Emmanuel e Chinyary

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Foto: popoffquotidiano.it

Emmanuel e sua moglie Chinyary sono fuggiti dal loro paese, la Nigeria, sconvolto dalle bande terroriste di Boko Haram, versione locale dell’Isis (con il quale hanno strette relazioni) e da sempre sottoposto al sistematico saccheggio da parte delle multinazionali occidentali le cui fondazioni, per lavarsi la coscienza (si fa per dire, per cercare di colorare e coprire ideologicamente e ipocritamente i loro interessi…), finanziano Ong varie, associazioni per il rispetto dei diritti umani oppure lgbt e/o femministe e via discorrendo.

Emanuel e Chinyery hanno perso tutti i loro familiari, massacrati durante un attacco ad una chiesa cristiana da parte di terroristi jihadisti.

Insomma, due profughi o immigrati come tanti (ma fa differenza?), due disperati in cerca di una vita appena più decente per loro e per il loro figlio in arrivo che però non vedrà mai la luce perché Chinyary lo ha perso, forse per lo stress della traversata in mare o forse per le percosse che entrambi hanno subito quando erano ancora in Libia, da parte di alcuni malviventi locali, prima di imbarcarsi per la Sicilia.

Sbarcati in Italia hanno trovato rifugio in una struttura dell’arcivescovato di Fermo e lì è finita la loro storia, per lo meno quella di Emmanuel. Perché il destino ha voluto che le loro strade, nel senso letterale della parola, si siano incrociate con quelle di una specie di pitecantropo postmoderno, cioè un “ultrà” della locale squadra di calcio, un tipico sottoprodotto del processo di decomposizione dei settori sociali più marginali di un contesto sociale a sua volta ormai completamente “svaccato”; uno di quei soggetti molto diffusi nelle “lande” sub metropolitane e provinciali (del “profondo nord” o del “profondo sud”), che riesce a trovare una qualche forma di identità, se così si può dire, ringhiando allo stadio, tatuandosi una croce celtica o il capoccione di Mussolini con l’elmetto sul braccio, pompando in palestra e “pippando” cocaina, che per la strada si è rivolto a Chinyary dandole della “scimmia africana”.

Le dinamiche dell’accaduto sono ancora da definire ma – voglio essere molto chiaro su questo aspetto –  se anche fosse stato Emanuel, come qualcuno sostiene, a reagire agli insulti colpendo quella specie di esemplare di ramapiteco post-industriale con un paletto della segnaletica, avrebbe fatto non bene, ma benissimo.  Anzi, troppo poco, per quanto mi riguarda, e non ho nessun timore di essere querelato da qualche benpensante per istigazione alla violenza. Purtroppo invece Emmanuel ha avuto la peggio e dopo essere stato gettato a terra è stato ripetutamente colpito con pugni e calci che gli hanno provocato un’emorragia cerebrale.

La morale di tutto ciò? Ce n’è più d’una. La prima: chi mena per primo mena tre volte, dice il proverbio. Vero, ma bisogna saperlo fare, altrimenti si rischia di avere la peggio, come purtroppo è accaduto ad Emmanuel. Allora, in tal caso, è molto meglio cambiare tattica. I gloriosi Vietkong  presero a sonore legnate l’ esercito americano non affrontandolo in campo aperto, per ovvie ragioni, ma concentrando le loro forze e attaccandolo in massa nel punto in cui era più debole e numericamente inferiore.

Scherzi a parte (fino ad un certo punto…), mi rendo conto che questo discorso potrà sembrare a molti una boutade, ma non è così. Il sottoscritto, che non è nato e cresciuto a Beverly Hills ma in un popolare quartiere della capitale, sa perfettamente che purtroppo – e sottolineo purtroppo – non c’è altro modo per educare determinati soggetti, se non quello di un utilizzo sapiente e consapevole della forza. Non c’è altra via, perché non conoscono altro linguaggio e altra forma di comunicazione se non quella e perché, soprattutto, riconoscono e rispettano, nel loro misero setaccio psicologico e culturale, soltanto chi è in grado di far valere le proprie ragioni attraverso, appunto, l’uso della forza.

Soltanto in un secondo momento deve entrare in campo la ragione, e allora si possono ottenere anche grandi risultati. La ragione e la forza non possono mai essere separate. La forza senza la ragione si trasforma infatti in violenza, che può essere quella dell’esplosione cieca e irrazionale dell’abbrutito razzista o del sottoproletario marginale (o di qualsiasi altro soggetto), così come quella, ben più grave, repressiva e classista del potere. Ma anche la ragione, senza la forza, non avrà mai nessuna possibilità di affermarsi. E questo è un aspetto che può non piacerci ma che non può essere eluso.

La seconda. Mi pare abbastanza evidente che sia in corso un processo di disfacimento della nostra società che naturalmente colpisce in primis i ceti sociali più marginali, peraltro in drammatico aumento.  Il bruto che ha assassinato Emmanuel non è un prodotto dello spirito, ma di un contesto sociale e culturale determinato. Per capire il livello di coscienza e di evoluzione di quell’uomo è sufficiente sapere che egli individua il suo nemico in un immigrato, ancor più se di colore (perché comunque il nero è inconsciamente identificato come “inferiore”, come uno che deve stare al suo posto, alla cuccia).  Ma il comportamento di quel tizio è la punta dell’iceberg del “sentire” di una massa popolare post proletaria (dico post proletaria perché il proletariato moderno costituiva un soggetto sociale cosciente, portatore di una sua propria cultura, in grado anche di esercitare egemonia e di essere punto di riferimento per altri strati sociali marginali o piccolo borghesi, al contrario appunto dell’attuale massa popolare subordinata) abbrutita, perché priva di ogni coscienza e identità, smarrita, disgregata, frammentata in centomila rivoli, abbandonata a se stessa e da tutti, soprattutto da quella Sinistra che non esiste più da tempo  e che una volta non solo la rappresentava ma ne costituiva il cuore, la testa e i polmoni. La fine di quella esperienza, l’esaurirsi del movimento operaio, la disgregazione del proletariato urbano, la distruzione (e l’autodistruzione) dei grandi partiti storici della Sinistra hanno prodotto gli effetti a cui tutti noi oggi assistiamo. E anche l’omicidio di Emmanuel, così come tanti altri simili episodi che accadono più o meno sistematicamente, sono parte di quegli effetti.

Nella società della mercificazione assoluta che riempie il deserto da lei stessa creato, con la merce, emergono figure e comportamenti sociali sempre più inquietanti. Ed emergono dalla nostra gente, dalle nostre “file”, dalla nostra carne e dal nostro sangue, anche se ormai non è più tale o non lo riconosciamo più, infettato com’è dall’ideologia dominante da una parte e dai rigurgiti reazionari dall’altra.

Appare quindi evidente come la ricostruzione di un soggetto politico di classe dotato di un suo solido orizzonte culturale e ideale non risponda a mere esigenze di natura ideologica ma si renda necessario a meno di non voler sprofondare nella barbarie.

Ora il governo, la “politica”, i media e tutti gli “addetti allo spettacolo” fanno mostra di orrore di fronte al tragico assassinio di Emmanuel, ma è una finzione. Il sistema dominante vuole masse abbrutite, non coscienti, vuole la moltiplicazione di soggetti come quello che ha ucciso l’immigrato nigeriano e lavora scientemente a tal fine.

13 commenti per “Emmanuel e Chinyary

  1. Alessandro
    8 Luglio 2016 at 12:44

    So che non si dovrebbe generalizzare e che il discorso va ben oltre, ma oramai le curve italiane e non sono diventate il ritrovo di tutto il peggio che abbiamo in circolazione, gentaglia dal coltello facile, che sfascia monumenti, che urina su poveri disgraziati, che insulta senza alcuna giustificazione…guarda caso poi, al di fuori dello stadio, sempre agli ultimi, sempre ai più indifesi, ai più deboli socialmente ed economicamente. Vittime e carnefici del vuoto culturale che li caratterizza.

  2. 8 Luglio 2016 at 21:10

    Sinceramente non ero a conoscenza che gli ultras potessero arrivare a tanto. Balordi e maleducati sì, ma assassini… strano. Sì, in parte è una sottocultura – la vita da tifoso in cerca di guai. D’altro canto riesco a comprendere la reazione di Emmanuel. In fondo anche lui è vissuto in un ambiente abbastanza violento, per questo aveva subito notato il pericolo nell’ultra-tifoso, fascista o come vogliamo chiamarlo. A mio parere il soggetto in questione ha saputo sin dall’inizio cosa voleva, cioè: insultare e picchiare, ma probabilmente non sapeva che sarebbe finita con un assassinio. Il non sapere però non giustifica l’accaduto. Una persona è morta e qualcuno deve rispondere, a prescindere se era nera, bianca, gialla o rossa… è morta una persona, punto.

    Tutto questo scalpore fatto dai media è mirato agli spettatori appartenenti alla cultura di massa e ovviamente agli imbecilli estremisti che agiscono come il tatuato.. proprio per creare dissenso, confusione e guerre ideologiche tra le persone. L’ultima parte del post esprime in pieno ciò che penso.

    Jan Quarius

    • Alessandro
      9 Luglio 2016 at 11:25

      Io ho voluto evidenziare come all’interno di un certo mondo prosperi la violenza in tutte le sue manifestazioni. Certamente sarebbe sbagliato generalizzare, ma la predicazione nelle curve italiane è improntata all’odio per l’avversario e per il “diverso”, a prescindere dalla loro collocazione ideologica.
      Purtroppo Jan le cronache ci parlano quasi settimanalmente di scontri che qualche volta finiscono male, prendiamo il caso dell’ultras del Napoli assassinato da uno della Roma, qualche volta si risolvono in scene tragicomiche. Per non parlare di quanto accade anche all’estero, e faccio riferimento al solo “Occidente”.
      Scrivi bene quando utilizzi l’espressione “sottocultura”, intrisa spesso di ignoranza e violenza aggiungo io, e come si sia potuta diffondere tanto agevolmente lo spiegano bene Fabrizio e Armando che individuano nella “morte delle grandi ideologie novecenteche” la causa principale di questo sbandamento, disorientamento che prende piede soprattutto in quello che una volta avremmo definito proletariato. Io ho parlato di vuoto culturale che viene “riempito” di ciò che il sistema mette a disposizione, essenzialmente un acritico consumismo, che frustra la massa più che consentirle di fare un minimo di chiarezza nella complessità che la circonda.
      Aggiungo un elemento di riflessione. Molti di coloro che qui scrivono, studiano e criticano quella che è una delle ultime ideologie sulla scena. ossia il neofemminismo, pur con le sue, comunque minime, differenziazioni interne. E in effetti bisogna affermare che, sia pure in chiave negativa, perchè improntata allo scontro di genere, il neofemminismo che viene predicato attraverso i media a tutte le ore del giorno e della notte, in forma più o meno diretta, offre al genere femminile dei punti di riferimento, che lo portano alla ricerca di una qualche forma di tornaconto personale ; il genere maschile vive invece uno sbandamento quasi totale, privo di guide, abbandonato a se stesso, che lo porta a essere facilmente preda di atteggiamenti, comportamenti che potremmo definire “sado-masochistici”, dalle forme più lievi, e qui dare uno sguardo ai video su youtube per comprendere quanto ci si possa rendere ridicoli, a quelle più gravi, come nel caso di cui ci occupiamo. Proprio le femministe sguazzano in tutto questo, evidenziando di volta in volta le manchevolezze che emergono nel campo avverso.

      • 10 Luglio 2016 at 23:57

        Il fatto che i bulli (mmhh, forse è un termine troppo lieve) facciano più violenza contro i deboli ed i diversi per me è quasi scontato. Lo vedo da quando sono piccolo: dall’asilo alle superiori, ma pure in determinati posti di lavoro (se non c’è violenza fisica, c’è quella psicologica). La cosa ancora più tragica è che questo bullismo assassino tocchi parecchie persone, nel senso che molti ne sono complici; alcuni lo fanno in gruppo, gli altri evitano di intervenire, alcuni si “divertono” (si fa per dire) da soli.

        Le femministe avrebbero da dire sull’accaduto, per loro è una notizia fresca che parla della violenza maschile(il tatuato) .. e dello sciovinismo(del nigeriano), se proprio vogliamo dircelo, in più, l’unica vittima in questa situazione secondo la loro visione sarebbe la nigeriana. Che dire? Le etichette si attaccano quando fa comodo e sopratutto quando conviene, a scopi ideologici.

  3. ARMANDO
    8 Luglio 2016 at 21:44

    Bell’articolo Fabrizio. La violenza cieca e indifferenziata di tutti contro tutti, che esplode ad ogni minima occasione o pretesto, desta sgomento. Ma non sopresa. E’ il frutto prevedibile della scomparsa delle ideologie forti, delle religioni, di ogni elemento, insomma, che fungeva da aggregatore sociale. Oltre qualsiasi differenza fra loro, incanalavano, davano uno scopo e una prospettiva, in qualche modo “razionalizzavano” i sentimenti, le inquietudini, lo scontento, la disperazione. Tutto rasato al suolo. tutto scomparso. Non sarà nè facile nè breve risalire la china. Tu parli della ricostruzione di un soggetto politico di classe. Sai bene che non la penso (più) come te, a proposito della classe etc.etc., ma dico: magari!!!
    Un soggetto politico capace in piena autonomia di convogliare energie, di far crescere consapevolezze, di fare comprendere che un “ordine” psicologico, sociale e politico deve comunque esistere e vivere dentro le persone, è assolutamente necessario. Il “non ordine” è il caos su cui prosperano gli assetti di potere che passano immancabilmente sulla testa delle persone, è il caos che serve al potere per autogiustificarsi, e per alimentare la spirale di violenza/repressione sapientemente giocata pro domo propria. Ordine psicologico, sociale e politico, ovviamente, indissolubilmente legato al concetto di giustizia ed alle politiche che ne dovrebbero conseguire. Gli Usa, pesce pilota dell’Occidente, sono un esempio paradigmatico. Là, da sempre, ordine e giustizia sono disgiunti, e il primo diventa solo repressione che immancabilmente colpisce i ceti e i soggetti sociali più svantaggiati nei quali, per forza di cose, la mancanza di prospettive, di speranze di cambiamento, sfociano spesso in rabbia inconsulta. La quale non deve ovviamente essere in alcun modo giustificata, ma che è necessario spiegare e capire a grandi linee, se si vuole agire non solo sul piano di polizia ma andare alle sue cause, per cercare di rimuoverle o limitarle (fermo il fatto che il male e la stupidità esistono e non potranno mai essere eliminati completamente).

  4. Andrea
    11 Luglio 2016 at 0:02

    Su una cosa non riesco ad essere d’accordo. Spero mi scuserete.
    Viene omessa qualsiasi critica alla rettorica iperliberista del migrante elevato a vittima ed eroe dei nostri tempi (automaticamente in fuga da fame guerra e disperazione).
    L’omicidio è l’occasione colta al volo dall’elite per scatenare la reprimenda antipopolare dei media e degli intellellettuali del circo mediatico, per tenere a freno le masse dominate ormai “reticenti” alla politica dell’accoglienza illimitata ed inculcare la “sana” paralisi del senso di colpa.
    Ma la reazione dei media “boldriniani” è stata talmente eccessiva che sdoganerà ancora di più la confidenza con la xenofobia fra le masse dei perdenti.
    L’uso ideologico che l’elite finanziaria (ed i suoi media asserviti) compie dei concetti di fascismo e razzismo mi pare evidente. Serve ad impedire qualsiasi ragionamento sulla figura dell’immigrato e a demolire qualsiasi riferimento a sensi di appartenza nazionali come forme fasciste e totalitarie, opera finalizzata ad una società cosmopolita radicalmente spoliticizzata.
    Il migrante è una figura tutta interna al sistema capitalista, il cui obbiettivo è ben poco rassicurante. L’obiettivo è assicurarsi lo status illusorio di “consumatore” e quello reale di esercito di riserva.
    Qualcuno noterà, che il secolo breve è stato ulteriormente abbreviato ed il periodo delle democrazie sociali coese ed effettivamene plurali è sparito dal dibattito pubblico.
    Dal 1945 si passa direttamente all’epoca dell globalizzazione, perchè le società a capitalismo limitato, sono imbarazzanti e devono sparire dal pubblico dibattito.
    O fascismo o globalizzazione. Tertium non datur.
    Nell’articolo si menzionano gli eroici vietcong (esempio di comunismo impiantabile solo su una base nazionale solida), che mai si si sono sottratti al dovere di autoprotezione comunitaria, ma non richiama come logicamente ci si attenderebbe la questione della fuga del “migrante maschio” dalla guerra.
    Se non si parte dal contesto della religione post-moderna del migrante dettata dall’ideologia del capitalismo globalizzato, si rischia di essere più elitari dell’elite che si intende combattere.
    Per il “talebano” italiano sradicato, nessuno ha avuto comprensione “sociologica”, per l’africano sradicato e desiderante al quale nemmeno viene in mente di resistere a Boko Haram (i Vietcong non sono più di moda) l’incenso dei media della finanza, ma anche della sinistra marxista.
    saluti Andrea

    • Fabrizio Marchi
      11 Luglio 2016 at 9:36

      Andrea, ormai ci conosciamo da parecchio tempo e conosciamo le tue posizioni. Ti rispondo perché i tuoi commenti, per ragioni politiche, non possono essere lasciati senza risposta altrimenti potremmo dar adito a equivoci e fraintendimenti.
      Il fatto che il migrante sia parte dell’esercito industriale di riserva non ne fa certo un nemico, anzi, resta una vittima del sistema, direi la prima, perché si tratta appunto di un lavoratore ultraprecario, sradicato, ultraflessibile, disposto a tutto perché spinto da condizioni di vita insopportabili (che il mondo capitalista occidentale ha contribuito in modo sensibile a creare…) e quindi ancor più ricattabile rispetto ai lavoratori autoctoni. Con il tuo modo di ragionare allora anche i disoccupati nostrani dovrebbero essere dei “nemici”, dal momento che sono altamente ricattabili (anche se in modo minore rispetto agli immigrati) e anch’essi svolgono la funzione di “esercito industriale di riserva” dal momento che vanno oggettivamente a premere sui lavoratori occupati e di fatto a fungere anch’essi come strumento di ricatto su quelli. Oggi, per questa funzione, sono stati sostituiti dagli immigrati, molto più utili in tal senso appunto perché stranieri, perché è molto più facile scatenare la guerra fra poveri nei confronti di una massa di gente che viene da lontano, sconosciuta, “diversa”, con altre culture, usi, costumi, religioni, abitudini ecc. e creare un sentimento di ostilità nei loro confronti. Il disoccupato autoctono infatti è pur sempre considerato un “italiano” (o un francese, o un inglese ecc.), cioè un membro della comunità (come se questo fosse un titolo di merito…), e quindi è molto meno efficace, da questo punto di vista. Uno straniero invece è appunto uno “straniero” e quindi è molto più facile il “divide et impera”, far credere al lavoratore autoctono che l’origine dei suoi guai è la presenza massiccia degli immigrati che gli tolgono il lavoro, gli rubano lo spazio, la casa e altre puttanate simili alimentate da una destra (in Italia è la Lega Nord a svolgere questa funzione più i gruppuscoli neofascisti come Casa Pound) che serve proprio a questo scopo. Dall’altra parte, come sappiamo, c’è la “sinistra” che da una parte è omogenea se non organica al sistema capitalista e contestualmente fa mostra di “buonismo” ecc. ecc. Due facce della stessa medaglia che si autoalimentano a vicenda e che portano acqua (e anche tu, nel tuo piccolo, gliela stai portando, con i discorsi che fai…) allo stesso mulino. Infatti in questo modo, si ottengono due piccioni con una fava, perché da una parte si scatena la guerra fra poveri e dall’altra si confonde la testa alla gente. E infatti oggi larghi settori popolari vanno a destra mentre la “sinistra” è votata per lo più da ceti medio borghesi.
      Se ci fosse una Sinistra con la S maiuscola e senza virgolette sarebbe in grado di parlare sia ai lavoratori e ai ceti popolari autoctoni, sia agli immigrati, spiegandogli come stanno le cose, e sarebbe in grado di costruire una mediazione, di gestire e di governare questa contraddizione creata ad hoc dal sistema capitalista.
      Purtroppo invece una tale forza politica non esiste da tempo, il sistema ha lavorato molto bene da questo punto di vista ed è anche per questo che ci sono persone come te, che pur essendo provviste di una strumentazione politica e culturale di un certo livello, cadono nella trappola e di fatto finiscono anch’esse per alimentare la guerra fra poveri di cui sopra, di cui gli episodi come quello di Fermo sono soltanto la punta dell’iceberg.
      Il riferimento ai Vietkong non era alla “questione nazionale”, come ben sai, ma alla migliore tecnica per combattere e prevalere sul nemico. Ciò detto – ma anche questo dovresti saperlo visto che ci segui – da queste parti la suddetta questione non ci spaventa né ci scandalizza, purchè anche questa sia affrontata nei termini giusti, cioè da un punto di vista di classe e non da un punto di vista nazionalistico fine a se stesso e quindi oggettivamente di destra. I Vietkong (e non solo) facevano leva anche su un discorso nazionale, né poteva essere altrimenti dal momento che il loro paese era occupato militarmente dagli eserciti di potenze straniere, ma se è per questo valeva anche per i comunisti cinesi ai tempi di Mao o per i cubani ai tempi della rivoluzione, o per gli angolani, i sudafricani, i mozambicani, i palestinesi, e soprattutto per i bolscevichi guidati da Lenin. E’ risaputo che questi sostenessero i movimenti nazionali di liberazione in tutto il mondo anche quando questi non erano guidati da partiti comunisti. Ma questo non ha nulla in contraddizione con il concetto – condivisibilissimo – di internazionalismo.
      Sono quelli oggettivamente di destra, come sei anche tu (perchè ideologicamente e concettualmente lo sei anche se magari questa definizione non ti piace o ti sta stretta ma ciò che conta è la sostanza…), che confondono le acque e soprattutto confondono il concetto di internazionalismo comunista (oggi sicuramente in crisi per ovvie ragioni…) con il cosiddetto “cosmopolitismo” culturalmente (ideologicamente) omogeneizzante capitalista, che è soltanto lo strumento ideologico della cosiddetta “globalizzazione”, cioè il dominio capitalista su scala planetaria.
      “Per il “talebano” italiano sradicato nessuno ha avuto comprensione – dici tu – per l’africano sradicato e desiderante al quale nemmeno viene in mente di resistere a Boko Haram (i Vietcong non sono più di moda) l’incenso dei media della finanza, ma anche della sinistra marxista”.
      Come vedi, anche da questo tuo modo di esprimerti si capisce che sei intimamente un uomo di destra (non è una colpa, sia chiaro, però è bene sgomberare il campo da equivoci; oggi, soprattutto a destra, si gioca troppo con questi concetti e categorie, “oltre la destra e la sinistra” ecc. Sei di destra. Punto. Non ci nascondiamo dietro a sofismi. Qual è il problema?) e di fatto stai coprendo giustificando il comportamento di quello che io non a caso ho volutamente definito un “pitecantropo postmoderno”, e non solo e non tanto un fascista. E bada che non c’è nessun atteggiamento classista da parte mia perché, come già detto, il sottoscritto non è nato e cresciuto in una villa di Hollywood ma in un palazzo di lavoratori delle ferrovie…
      Quell’uomo è un tipico sottoprodotto dell’attuale sistema capitalista, “coperto” o “giustificato” dalla destra, e condannato dalla “sinistra”. Che debba essere condannato non c’è dubbio, su questo non ci piove, ma il problema vero è capire, o meglio, fare un’analisi lucida della realtà. E questa è quella che stiamo cercando di fare dalle pagine di questo giornale.
      Dopo di che accusare quell’immigrato per aver scelto di immigrare invece di opporsi ai terroristi di Boko Haram o di fare una vita da schifo nel suo paese e ridurlo a un soggetto “desiderante” (perché tu non desideri?…) mi sembra anche presuntuoso e di cattivo gusto. Intanto perché bisogna trovarcisi nelle situazioni ed è troppo facile parlare quando non ci si sta dentro fino al collo. Quindi secondo te gli immigrati sarebbero dei vigliacchi? Secondo te chi fa una scelta così forte, andare a vivere in un altro paese, con tutte le difficoltà che comporta, è da vigliacchi (o da “soggetti desideranti”)? I milioni di immigrati italiani che si imbarcavano per le Americhe erano forse dei vigliacchi che sfuggivano alla responsabilità di fare la rivoluzione, di cambiare il loro paese?
      Non diciamo sciocchezze. Se poi la polemica, come credo, è con una certa corrente di pensiero riferibile al “Tony Negri pensiero” questo è un altro discorso e sono anche d’accordo. Ma da un punto di vista completamente opposto al tuo, e ci tengo a ribadirlo.

      • mauro recher
        11 Luglio 2016 at 18:21

        Comunque Fabrizio cambiano gli attori, ma la storia è sempre la stessa, sia io che te abbiamo qualche anno sulle spalle ed ho visto nascere la lega nord e poi, essendo di Vicenza, in un feudo praticamente leghista ,ho visto i suoi giornali e le sue propagande, hanno cambiato solo gli attori ,prima erano i meridionali ,adesso sono gli extracomunitari (per capirci quelli che hanno la pelle nera e maschi), perchè se sbarcano delle ragazze russe stai sicuro che nessuno avrebbe da ridire (nemmeno il sottoscritto sia chiaro 🙂 ) non è cambiato nulla ,m a proprio nulla ,solo che adesso i meridionali possono portare voti e da (vediamo di ricordare) fannulloni, mantenuti ,ladri ,mafiosi , sporchi ,brutti e cattivi sono diventati dei pezzi di pane (in fondo il loro voto vale uno come uno del nord padano di razza) l’unica possibilità per gli extracomunitari (quelli con a pelle nera) è che ci sia una invasione aliena allora forse la lega sposterà il suo interesse su di loro e gli extracomunitari ( magari con diritto di voto )? Dei pezzi di pane che gli alieni vogliono eliminare

        • Fabrizio Marchi
          12 Luglio 2016 at 12:28

          Sottoscrivo completamente il tuo commento, Mauro…Null’altro da aggiungere. Non esiste in questo paese una forza politica più cialtrona (oltre che razzista) della Lega Nord. Una baracconata al servizio del sistema spacciata per opposizione, e naturalmente guidata da un cialtrone (come lo era Bossi prima di Salvini…).

        • ndr60
          12 Luglio 2016 at 15:43

          Aggiungerei alle considerazioni condivisibili di Mauro Recher una cosa, vista personalmente: spesso sono proprio i meridionali trapiantati al Nord da anni i primi ad osteggiare, spesso violentemente, i profughi e i migranti. E’ come se godessero a non essere più i primi della lista di xenofobi e fascio-leghisti vari.

          • Fabrizio Marchi
            12 Luglio 2016 at 21:52

            Non vivo al nord e quindi siete sicuramente più titolati di me a smentire o a confermare quanto dice ndr60, però non mi meraviglierebbe affatto. E’ la vecchia logica del “caporale” o del sergente a cui hanno messo i gradi, e quindi, essendo stato promosso recita la parte del più realista del re, sostanzialmente del servo.
            E proprio il servilismo verso i potenti e l’aggressività e l’ostilità verso i deboli sono i tratti caratteristici della destra razzista e fascista di sempre. Intendiamoci, sono aspetti beceri che appartengono a tanti esseri umani, però in alcuni casi vanno a far parte del bagaglio, dei gioielli di famiglia, come si suol dire, di determinate ideologie. Non è un caso che la violenza delle bande fasciste, vecchie e nuove, sia sempre o quasi contro immigrati, barboni (e una volta contro i lavoratori in sciopero…). Poi si riempiono la bocca di chiacchiere contro l’imperialismo e il capitalismo ma appunto sono solo chiacchiere. La loro “pratica politica” si riduce sempre alle aggressioni violente contro immigrati, gente di colore e spesso a mendicanti. Vergognosa la prassi del pisciare addosso ai barboni che chiedono l’elemosina per le strade, molto in voga da tempo tra le bande neofasciste e neonaziste degli ultras di vari club europei, in particolare dell’est europeo. Possono negarlo finchè vogliono ma il brodo di coltura del fascismo, vecchio e nuovo, è quella roba lì. Il militante e il simpatizzante neofascista medio è un razzista, che odia il più debole perchè convinto di essere superiore, e quindi è un esaltato e oggettivamente un servo (dei potenti) nello stesso tempo, nè potrebbe essere altrimenti. La natura profonda del fascismo – parlo in senso lato, ovviamente, e vado ben oltre il ventennio mussoliniano – è quella, cari amici e compagni, ed è inutile far finta che sia qualcosa di diverso o addirittura di più nobile. Con questa gente non si dialoga e non si deve dialogare. Questa gent(aglia) si combatte, come fu combattuta a Stalingrado, in Spagna e oggi nel Donbass.

          • mauro recher
            13 Luglio 2016 at 13:04

            Niente di più vero , basta farsi una visita alla pagina facebook di Salvini ,sono proprio i meridionali ad avere atteggiamenti più “aggressivi ” , quando gli fanno notare i trascorsi leghisti contro i meridionali , rispondono in modo laconico ” La lega è cambiata”

  5. Anna
    14 Luglio 2016 at 20:22

    Sono una ” meridionale” con tanti amici naturalizzati al Nord. A dire il vero mi siete molto simpatici nonostante i vostri commenti provocatori. Vi ricordo però che anche i romani sono stati considerati “TERRONI E LADRONI “(l’ho sentito con le mie orecchie)dal nord e ai vicentini, in generale tutti i veneti, di essere stati emigranti e maltrattati all’estero. Spero di non avervi offeso.. La VERITÀ non offende! Ciao a tutti anche ai razzisti.ANNA.

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