L’ultimo atto della politica: il gioco delle elezioni

In politica proliferano simboli di tutti i generi: sono tanti e appaiono persino incontrollabili dal punto di vista numerico. La dispersione e la frammentazione la fanno ormai da padroni nello scenario delle proposte politiche. Apparentemente, questo dato potrebbe significare una maggiore possibilità di scelta a disposizione degli elettori. In realtà, una situazione storica di questo tipo  significa il contrario. All’aumento esponenziale dei simboli, infatti, corrisponde una speculare diminuzione delle idee. Meno idee ci sono in giro, più emergono posizioni politiche: spesso meramente narcisistiche e prive del benché minimo ancoraggio alla realtà. Meno idee ci sono in giro, più numerosi sono coloro che suppongono di poter rappresentare i cittadini.

Alle medesime conclusioni si arriva anche se ci si concentra sull’altro grande dato influente a proposito della rappresentanza politica di questi anni, ossia quello della “personalizzazione” della politica. Non sono più i partiti, con la loro organizzazione (che andava dalla base elettorale fino al vertice), a dominare la scena politica, ma sono le personalità dei leader.

Vediamo così, molto bene in evidenza, l’immagine benigna ed accogliente di tanti bravi individui rassicuranti fare capolino su simboli colorati, talvolta anche molto fantasiosi e creativi. Simboli che hanno richiesto il lavoro di squadre intere di esperti di marketing politico, grafici, opinionisti ecc. A prima vista, a giudicare dal numero delle facce esposte e dalla loro espressione convinta e determinata,  tutto questo potrebbe significare che la politica sia tenuta strettamente in pugno da uomini valorosi e di grande responsabilità, capaci dunque di rappresentarci al meglio. Non è così!

 

Così come a proposito della questione del numero esorbitante dei simboli, anche per quanto riguarda la personalizzazione leaderistica della politica, il dato numerico significa esattamente il contrario di ciò che potrebbe sembrare. Si tende ad accentuare l’importanza dei visi e della facce, non perché abbiamo a diposizione tanti uomini responsabili e lungimiranti ma, proprio al contrario, perché non ve ne sono: l’immagine serve allora per supplire alla mancanza delle idee. È vero che i leader sono sempre stati importanti in politica; è altrettanto vero, però, che in passato i capi servivano a veicolare una prospettiva programmatica che essi stessi avevano elaborato o a portarne avanti una preesistente che si sapeva che loro potessero ben rappresentare. Nell’assoluta mancanza di idealità di un periodo storico quale il nostro, interamente retto dalla tecno-finanza, invece, non ci si affida tanto al leader in quanto portatore di idee, quanto gli si chiede di costituire una mera “immagine vivente”del vuoto politico. In questo senso, la faccia del leader smette di rivestire un ruolo politico, per divenire carburante capace di dare nuova linfa e carica alla società dello spettacolo. In questo modo, il viso dei cosiddetti protagonisti della politica gira costantemente sui social, sui giornali e sugli schermi televisivi: ridono, ammiccano, promettono, minacciano e fanno tutto ciò che è necessario per  realizzare il compito richiesto: fare bene la loro parte nella società dello spettacolo. Non importa che la loro immagine sia vuota di contenuto, fa niente che non possano e non sappiano fare davvero nulla di significativo per i propri elettori: ciò che conta è soltanto entrare come un’icona fast-food – o, nella migliore delle ipotesi, come una icona pop – nella grande accozzaglia multiforme, acefala e bulimica della ecity.

 

La politica contemporanea propone innumerevoli simboli cuciti esclusivamente sui volti dei leader. Peccato che dietro tutto ciò si nasconda – neppure in maniera eccessivamente criptica – il vuoto di senso più estremo. L’ombrello della tecnica deresponsabilizza i cittadini e, come si fa con i bambini, concede loro un passatempo fra le mani – le elezioni – grazie al quale le donne e gli uomini dell’Occidente globalizzato possono perfino sentirsi “impegnati nel gioco democratico”.

 

1 commento per “L’ultimo atto della politica: il gioco delle elezioni

  1. Patrizia
    20 gennaio 2018 at 13:16

    Bellissima cosa, il gioco democratico.
    Tanto bella che donne e uomini hanno perso la vita per esso, per cui ogni giorno c’impegniamo per estenderlo il più possibile.
    Ma… c’è un “ma”. Perché se è vero che “meno idee ci sono in giro, più emergono posizioni politiche”, come abbiamo imparato da Antonio, allora una posizione politica vale se è mia come di altr*, se è una configurazione concreta della vita degli individui e degli interessi materialmente posti in campo, e sancisce la preminenza della realtà, non dell’idea.
    Andiamo un po’ a vedere che cosa c’è dietro l’ “immagine”. E scopriremo che la realtà è diversa: dal fatto che ci sia un’ “accozzaglia multiforme”, nasce la possibilità del conflitto. Ma non solo: la realtà è vera e vive se non pretende di riempire “il vuoto di senso” con un’idea coercitiva del pensare e dell’agire politico.

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