USA: gli errori, i limiti e le contraddizioni dei movimenti afroamericani

I movimenti di liberazione afroamericani, tutti, nessuno escluso, hanno sempre avuto un grandissimo limite.  Vale per i movimenti per i diritti civili (sostanzialmente legati al partito democratico e alla “sinistra” liberal), per i separatisti islamici e anche per quelli – comunque minoritari – di tipo marxista (anche se questi ultimi negli anni ’70 hanno avuto un certo seguito).

Questo limite è l’incapacità di uscire dalla dimensione etnico-razziale, di non essere stati in grado, per varie ragioni a cui ora farò brevemente cenno, di coniugare la questione razziale a quella di classe (che non possono essere separate) e, di conseguenza, di non essere mai riusciti a costruire un rapporto e una unità politica e di azione con i ceti popolari e la classe operaia bianca.

Ovvio che siffatti movimenti non possono che essere destinati a restare minoritari, oltre al fatto, soprattutto, di sbagliare completamente analisi e, di conseguenza, approccio e metodo di lotta.

Nessuno di questi movimenti (men che meno le Pantere Nere) si è mai realmente e concretamente posto il problema di fuoriuscire da queste logiche minoritarie e di costruire un ampio fronte di classe. Non che fosse o sia facile, sia chiaro, perché conosciamo bene le enormi contraddizioni in cui si dibattono i ceti popolari americani, sia bianchi che neri che di qualsiasi altra etnia. Del resto, gli USA sono il centro, la “metropoli”, come si suol dire, dell’impero e la potenza di condizionamento ideologico del sistema americano è a dir poco enorme. La Sinistra di classe è stata scientemente distrutta prima con una repressione brutale e poi, come dicevo, da una capacità di penetrazione ideologica straordinaria. Il livello di coscienza di classe è bassissimo se non inesistente sia fra i ceti popolari bianchi che fra quelli neri e ancor meno fra quelli latini e asiatici che sono quelli più imbevuti di “american way of life”.  D’altro canto, i sindacati americani sono naturalmente interni ad una logica ultra corporativa e le lotte che pure si sviluppano non vanno mai oltre la dimensione meramente rivendicativa di questa o quella categoria (spesso anche di una singola azienda).

Naturalmente, anche e soprattutto i democratici e la “sinistra” liberal hanno scientemente lavorato per evitare la saldatura fra popolazione nera e movimenti neri da una parte e lavoratori bianchi dall’altra. Al contrario, si sono adoperati per mantenere quei movimenti nell’ambito “emancipazionista”, diciamo così, e dei diritti civili. In un ambito quindi, sostanzialmente innocuo per il sistema. E’ vero che la condizione della maggioranza dei neri negli USA è ancora di una sostanziale emarginazione e subordinazione (esiste da tempo anche una borghesia nera), ma è anche vero che da un punto di vista mediatico, ideologico e culturale, la questione razziale e dell’inclusione dei neri nella società americana, è stata ormai ampiamente sdoganata. Che poi questo non corrisponda ad un cambiamento reale delle condizioni materiali di vita della maggioranza dei neri, è un altro discorso. Ma resta il fatto che la questione dell’emancipazione dei neri è del tutto innocua per il sistema americano, soprattutto, appunto, se disinnescata dalla sua componente di classe, ridotta a questione di diritti civili, separata dal resto dei ceti proletari e popolari americani.

A tutto ciò aggiungiamo che negli ultimi trent’anni l’ideologia liberal e politicamente corretta è diventata egemone in America e in tutto il mondo occidentale, e quindi è ovvio che se si continua a sparare a zero sul “maschio bianco etero”, come se fosse un’unica categoria sociale e responsabile anche degli uragani o degli attacchi degli alligatori della Florida, non solo non si fa un passo in avanti di un millimetro rispetto a quella saldatura fra ceti popolari neri e bianchi a cui facevo cenno prima, ma si fa di tutto per allontanare quella prospettiva. A buon intenditor…

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Fonte foto: S.I. Cobas (da Google)

 

 

 

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