Il “trascinapoveri”

Capita di andare in vacanza a trovare un amico e di conoscere suo figlio (che chiameremo con il nome di fantasia di Gianluca),un ragazzo di diciannove anni molto intelligente ed evoluto per la sua età, il quale, fra le altre cose, mi racconta una “storiella” che riguarda un coetaneo suo conoscente. Tieni a precisarmi che si tratta solo di un conoscente e non di un amico e fra poco scoprirete il perché.
Questo suo conoscente ha diciannove anni, come lui, e abita in una grande città del centro nord dove è andato a vivere per ragioni di studio. Il padre, che è un affermato imprenditore nel settore dell’impiantistica, gli ha comprato un attico di circa 150 metri quadri nel cuore del centro storico della città e gli passa settemila (7.000) euri ogni mese più benefit. Il ragazzo dispone anche di un parco moto e macchine anche se non particolarmente esagerato: un paio di moto non di grossissima cilindrata e un’automobile. Pare infatti che non gli interessino molto i motori e non abbia neanche una passione smisurata per le donne (sembrerebbe confermarsi il vecchio detto per il quale “chi ha il pane non ha i denti…).
In genere trascorre le vacanze a Parigi, Londra e Los Angeles dove il padre ha comprato alcune case, però non disdegna di organizzarsi dei viaggi per conto proprio con alcuni amici “selezionatissimi”, né potrebbe essere altrimenti, dato il livello di vita e di consumi determinato dalla capacità reddituale (del padre).
La selezione però non viene effettuata solo in base alla capacità economica delle persone ma anche in virtù di una scelta ideologica, quella cioè di frequentare soltanto persone di un certo rango sociale e mai al di sotto di determinati standard.
Chi ad esempio utilizza più o meno regolarmente i mezzi pubblici per spostarsi è considerato uno “sfigato”. Quegli stessi mezzi pubblici che lui ha simpaticamente ribattezzato come “trascinapoveri”. Tutti quelli che prendono un “trascinapoveri”, secondo la sua filosofia, un bus o la metro, per recarsi al lavoro o all’università, sono di fatto “out”. Anche la capacità di spostamento, per questo giovane rampollo di “buona famiglia”, rappresenta quindi un criterio di selezione, un modo per capire con chi ci si relaziona, chi si incontra all’università (che comunque è privata e anche molto costosa e di conseguenza frequentata da un “materiale” umano già selezionato a monte) o la sera in un pub.
Nel complesso però sembrerebbe anche condurre una vita relativamente sobria -stando a quanto mi racconta Gianluca – per lo meno in relazione alla sua disponibilità finanziaria, se non fosse per quei trecento o quattrocento euri che spende (in una serata) il venerdì o il sabato sera per andare in questo o in quel ristorante o locale notturno alla moda, gli unici lussi che si concede, a parte i viaggi e i soggiorni estivi nella casa di Santa Monica (se non erro), in California.
Loro due non possono essere amici – commenta ironicamente Gianluca – perché ovviamente la sua condizione sociale non glielo consente, nonostante anche lui non faccia uso del “trascinapoveri”, essendo moto munito.
Pare però che non sia sufficiente…

7 commenti per “Il “trascinapoveri”

  1. Lorenzo Voroshilov Altobelli
    25 Agosto 2015 at 12:26

    Peggio ancora c’è solo chi, essendo figlio di operaio, fa di tutto per essere quello che non è, e cioè uno schifoso borghese snob e cagacazzi (scusate l’italianismo).
    Ce ne fosse di più di gente così… palloncini gonfiati boriosi e stronzetti:
    l’odio di classe risalirebbe la china! Altro che sogno borghese…

  2. armando
    25 Agosto 2015 at 19:45

    Naturalmente è difficile, molto difficile, ma si potrebbe anche essere ricchi di famiglia e non per questo disprezzare chi ricco non è. Non è il caso di quel rampollo. Una borghesia che fosse una vera classe dirigente farebbe come un tempo quella britannica, che mandava i propri figli, anonimamente, a lavorare per un periodo in fabbrica. Certo, in questo esisteva anche una dose di ipocrisia, ma almeno faceva capire ai giovani di quali privilegi godevano, e non poteva che far loro bene, almeno a quelli non del tutto istupiditi dal denaro. E certo non passava al ragazzino una cifra mensile pari a sei mesi di salario di un operaio. Poi c’è anche la supposta “aristocrazia ” intellettuale di sinistra, quella dalla parte del popolo ma che mai darebbe il suo assenso alla figlia che frequentarsi un proletario ignorante (di libri, non di vita, ovvio) o al figlio che volesse sposare una ragazza che per vivere andasse “a servizio”. Ne ho conosciuti/e .

  3. Roberto Ventrella
    25 Agosto 2015 at 20:33

    il detto è napoletano e nella sua versione completa dice così: O’ Patatern mann ‘o ppane a chi nun tene e rient ! Ma per fortuna ne conosco un altro che dice: Dicette a goccia a’ preta: damme ‘o tiempo … (disse la goccia alla pietra: dammi tempo….)

  4. raffaella
    26 Agosto 2015 at 21:26

    L’umanità è varia .ma.nn la stupidità!…Nel senso che quando ci si comporta cosi’ come nel racconto nn c’è distinzione di età ,di genere…
    Io però immagino che questo giovane vecchio un giorno per un problema alla sua auto sportiva dovrà salire su un mezzo pubblico e lì incontrerà per caso una giovane, lavoratrice pendolare,povera, la cui conoscenza lo porterà a rivedersi o addirittura a cambiare profondamente…LABOR OMNIA VINCIT..ops….AMOR OMNIA VINCIT!!!

  5. Animus
    27 Agosto 2015 at 10:24

    Fabrizio, con tutta la buona volontà, ho l’impressione di non riuscire ad afferrare completamente questo tuo racconto, nel senso, che non ci trovo nulla di strano.

    Per capirci, è come se avessi scritto:”ieri sono uscito, il sole slendeva, l’erba era verde, e la genete camminava per le strade.”

    Ok, e allora?

    • Fabrizio Marchi
      27 Agosto 2015 at 11:04

      Caro Animus, so perfettamente che la cosa può sembrare lapalissiana a tanti…Ma per tanti altri non lo è affatto. Tanta gente è oggi stata convinta che la contraddizione di classe non esista, che le classi non esistano più e di conseguenza che il conflitto di classe non esista più. E questo non è certo casuale. Il capitalismo ha trionfato in questa fase storica e di conseguenza, come tutti i vincitori, deve cancellare ogni traccia di coloro che lo hanno messo in discussione (Cartagine fu rasa al suolo dai Romani…).
      Le stesse parole “classe”, “conflitto di classe”, “contraddizione di classe”, puzzano troppo di sovversivo, di marxista, o di vetero comunista, comunque “roba” da dimenticare, che potrebbe sempre tornare pericolosa. Meglio quindi disfarsene, anche a livello di immaginario collettivo. E ci sono anche riusciti.
      Ed è proprio grazie a questa sofisticata e intelligente (il sistema dominante non è affatto sprovveduto…) operazione culturale e psicologica, prima ancora che politica, che una massa di subordinati ai vari livelli, ha smarrito del tutto ogni forma di coscienza politica (e di classe), individuale e collettiva, e si sentono o fanno finta (il confine tra il conscio e l’inconscio è sempre labile) di sentirsi degli “individui” “liberi”, che si distinguono l’uno dall’altro solo in base alla capacità di reddito (diversità di reddito che accettano più o meno serenamente o storcendo il naso). Ma noi sappiamo che è una truffa.
      E io credo che anche un raccontino apparentemente banale come quello dell’articoletto in oggetto sul rampollo figlio dell’industriale, possa servire a spiegare come stanno realmente le cose, meglio di tante analisi pompose, complesse e articolate e a volte anche noiose (diciamoci la verità, anche quando siamo noi stessi a scriverle…).
      Anche un paio di altri amici su face book hanno mosso in buona sostanza la tua stessa osservazione e io gli ho dato la stessa risposta. Aggiungo che questo non è un giornale che vuole rivolgersi (solo) agli “eruditi”, ma anche e soprattutto agli altri, cioè ai non “eruditi”. Il che non significa affatto scrivere articoli banali e scontati (e infatti io non penso affatto che quel mio breve articolo lo sia, poi è ovvio che ciascuno è libero di pensarla come crede…) ma soltanto che a quel fine è necessario avere un determinato approccio. Meglio, molto meglio, per quanto mi riguarda, un breve articoletto di cronaca o di costume, diciamo così, come quello (comunque tratto da un’esperienza reale di vita vissuta) per far capire determinati concetti, piuttosto che analisi filosofico-politiche, pur necessarie. E infatti non mi pare proprio che ce le facciamo mancare su questo giornale. Anzi, una delle principali se non la principale critica che ci è stata mossa fino ad ora è stata proprio quella di essere troppo “pesanti”, di proporre analisi troppo impegnative e di non facile lettura per tutti. E penso che abbiano ragione. Per cui credo che sia importante alternare articoli più “pesanti” con articoli più “leggeri”, di più facile fruibilità da parte di tutti.
      P.S. Sempre in tema, abbiamo pubblicato articoli come questi due, in cui raccontiamo episodi reali, di vita vissuta, e hanno avuto anche un certo riscontro (relativamente alle possibilità di audience di questo giornale…), appunto perché molto semplici e perché raccontano esperienze reali, anche se di fatto a tutti conosciute. Non raccontiamo certo delle novità…Ma questo non significa che non siano efficaci.
      https://www.linterferenza.info/editoriali/autovelox-di-classe/
      https://www.linterferenza.info/lettere/equitalia-strategie-da-spezzamignoli/

      • Animus
        27 Agosto 2015 at 11:37

        OK, Fàbri, grazie per il chiarimento.
        In effetti mi sembrava talmente ovvio che le diverse condizioni materiali determinino anche una diversa morale, da non capire qual’era il senso dell’articolo.
        Ora è decisamente più chiaro.

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