Dieci coltellate

Dieci coltellate. Quelle che partono da un odio profondo o da un raptus improvviso e incontrollabile. E usando la prima arma che ti capita sottomano. E invece no. Da una parte due ragazzi bellocci e viziati. Pieni di soldi e di droga. Con uno di loro che per dirimere una beffa da 100 euro, esce dall’albergo da molte stelle con in tasca un pugnale che si è portato dietro dalla California. E che colpisce alla schiena più e più volte un uomo intervenuto in un acceso diverbio, scusandosi con il dire che non sapeva che fosse un carabiniere.

Questa la scena che molti di noi avranno a lungo davanti ai propri occhi e nella propria mente. Ma poi ce n’è un’altra. Questa ampiamente visibile e in tutto il mondo. Un ragazzo ammanettato e bendato. E un carabiniere a fotografare la scena. E’ la violazione dello stato di diritto. Ed è anche il gusto dell’irrisione di chi ne è stato vittima. Tanto per capirci, Abu Ghraib; anche se in riproduzione ridottissima. Giusto, allora, indignarsi e richiamare all’ordine. Ciò che è stato ampiamente fatto.

Ma c’è anche un’altra indignazione. Quella dei media e, spesso, anche delle autorità Usa quando un loro cittadino/cittadina viene chiamato/a in causa per azioni omicide a danno di nostri connazionali: che si tratti della vicenda di questi giorni o di quella del Cermis, di Amanda Knox o dell’assassinio di Calipari in Iraq. Qui all’automatica presunzione di innocenza nei confronti della propria gente fioriscono le narrazioni sull’inaffidabilità delle nostre istituzioni, se non della nostra gente.

Sarebbe il caso di smetterla, oppure di reagire.

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Fonte foto: RomaToday (da Google)

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