senso Comune che è un gruppo politico che orbita nei paraggi di “Patria e Costituzione”, l’associazione recentemente fondata da Stefano Fassina.

L’articolo, per chi lo condivide (il sottoscritto, al contrario, per nulla…) ha un pregio, quello di fare uno sforzo sia teorico che politico per superare le divisioni e trovare una credibile sintesi fra le varie anime della sinistra, in particolare fra quella “sovranista”, quella marxista  (quel poco che ne rimane) e quella cosiddetta “movimentista” (l’autore fa particolare ed esplicito riferimento ai movimenti femministi ed LGBT).

Benbara (ma mi pare di capire che gli amici e i compagni di Senso Comune sposino le sue posizioni, anche dalla lettura di precedenti articoli pubblicati sul loro blog) ritiene che la contrapposizione fra sinistra marxista ortodossa e quella “movimentista” (femminista, radical, ecologista, Lgbt ecc.) sia ormai destinata ad essere superata, così come ancor più deve essere superata quella fra la “sinistra “sovranista e populista” e quella “movimentista”. E questo non per ragioni meramente tattiche – spiega – ma di merito. Porre la “questione sociale” (cioè di classe) prima e sopra alle altre è sbagliato – soggiunge – così come sarebbe altrettanto sbagliato porre per prima e sopra all’altra quella del femminismo, dei diritti LGBT (che costituiscono il cuore e il mattone fondamentale dell’ideologia politicamente corretta, cioè l’attuale ideologia capitalista dominante, ma di questo Benbara non se ne avvede neanche…).  Quindi si tratterebbe di superare quella che lui stesso definisce appunto una sorta di “gerarchizzazione” delle diverse istanze (diritti sociali, sostenuti dai “sovranisti-populisti” e anche dai marxisti, e diritti civili, sostenuti dai “movimentisti”), evitando però la mera sommatoria che sortirebbe solo l’effetto di impoverirle tutte, per lavorare a quella che lui definisce una sorta di “articolazione”.

Insomma, non si capisce – insiste – perché populismo e sovranismo (ma anche marxismo, anche se quest’ultimo appare residuale…) non dovrebbero marciare di pari passo e anzi coniugarsi – sia pure con le modalità che lui stesso paventa – con il femminismo e con tutta l’impalcatura ideologica della sinistra “movimentista” post sessantottina.

Del resto, lo stesso Benbara (per lo meno sotto questo aspetto è un pochino più avanti rispetto alla pressochè quasi totalità dell’intellettualismo di sinistra” corrente, completamente accecato quando si parla di femminismo e questioni di genere) è consapevole che queste tematiche possono essere fatte proprie anche da un punto di vista squisitamente reazionario e di destra. Cito testualmente dal suo articolo:” La questione LGBT può, infatti, essere risignificata anche in maniera reazionaria. Gli esempi non mancano: Geert Wilders nei Paesi Bassi non esita ad appropriarsi della difesa dei diritti LGBT spiegando allo stesso tempo che i musulmani costituiscono una minaccia esistenziale contro gli stessi; l’AfD pone in prima linea l’omosessualità di Alice Weidel, leader del partito, per opporsi alla minaccia dell’”invasione migratoria”, ecc.”.

Ma qui c’è già la prima contraddizione. Nel momento in cui l’autore dice che “Geert Wilders non esita ad appropriarsi della difesa dei diritti LGBT”, presuppone il fatto che la “questione LGBT” (ma anche quella femminista…) sia di sinistra a prescindere e che la destra li abbia solo scippati, diciamo così. Dovrebbe invece spingersi più in profondità (ma non può farlo, perché altrimenti dovrebbe recitare il De profundis per quella “sinistra” a cui lui appartiene…) e interrogarsi sulle ragioni per le quali anche una destra ultrareazionaria e razzista faccia sue, peraltro con grandissima disinvoltura e senza nessun attrito con il suo tradizionale sistema valoriale e ideologico, le tematiche femministe e LGBT, e quindi domandarsi se non sia il caso di ripensare l’intero paradigma (quello in base al quale, appunto, l’ideologia femminista e LGBT sarebbe di sinistra per definizione…). In altre parole, se non sia giunto il momento di riflettere sul fatto che forse quelle tematiche non sono di Sinistra a prescindere, soprattutto se consideriamo che quelle stesse, oltre che dalla destra ultrareazionaria e razzista sono da tempo (se non da sempre…) state sposate dallo schieramento liberale, neoliberale e neoliberista dominante e, naturalmente, anche da tutte le sinistre, nessuna esclusa, sia quella liberale e radicale (che è parte organica dello schieramento neoliberale ed oggi anche europeista) che quella “antagonista”.

Troppo facile, alla luce di tutto ciò, alla luce cioè della evoluzione vissuta da quelle ideologie che le hanno portate ad avere nella trasversalità politica e quindi nel conseguente ed oggettivo interclassismo (l’esatto contrario del concetto di classe), il loro tratto fondamentale e distintivo, rifugiarsi nell’ottica dello scippo. E’ comprensibile per chi ha l’annoso problema di buttare l’acqua sporca e di salvare il bambino. Il punto è che a volte diventa veramente difficile se non impossibile salvare quel bambino, soprattutto in considerazione di ciò che è diventato da adulto, che è quello che conta veramente…

E qui passiamo al secondo (grave) errore dell’autore. Scrive subito dopo Benbara:” In altre parole, anche le istanze più intrinsecamente progressiste nella nostra immaginazione possono essere oggetto di un’operazione egemonica d’incorporazione parziale da parte dell’avversario, in maniera tale da donargli un contenuto reazionario ex post. Questo è dunque il caso di qualsiasi tipo di istanza: la questione sociale, la democrazia, il femminismo, l’ecologia, la sicurezza, l’antirazzismo, ecc. Ognuna può essere oggetto di una appropriazione e risignificazione di tipo reazionario”.

Quanto dice vale sicuramente per il femminismo, la democrazia, la sicurezza, l’ecologia e l’antirazzismo, ma NON per la questione sociale, cioè di classe. La questione di classe, quindi la lotta di classe, non sarà MAI patrimonio né tanto meno elemento costitutivo di qualsiasi destra, sia essa reazionaria, liberale o neoliberale (quindi neanche della “sinistra” liberale e neoliberale, ovviamente…). Nessuna destra, sia essa reazionaria o liberale, potrà mai scipparla alla Sinistra (con la maiuscola e senza virgolette) per la semplice ragione che non ha nessun interesse a farlo, dal momento che ne è apertamente nemica. Al contrario, la deve negare e per quanto possibile rimuovere od occultare. Viceversa, è la questione di classe, quindi la contraddizione e il conseguente conflitto di classe (che poi sia latente o palese, evidente o rimosso, è altra questione…) che sono costitutivi della Sinistra. E’ così e NON potrebbe essere altrimenti.

La vera questione, dunque, non è quella di capire come coniugare la questione sociale con il femminismo, o il sovranismo/populismo con l’ideologia LGBT. Il problema è aprire una riflessione vera per capire se il femminismo (mattone fondamentale dell’ideologia politicamente corretta) sia una ideologia costitutiva della Sinistra di classe oppure sia – come io penso –  fondamentalmente funzionale ed organico alla narrazione ideologica neoliberale e capitalista attualmente dominante. Naturalmente, data la complessità del tema, non posso che rinviare alla lettura delle centinaia di articoli che ho pubblicato in tema (ma non solo io, fortunatamente…) o al limite del mio ultimo libro “Contromano. Critica dell’ideologia politicamente corretta”, dove la questione è ampiamente sviscerata (così come nelle recensioni al libro).

La posizione di Benbara è quindi viziata all’origine. Oserei dire che è anche decisamente vetusta, anche se lui crede dire chissà cosa di progressista e futurista. Cito di nuovo l’autore:” Proporre un progetto di paese, patriottico, popolare, pluralista ed inclusivo è fondamentale per far convergere verso lo stesso orizzonte trascendente e positivo l’insieme di queste aspirazioni. A seguire, c’è la designazione dell’avversario comune e del suo mondo: l’oligarchia, le élite, il vecchio mondo, ecc.”,

“Il vecchio mondo”, dice Benbara. Invito a riflettere su questa espressione perché è altamente significativa del modo di pensare e di interpretare la realtà da parte della stragrande maggioranza del ceto intellettuale di “sinistra”.  Invitando a combattere il “vecchio mondo”, individuato come controparte insieme alle elite e alle oligarchie (capitaliste), anche Benbara (come quasi tutti gli intellettuali di “sinistra”) dimostra di non avere capito nulla (mi scuso per la perentorietà dell’affermazione e per la presunzione ma è ciò che penso…) dell’evoluzione del sistema capitalista che si è disfatto o ha messo in panchina il “vecchio mondo” (Il famoso e vecchio “Dio, Patria e Famiglia”) per assumere appunto il “nuovo”, cioè l’ideologia neoliberale e politicamente corretta attualmente dominante di cui il femminismo (ma non solo…) è parte integrante e organica. Le elite e le oligarchie capitaliste che giustamente Benbara (e noi con lui…) vorrebbe combattere non se ne fanno più nulla del “vecchio mondo” che anzi considerano da tempo obsoleto e superato al fine della perpetrazione del loro dominio di classe.  Ostinarsi ad individuare nel “vecchio mondo”, cioè nel vecchio sistema valoriale/ideologico vetero borghese, l’attuale ideologia dominante del capitale, equivale a combattere l’attuale sistema dominante capitalista con lo stesso approccio, con le stesse categorie e con gli stessi strumenti che potevano essere efficaci per combattere il sistema feudale.

Siamo, quindi, di fronte ad un paradosso di proporzioni macroscopiche in cui pressochè tutta la sinistra è ancora immersa, tranne rari e sporadici casi di singoli soggetti o associazioni. Si comincia, ultimamente, ad avvertire qualche balbettio, ma sono ancora pochissimi quelli che hanno colto la questione e l’hanno analizzata con lucidità. Uno fra questi pochissimi (oltre, immodestamente, al sottoscritto) è il mio amico Alessandro Visalli che, non a caso, fra gli altri, ha scritto questa recensione del mio libro: http://tempofertile.blogspot.com/2018/11/fabrizio-marchi-contromano.html  in cui la questione viene lucidamente affrontata.

Sono però convinto che la questione si aprirà, inevitabilmente, perché non potrà non aprirsi. Si tratta di accelerare questo processo superando resistenze, paure, armatura ideologiche arrugginite e dogmatismi.  Stupisce (ma solo fino ad un certo punto…) che queste resistenze persistano anche in quella sinistra cosiddetta “sovranista” che pure sostiene di voler rompere con quella “sinistra” che ha sposato la narrazione neoliberale. Noi ci augureremmo che queste resistenze e queste paure fossero superate anche in quella parte di sinistra cosiddetta “antagonista” che ancora ha un suo radicamento di classe, pur fra tante difficoltà e contraddizioni. Ci vuole, però, coraggio. Senza di questo non si va da nessuna parte.

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Fonte foto: il partitocomunista.it (da Google)

 

 

 

 

14 commenti per “Conflitto di classe e femminismo: una contraddizione insanabile

  1. sergio
    19 dicembre 2018 at 9:57

    Il tipo di dibattito che si svolge intorno alla deriva dell’identità “di sinistra” continua a mostrare tutte le ambiguità e le inadeguatezze strutturali degli intellettuali in Italia.
    Premesso che non sono mai stati gli intellettuali a determinare un ciclo di lotte ma nemmeno il progresso sociale né politico di una nazione, tuttavia avrebbero almeno l’obbligo di assolvere il copito di comprendere, valorizzare, spiegare la natura dei conflitti, le necessità e le ragioni del cambiamento. La realtà politica e sociale cambia sulla base di iniziative di massa che si esprimono necessariamente in conflitti sociali a partire dalle contraddizioni reali imposte dal capitale e in seguito al raggiungimento di una massa critica di opposizione diffusa nelle strutture strategiche della produzione e nelle forme istituzionali in cui si strutturano i rapporti sociali. E’ ridicolo questo affaccendarsi dei burocrati naufraghi dei fallimenti riformisti, revisionisti, socialdemocratici già europeisti, che hanno svenduto patrimoni veri di lotta proletaria e comunista, senza averli mai capiti, disprezzandone la natura materiale, violenta, inelegante e ponendo la loro “intelligenza” come superamento del comunismo. Questa gente ha solo vissuto di una rendita parassitaria ed opportunista. Ancora si ostina a fare alchimie di progetti politici finalizzati al circo elettorale del consenso popolare. Come se la storia fosse una mera questione elettorale. Non hanno una visione dalla natura umana dei rapporti sociali e del potere, un progetto del mondo possibile e delle reali dinamiche in atto; oppure credono di averli ma sulla base di stereotipi superficiali e luoghi comuni presi dalle stesse narrazioni che il capitalismo predispone nelle sue strategie di manipolazione mediatica. Hanno in odio ogni radicalismo laico, ogni reale approfondimento della natura famigliare e diffusa del potere economico. Non oserebbero mai sostenere un progetto di rottura di conflitto necessariamete minoritario ma lucido e determinato in una fase di grande destabilizzazione generale. No, cercano a priori la medizione, il consenso massificato. Vogliono raccogliere i risultati finali senza aver mai lottato.
    Fanno politica con le opinioni come gli avventori dei bar fanno calcio da avvinazzati. Hanno preso in considerazione un programma di guerra? Di conflitto sociale? Di organizzazione diffusa territoriale, di contrasto materiale sul lavoro e sui temi veri del reddito e della ricchezza sociale? Quello che serve è un partito di lotta extraparlamentare, diffuso e radicato in tutte le realtà di conflitto già esistenti che oggi sono separate e senza una visione politica unitaria che le rappresenti.

    • Domenico
      19 dicembre 2018 at 12:34

      quando qualcuno più colto di te riesce ad esprimere quello che senti dentro. GRAZIE SERGIO!

  2. Fabrizio Marchi
    19 dicembre 2018 at 10:33

    Sottoscrivo pressoché in toto.

  3. Giovanni
    19 dicembre 2018 at 12:00

    Sembra ripetersi continuamente la stessa cosa. Nello sforzo di aggregare varie parti dell’universo di sinistra perduto appresso a vari favoleggiamenti finiscono col proporre dei sincretismi delle diverse posizioni che annacquano qualsiasi radicalità. Ammesso che la radicalità ci fosse davvero prima del sincretismo.

    Il risultato finale è sempre lo stesso, la lista della spesa che non produrrà nessun effetto concreto ma farà perdere altro tempo.

    Continuerà così, con queste farse grottesche, finché la rottura interna ai dominanti non sarà arrivata al punto in cui non è più possibile alcuna conciliazione. Quanto è vicino quel momento e ed in quali condizioni ci arriveremo? Non lo so.

    Intanto dopo lo Tsipras obamoide assistiamo sgomenti alla farsa degli Tsalvinis trumpoidi (e Dimaioufakis non è certo diverso). La classe dirigente italiana, pur nella diversità degli orientamenti strategici, continua ad utilizzare gli stessi metodi di ricerca del compromesso facendosi serva questa o quella corrente oligarchica. Le parti popolari purtroppo fanno lo stesso tentando disperatamente di agganciare le fantasie che furono nell’illusione di rimettersi in carreggiata.

    • Giovanni
      19 dicembre 2018 at 14:37

      E visto che qui lo si nomina sono andato a sbirciare di nuovo sul tweet di Fassina che oggi se ne esce con questa perla.

      Cioè firmare un trattato “global” che è fatto per favorire la mobilità del lavoro ma dicendo no alla deriva liberista della mobilità del lavoro. Un capolavoro di incoerenza.

      Sono sempre più convinto che anche tutti questi richiami alla costituzione siano solo l’ultimo tentativo di blandire un popolo cetomedizzato ed assuefatto all’illusione di certe autocelebrazioni che autorealizzano un modello sociale equo senza rivoluzione.

      Un rivolere ancora l’eldorado che il capitalismo aveva promesso dopo la caduta del muro di Berlino ma che non ha dato. Una pia illusione e non un vero tentativo di riprendere la costruzione di un percorso socialista.

      Lo sospetto da sempre pur rifiutandomi di crederci, per disperazione, fino alla fine.

  4. Astolfo
    19 dicembre 2018 at 17:12

    Come mi pare abbia detto Lenin, è il socialismo che rende gli uomini uguali e, in quanto tale risolve i problemi di qualunque disuguaglianza. La donna, in quanto essere umano, è libera nel socialismo, ma la donna borghese può essere libera o oppressa fuori dal socialismo. La donna borghese (come il gay borghese) può pretendere ed ottenere parità di diritti con il maschio borghese e il capitalismo può decidere che è il momento di aprire all’uguaglianza fra appartenenti alle classi dominanti. Quest’uguaglianza non risolverà il problema dell’uguaglianza nell’ambito delle classi lavoratrici: la lavoratrice sarà ancora sottomessa e sfruttata e così il gay.
    lottare per i diritti civili è di tutti coloro che non li hanno, lottare per quelli sociali è del proletariato. il proletariato ottenendo diritti civili, libera anche i suoi membri di minoranze oppresse.
    Ciò premesso nei periodi di “magra” cercare alleati e coinvolgerli nelle proprie lotte può avere un senso.
    quindi affiancare movimenti per i diritti civili nella coscienza che non sono comunisti e che l’essere “di sinistra” di tali movimenti è congenito al capitalismo può avere un senso se lo scopo è ottenere un loro (di una parte di lori) affiancamento alle lotte per i diritti sociali. Come? non “senza perdere la tenerezza” ma senza perdere l’egemonia o, almeno, la coscienza che, senza egemonia non c’è sbocco verso obiettivi sociali.
    Devo dire che l’arcobalenismo penso sia stata la peggiore disgrazia che potesse capitare a una sinistra che si etichettava come comunista e il peggior difetto dell’arcobalinismo è stata proprio la rinuncia all’egemonia, la perdita della bandiera rossa in testa non è un evento simbolico e il disfacimento che ne è derivato ritengo derivi proprio da tale rinuncia.

  5. Aliquis
    20 dicembre 2018 at 8:29

    Mi potrò sbagliare, ma secondo me le cose, in questo ambito, cambiano da paese a paese. Non ha molto senso, per esempio, caratterizzarsi in base alla difesa dei diritti LGBT nei Paesi Bassi, come pare faccia Wilders. Perchè lì tali diritti sono già garantiti da tanti anni.

    Altra questione è battersi per essi in Italia, che da questo punto di vista assomiglia alla Turchia o alla Russia.

  6. gerardo lisco
    20 dicembre 2018 at 20:52

    Pongo, di seguito, alcuni spunti utili per il confronto e la discussione rispetto ad alcune questioni che pone il movimento LGBT. Necessariamente dobbiamo parlare di tendenze sessuali e non di altro, infatti, è lo stesso acronimo che circoscrive il tema. La questione è sicuramente complessa e non può essere esaurita in questo scritto. Gli approcci sono diversi sia dal punto di vista psicologico che storico e antropologico. Lo stesso termine omosessuale è stato oggetto di analisi e di differenziazione all’interno del movimento LGBT. Per sviluppare il mio ragionamento parto dall’analisi di tipo storico condotta da Foucault. Sul piano storico egli sosteneva che l’omosessualità fosse un’elaborazione culturale recente. Nel ‘700, ad esempio sempre secondo Foucault, si parlava di sodomia riferendosi al solo atto sessuale. Il ‘700 è stato un secolo con una propria specificità riferita al recupero della razionalità e della materialità. Non è un caso che è stato anche il secolo del Marchese De Sade. Sodomia, sadismo, coprofagia e altre pratiche più o meno simili erano ritenute come elementi di modernizzazione e di destrutturazione dei vincoli morali imposti dalla Religione ai Lumi della Ragione. La letteratura in merito è ampia, va da opere di narrativa a saggi di filosofia ad altro ancora. Preciso che ho citato Sade solo per evidenziare come il riferimento di Foucault al ‘700, a mio modesto parere, sia anch’esso solo una costruzione culturale, un giudizio di valore sul quale, comunque, si fondano alcune tesi del movimento LGBT. In particolare mi riferisco alla Teoria queer e cioè a quella teoria che sostiene che la scelta sessuale dipenda dal condizionamento sociale e quindi dall’educazione. La Teoria queer è appunto una “teoria”, né più e né meno di tante altre elaborazioni culturali che interpretano la realtà cercando di rintracciarne un significato per spiegarla e indirizzarla. A partire da Foucault, passando per Derrida fino a Butler e Hatarawey siamo in presenza di teorie, giudizi di valore, che sostengono che non esiste la naturale differenza di genere. In sostanza se in natura siamo differenti dal punto di vista biologico altra cosa è il genere che dipende da condizionamenti culturali. Da tali argomentazioni evinco una visione che tende annullare le differenze individuali in nome di una presunta uguaglianza che è, di fatto, anch’essa un condizionamento culturale. Una tale teoria è portatrice di una visione di omologazione delle specificità naturali in nome di una libertà individuale che è comunque socialmente condizionata dall’esercizio del potere (Foucault). Questa teoria ha in sé i germi di una visione totalitaria della società che mira, attraverso l’annullamento delle differenze biologiche sessuali a condizionare gli individui in funzione del mercato. La diversità è un dato naturale. Riguarda il sesso come altri aspetti della persona. Si è maschi, femmine, eterosessuali o omosessuali non per condizionamento sociale ma perché naturalmente si è portati verso una scelta del piacere sessuale che determina una realizzazione maggiore. Ciò che sostiene il movimento LGBT è soltanto un punto di vista, una propria filosofia politica che non ha fondamenti scientifici o, quanto meno, non è una teoria supportata da argomentazioni più valide di altre. Il nodo della questione è che il movimento LGBT ha la pretesa di trasformare una teoria in una visione ideologica da imporre alla società nel suo complesso al fine di legittimare la propria specificità e le proprie preferenze sessuali. Una tale posizione mi spinge a pensare che siano in molti a vivere la propria scelta sessuale non liberamente ma come una sorta di disagio. Per cui si cerca d’imporre che il genere sia un condizionamento culturale ed educativo nel tentativo di rendere lecito e accettabile ogni comportamento. Tale tesi è molto debole sia sul piano teorico che culturale. La legittimazione delle preferenze sessuali non sta nell’imporre la propria idea di piacere ma nel diritto sacrosanto alla libertà personale e quindi a non essere discriminati per le proprie preferenze sessuali. La questione delle mie critiche a certe prese di posizioni è che il movimento LGBT ha la pretesa di andare oltre e di voler imporre una propria visione del mondo e una propria filosofia della storia. Per fare questo pone questioni che attengono, tra tante altre cose, all’educazione e alla sfera riproduttiva. Mi riferisco alla questione dell’utero in affitto e alla cosiddetta educazione all’affettività. Chiarisco immediatamente il secondo punto. Se essa viene intesa come rispetto dell’altro sono pienamente d’accordo; se viene utilizzata come strumento attraverso il quale far veicolare la Teoria queer non sono affatto. Il cosiddetto utero in affitto è un istituto di una violenza senza pari. Esso rappresenta il trionfo della mercificazione del corpo della donna e non solo. E’ il presupposto per la creazione della professione delle fattrici. Rispetto all’introduzione di un tale istituto siamo lontani anni luce dall’idea di emancipazione della donna. Con l’utero in affitto siamo in presenza dei presupposti per l’introduzione di forme di eugenetica. La legislazione della California in merito, per esempio, consente di scegliere la fattrice da un catalogo. Sia chiaro le cose che ho scritto sono solo spunti di riflessione, il tema, come dicevo è molto complesso ed ha una molteplicità di sfaccettature e posizioni diverse all’interno sia del movimento LGBT e soprattutto del movimento femminista. Ciò premesso, infine, passo alla questione Costituzionale e alle critiche che mi sono state mosse circa il mio impegno in sua difesa. L’art. 3 della Costituzione recita: “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine sociale ed economico che impediscono la realizzazione della persona.” Il tema della realizzazione della persona attiene la sfera economica e sociale. Per chi come me è di sinistra, i diritti sociali quali welfare, giusta retribuzione, equa redistribuzione delle risorse, istruzione, ecc. sono la premessa fondamentale perché una persona possa realizzarsi. Il passaggio successivo sono i diritti civili e di libertà personale che sono altra cosa rispetto ai diritti individuali riconducibili all’assolutezza del mercato. Tra questi rientra sicuramente il riconoscimento dell’altro per ciò che esso è. In un sistema Democratico nessuno può essere discriminato a causa delle preferenze sessuali, di razza, di religione o di sesso. Il limite alla realizzazione della persona non deve essere di tipo economico o sociale ma di tipo etico e cioè il riconoscimento dell’altro. In un sistema sociale sempre più complesso se ci si ricordasse di quanto scriveva il buon Immanuel Kant nella Critica della Ragion Pratica e nei Fondamenti per una metafisica dei costumi non sarebbe male. In conclusione tutto questo arrovellarsi di una parte della sinistra “movimentista” sul rapporto tra difesa dei diritti civili e diritti sociali è solo la prova della sua subordinazione culturale alla destra neoliberale che trova supporto ideologico nella destrutturazione sociale che è propria della cultura postmoderna. La Sinistra per tornare ad avere un ruolo deve ristrutturare, fatemi passare il termine, deve costruire solidarietà sociale e comunità, senso di appartenenza. La contraddizione del sistema capitalista non sono rappresentate dalle rivendicazioni individualiste ma dalle rivendicazioni sociali. Essere omosessuale non necessariamente equivale ad essere di sinistra. Se fosse così il più grande politico della Sinistra sarebbe Scalfarotto.

    • Fabrizio Marchi
      21 dicembre 2018 at 16:50

      Condivido e sottoscrivo, naturalmente…

    • Giovanni
      21 dicembre 2018 at 18:06

      “la scelta sessuale dipenda dal condizionamento sociale”

      “perché naturalmente si è portati verso una scelta del piacere sessuale”

      “vivere la propria scelta sessuale”

      Il punto sta anche e soprattutto nei termini che si decide di usare. Non ci sta nessuna scelta nell’orientamento sessuale e neppure si tratta di preferenza, altro termine che rimanda ad una scelta fra diverse opzioni fra le quali scegliere quella preferita.

      Ognuno si ritrova ad essere ciò che è, senza scelte o preferenze. Anche un bisessuale non ha scelto di essere tale. Questo proprio le associazioni LGBT dovrebbero saperlo bene e rivendicarlo, invece cadono in teorie che parlano di scelta e di preferenza.

      Questa è la loro somma incoerenza. Ma ciò in fondo è il tratto caratteristico di tutti quelli che sfruttano qualcosa a fini carrieristici, facendosi scrivere la propaganda da altri centri di potere. Magari sentendosi pure tanto strateghi perché lo fanno a fin di bene anche se fanno carriera (non tutti ovviamente). Cosa a cui si è del tutto assuefatti visto che purtroppo viviamo nei tempi oscuri dell’individualismo e delle virtù dell’egoismo, idea falsa ma che fa comodo a tutti quelli che vogliono farsi i comodi propri.

      • gino
        21 dicembre 2018 at 23:13

        anche uno schizofrenico non ha scelto di essere tale (almeno a livello conscio…).
        se gino si sente napoleone, è gino o napoleone?
        se c’è un contrasto tra MATERIA e mente, chi ha ragione dei due e chi sbaglia?
        la “modernità” tiene a dare ragione alla mente (individuale) perchè altrimenti si dovrebbe tornare alla nozione di “disturbo mentale”.il che è tanto tanto bruttocattivo e fasssista.
        ma moltiplicando la gente che non legge bene la realtà materiale, i gini che si sentono napoleoni o i maschi che si sentono femmine, che fine fa una società?
        l’asinistra purtroppo non si rende conto che questo modo di vedere è idealista (in senso filosofico), inividualista, anti materialista.
        a una giustissima lotta contro la stigmatizzazione di certi fenomeni e la discriminazione dei portatori si è passati alla nozione della loro normalità.
        prossimo passo? la nozione della loro SUPERIORITA’.
        e attenzione che tutti mi hanno sempre detto che ho rare capacità profetiche, avevo previsto lo strapotere femminista 40 anni fa quando ero preadolescente.

        • Giovanni
          22 dicembre 2018 at 10:48

          Io veramente la prospettiva individualista che assumono le associazioni LGBT l’ho criticata.

          Poi il fatto che il potere tenda ad assorbire e sfruttare per i suoi fini qualsiasi rivendicazione è qualcosa che sempre accadrà e che dobbiamo avversare, senza tuttavia ritornare a considerare a priori queste persone degli “anormali”.

          • gino
            23 dicembre 2018 at 15:50

            io non concordo con la tua frase “Ognuno si ritrova ad essere ciò che è”.
            per me certi fenomeni si formano, in certe condizioni psico-sociali (del bambino) che pongono ostacoli allo sviluppo della libido e della personalità.
            perciò mi chiedo “una società deve o meno incentivare/prevenire certi fenomeni? deve o meno incentivare/prevenire ad esempio il fatto che una donna si senta maschio e faccia poi di tutto sul piano medico per trasformarsi in maschio?”
            io vivo in brasile, lgbt sono accettatissimi, ma ne conosco personalmente molti e ti dico che soffrono la loro condizione.
            quindi per me non è solo problema di potere o individualismo, ma di che tipo di popolazione vogliamo in futuro.
            ripeto, niente stigmate o discriminazioni (perchè quel fenomeno agisce solo in un ambito della vita, nel complesso trattasi di persone come tutti gli altri) ma se “ognuno si trova a essere ciò che è” allora non c’è nessun motivo per non insegnare la teoria gender ai bambini o per non incentivare l’espansione del fenomeno.

    • gino
      21 dicembre 2018 at 20:49

      io rimango sulla linea freud-riech…

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