Morti sul lavoro: una tragedia di classe e di genere

Risultati immagini per morti sul lavoro immagini

Foto: Fuori Binario (da Google)

 

La tragedia senza fine dei morti sul lavoro è la cartina al tornasole del sistema nel quale viviamo e ne rivela, forse più di qualsiasi altro (drammatico) fenomeno, il suo carattere intrinsecamente e strutturalmente contraddittorio.

Si tratta infatti di una tragedia di classe dal momento che muoiono solo lavoratori, per lo più operai e a volte contadini. Si muore per tante ragioni e nei frangenti più diversi, precipitando dal ponteggio di un cantiere edile oppure schiacciati da una pressa o da un trattore, per un’esplosione, come successo ieri ai due operai a Treviglio, oppure ancora per un incendio divampato per i motivi più disparati. Ma si muore anche per la perdita del lavoro, cioè quando in seguito ad un licenziamento o al fallimento della propria azienda e nell’impossibilità di trovare un’altra occupazione nonostante i reiterati e infruttuosi tentativi, si decide di togliersi la vita perché ci si sente inutili o, peggio, dei falliti, perché incapaci di provvedere al proprio sostentamento e soprattutto a quello della propria famiglia.

Ma si tratta anche di una tragedia di genere, maschile, perché le vittime del lavoro sono pressochè soltanto uomini, con una percentuale che oscilla fra il 93 e il 97%. Il restante 5% circa di donne sono in realtà vittime di incidenti stradali mentre si recano al posto di lavoro e vengono comunque considerate cadute sul lavoro. Nel caso dei suicidi per perdita del lavoro la percentuale maschile è addirittura del 99,9% (sono dati che tutti possono verificare sul sito dell’Inail). E anche questo dato meriterebbe (e merita) una riflessione a parte che abbiamo già fatto ma che riproporremo ancora in un prossimo articolo ad hoc.

Dei due risvolti di questa immane tragedia, soltanto il primo, quello di classe, è emerso chiaramente, anche se da sempre nell’indifferenza di tutti dal momento che ci si è abituati a quella che è ormai diventata una seppur triste consuetudine. Il secondo, invece, quello di genere (maschile), non è emerso, nonostante sia anch’esso clamorosamente evidente. Non osiamo pensare cosa sarebbe già avvenuto a parti invertite e chi scrive, per primo, sarebbe già sceso in piazza contro quella che avrebbe considerato una insopportabile e inaccettabile discriminazione fondata sul sesso. Il silenzio da parte di tutti (istituzioni, media, partiti, sindacati, scuola, intellettuali, e soprattutto di chi della difesa dei diritti ne ha fatto una bandiera e spesso una professione…) su questo secondo e altrettanto spregevole risvolto è a dir poco assordante (e vergognoso, aggiungo io…). A meno di non pensare che gli uomini, in quanto tali, siano sacrificabili; ma se così, fosse, vorrebbe dire che non sono affatto dei privilegiati, come la vulgata politicamente corretta dominante sostiene…

Ora, dal momento che il lavoro non è una faccenduola qualunque ma, da sempre, il fattore costitutivo e distintivo (con tutte le contraddizioni che ben conosciamo…) della vita umana e delle società che proprio sul lavoro (e sullo sfruttamento del lavoro) sono state da sempre edificate, se ne deduce, se la logica non è acqua fresca, che anche e soprattutto nell’attuale contesto storico e sociale gli uomini non appartenenti alle elites dominanti sono il gruppo sociale e di genere che più di altri e più di altre vive e subisce le contraddizioni prodotte da quello stesso contesto.

I numeri e le percentuali, del resto, sono lì a confermarlo: implacabili, inconfutabili, incontestabili.

Sia chiaro – lo dico per evitare che i soliti uccellacci speculino vergognosamente su quanto ho appena scritto (e non stupitevi, perché è normale che ciò accada…) – che è evidente che l’obiettivo di queste mie parole non è certo quello di voler “pareggiare i conti” con il genere femminile. Al contrario, ci auguriamo che nessuna donna – mai – muoia sul lavoro né per altre cause che non siano quelle naturali. Né tanto meno, individuiamo nel genere femminile il nostro nemico. Se così fosse saremmo anche degli idioti oltre che degli individui spregevoli.

Il nostro obiettivo, come ormai molti nostri lettori sanno bene, è svelare una menzogna. Quella in base alla quale, appunto, i maschi, in virtù della loro appartenenza sessuale, sarebbero sempre e comunque in una condizione di privilegio, vantaggio e dominio. I fatti ci dicono che questa è una macroscopica fesseria, una incredibile manipolazione e falsificazione della realtà che abbiamo più volte denunciato. Ce ne raccontano tante tutti i giorni (tutti i sistemi di dominio, specie i più sofisticati come quello attuale, si fondano sulla menzogna) ma questa è sicuramente una di quelle più clamorose e sistematicamente ripetuta in ogni dove e in ogni momento.

Gatta ci cova, e non può non covarci.

Questo è il punto sul quale invito a tutti/e a riflettere. La domande da porsi sono sempre le stesse: perché e a chi giova. A chi giova manipolare e occultare la realtà? A che scopo? Perché non emerge e non viene lasciato emergere un dato così eclatante come quello del risvolto sessuale del dramma sociale dei caduti sul lavoro? Qual è la natura dell’attuale dominio capitalistico? Quali sono le logiche che lo sottintendono? E, soprattutto, perché questo dato così palese è come se fosse invisibile?

Ne dobbiamo dedurre – sempre se la logica non è acqua fresca – che il nostro sistema tuttora fondato sul diritto formale liberale è in grado di gestire, lasciandola emergere, la contraddizione di classe ma non quella di genere, naturalmente quando quest’ultima vede penalizzato il genere maschile. Ancor più in questo caso è necessario chiedersi perché.

Il tema è scabroso e per nulla rassicurante. Del resto, se le cose stanno in un certo modo non è colpa nostra. Chi vuole restare nelle sue comode e rassicuranti convinzioni può sempre evitare di leggerci…

 

 

48 commenti per “Morti sul lavoro: una tragedia di classe e di genere

  1. Sergio da Taranto
    2 aprile 2018 at 14:33

    13 ila morti in 10 anni….se fossero morte un millesimo di donne, ne avrebbe parlato tutto il mondo.
    Le morti bianche in Italia sono l’ipocrisia della politica e di un sistema corrotto…..La sicurezza sul lavoro è un costo e, in Italia devono ridurre il costo del lavoro.
    Anche le tutele dei lavoratori, sono un costo e, bisogna eliminarle….tanto è che in Italia, in Europa si fà solo filosofia sui diritti e poi….comperiamo le merci dalla Cina, dall’india, dove fanno lavorare i bambini.
    Le morti sul lavoro, sono OMICIDI di Stato.

    • Daniele
      2 aprile 2018 at 17:54

      A parte il fatto che chiamarle “morti bianche” lo trovo errato – casomai bisognerebnbe parlare di “morti azzurre” – questo non è un discorso che riguarda solo l’Italia ma tutto il mondo industrializzato (quindi anche e soprattutto il mondo orientale).
      La corruzione regna ovunque e in certi Paesi ancora di più (o molto di più) che in Italia.
      Basterebbe informarsi riguardo a quello che, ad esempio, succede ad Abu Dhabi, dove gli operai muoiono come mosche e fanno 60 ore settimanali per quattro soldi.

      Altro particolare da evidenziare: negli anni Sessanta, nella sola Italia (lasciamo perdere altrove…) i morti sul lavoro erano il quadruplo di quelli attuali, per non parlare di tutti quelli che morirono successivamente a causa di malattie incurabili come il cancro e la leucemia, dovute a decennali esposizioni a sostanze cancerogene.
      Ovviamente anche allora erano quasi esclusivamente uomini a morire sul lavoro.

  2. Fabrizio Marchi
    2 aprile 2018 at 16:00

    Un “intellettualone” sedicente comunista (un accademico…con tanto di medaglia al valore…) ultraortodosso di cui non faccio il nome un pò perchè non ho nessuna voglia di polemizzare e un pò per carità di patria, mi ha appena dato del “rossobruno” (cioè del fascista…) per l’articolo in oggetto nell’ambito di un post pubblicato da un altro amico…:-) Ha anche soggiunto al comune amico di selezionare meglio le sue amicizie, altrimenti sarebbe stato costretto a togliergliela se avesse continuato ad ospitare “rozzobruni”… Fantastico…la fiera del politicamente corretto e dello scontato che più scontato non si può. Capito come siamo combinati a “sinistra”? Capito perchè la sinistra è all’1,1% destinata, se continuano con questa musica, a diventare lo 0,1%?
    Sono malati di autoreferenzialità e di narcisismo. Potrebbero restare da soli e prendere l 0,1% che continuerebbero a suonare lo stesso spartito, come se nulla fosse…Per me, a questo punto, è anche un fenomeno patologico, arrivo a pensare questo…

    • gino
      2 aprile 2018 at 20:34

      benvenuto nel club, ahah!
      se hai dei dubbi sul femminsmo, sul gender, sull’immigrazione illimitata, sulle ong, sulla dissoluzione della sovranità dello stato italiano, su quanto sia meraviglioso farci cacciare dai giacimenti dell’Eni manu militari, sulla bellezza degli israeliani che fanno tiro a segno sui palestinesi, sulla necessità dell’esportazione di democrazia in libia o siria, sul ruolo dei curdi, sul fatto che putin sia un mostro… sei un rossobruno.

      • Fabrizio Marchi
        2 aprile 2018 at 20:45

        Sì, ma da quel dì che mi ci avevano già iscritto, mio malgrado… 🙂 E questo è pure (o forse soprattutto per questo…) un accademico, un intellettuale con tanto di timbro di protocollo… La cosa da una parte mi fa anche ridere, perché dare del rossobruno al sottoscritto è un po’, come dire, dare del laziale a un romanista incallito…Ma va bè, questi sono talmente ottusi…
        Se da una parte mi viene da ridere, dall’altra sono cose che mettono veramente tristezza, ma non perché quell’idiota mi abbia dato del rossobruno, ma per come siamo arrivati a ridurci. Mi chiedo come sia stato possibile arrivare a questo scempio…Tutte le risposte razionali che ci siamo dati (anche valide) non riescono comunque a spiegare tutto…

        • gino
          3 aprile 2018 at 16:14

          boh… io se leggo siti “rossobruni” concordo al 90% con quanto leggo, se leggo repubblica o manifesto concordo 0%.
          sarò rossobruno…

          zecchinelli battezza il rossobrunismo come “la sostituzione della geopolitica alla lotta di classe”… ma se oggi le questioni del lavoro (di classe) e culturali sono decise in sedi internazionali, allora la geopolitica assume la preminenza.

          per puro caso lessi una pagina di wikipedia sui 10 maggiori teorici gender del mondo. 9 su 10 erano donne, lesbiche, americane, ebree: anche quest’argomento è dominato quindi dalla geopolitica.

          • Fabrizio Marchi
            3 aprile 2018 at 19:24

            E infatti Zecchinelli ha ragione. La geopolitica senza lotta di classe può essere considerata, diciamo così nell’ambito del “rossobrunismo”. In realtà è semplicemente una visione di Destra delle cose. Se togli il conflitto di classe la Sinistra non ha più ragione di essere. La geopolitica senza la lotta di classe è il gioco fra potenze. Punto. Guarda caso la geopolitica è il termine in voga dalla caduta del muro in poi, prima si chiamava politica internazionale. Il “gioco” fra potenze c’era anche allora, ma intanto ce ne erano due dichiaratamente comuniste, e poi c’erano contestualmente ai movimenti di liberazione nazionale anticolonialisti e antimperialisti il più delle volte guidati da forze socialiste o comuniste (sostenuti da quegli stati comunisti, in particolare dall’URSS). E anche questi movimenti vedevano la compresenza del concetto di classe con quello di liberazione nazionale. Il conflitto di classe era inoltre ancora presente nel mondo, nel senso che esisteva ancora un movimento operaio organizzato su scala internazionale. Movimento operaio che poi si è dissolto con il dissolversi della classe operaia tradizionale delle grandi fabbriche e delle grandi concentrazioni operaie metropolitane in seguito al processo di ristrutturazione e di trasformazione delle società capitalistiche. E naturalmente è evaporata anche la coscienza di classe. In pratica ha vinto il capitale, sotto tutti gli aspetti: politici, economici, sociali e ideologici.
            Quindi (ma ne abbiamo parlato non cento ma diecimila volte, però, evidentemente, tocca ripetersi), la contraddizione di classe esiste ancora, eccome (è sempre esistita dai tempi dei tempi, figuriamoci…), solo che non c’è conflitto di classe, perché quella classe operaia di cui sopra è stata spappolata e al suo posto c’è un magma indistinto, frammentato e totalmente sprovvisto di coscienza di classe (e completamente allo sbando, non a caso si aggrappa, in Italia, a forze come il M5S e la Lega…). Ciò non vuol dire che la lotta di classe sia finita. Queste sono le baggianate che raccontano i cantori del sistema e anche (purtroppo…) alcuni pensatori validi ma che a mio avviso hanno completamente smarrito la via, come ad esempio Gianfranco La Grassa che è diventato quasi un fanatico della geopolitica (tanto a lui che gliene frega, era già ricco di famiglia, in più nella vita ha fatto il prof. universitario, recitare il de profundis alla lotta di classe non gli comporta nessun problema personale…). Proprio questo fu uno dei punti di rottura fra La Grassa e Preve (e aveva ragione Preve, dal mio punto di vista…).
            Del resto, se seppellisco definitivamente l’idea della possibilità della trasformazione, per quale ragione dovrei fare il tifo per una potenza o per l’altra? Mi pagano forse? Ho da guadagnarci qualcosa se la partita viene vinta dall’una o dall’altra? Mi cambia forse la vita? Certo, non sono mica un’anima bella, né tanto meno un fan del Toni Negri pensiero, per cui sono ben cosciente che oggi la contraddizione principale (per dirla con Mao…) è l’impero USA; questo è evidente. Per cui è ovvio che oggi bisogna spingere per indebolire l’impero dominante. Ma questo non mi spinge a fare il tifo sfegatato per Putin o Xi Jin Ping. Sono un multipolarista, è ovvio, ma da questo a innamorarsi di Putin ce ne corre.
            La mia opinione è che molta, molta gente non ce la faccia a stare senza punti di riferimento, e deve in qualche modo trovarseli a tutti i costi. Dal crollo del comunismo in poi ho visto gente andare nelle direzioni più disparate. La più gettonata è stata senza dubbio la Chiesa cattolica (ora poi con Bergoglio, non ne parliamo…). Poi i tifosi di Putin, a destra come tra parecchi ex comunisti o addirittura ancora comunisti, e qualcuno (di meno) la Cina. Tutti metaforicamente alla ricerca non dico del sol dell’avvenir ma di una sponda, non solo politica ma ideologica. E’ umano, è comprensibile, è anche dato dall’esigenza di trovare in qualche modo un rifugio dal capitalismo assoluto sfrenato occidentale. Ma secondo me è sbagliato. La Russia va appoggiata appunto geopoliticamente ma non come società ideale, per lo meno dal mio punto di vista. Stesso discorso, anche se diverso, per la Cina, che è un’altra società ancora più diversa da quella russa (personalmente vedo meglio quest’ultima ma sempre contestualizzandola nella specificità del “continente” Cina e comunque senza nessuna adesione ideologica).
            Io penso che questo fare il tifo sia in realtà una forma di debolezza, di fragilità, comprensibile, umana ma non condivisibile. Bisogna anche avere il coraggio di accettare di essere soli. E in fondo i poveri della Terra lo sono sempre stati per millenni (a parte rarissime e brevissime eccezioni…), prima dell’affacciarsi sulla scena storica del socialismo e del comunismo. Siamo stati sconfitti, abbiamo fallito, tutto quello che volete; di fatto ha vinto il capitale, hanno vinto ancora una volta le classi dominanti. Le alternative sono due. O la ritirata strategica, con relativo ritiro a vita privata, oppure non rassegnarsi e continuare a combattere. Per ora, personalmente, ho scelto questa seconda strada. Non per spirito eroico, sia chiaro, forse perché non gliela voglio dare vinta (e poi perché dovrei? Cosa me ne viene in tasca? Ci guadagno qualcosa forse a dargliela vinta? Mi regalano un vitalizio di 10.000 euro al mese, una villa in Sardegna e uno stuolo di puttane a mia disposizione?…) o forse solo perché è nella mia natura. Concludo dicendo che i nostri antenati poveracci che nascevano secoli e secoli se non millenni fa stavano infinitamente peggio di noi, sotto tutti i punti di vista. Non avevano un futuro e non avevano un passato, e solo un presente di merda da ingoiare tutti i giorni. E noi che facciamo? Ce la stiamo a menare con la fine della lotta di classe solo perché da trent’anni a questa parte è crollata l’IURSS e il movimento operaio? Allora non valiamo veramente un cazzo, se è così è giusto che ci piscino in testa.
            Io il tifo non lo faccio per i potenti della terra (sarei un coglione, dal mio punto di vista…). Finchè ho un alito di vita voglio combattere per me e per quelli come me, quanto meno, come ripeto, avrò la soddisfazione di non avergliela data vinta. Tutto il resto per me non solo è noia ma è culo spalancato ai potenti.

  3. mirko recher
    2 aprile 2018 at 16:30

    d’accordo sull’articolo al 100%…una piccola annotazione dove lavoro io (portalettere) siamo circa 65% uomini e 35% donne che recapitano la corrispondenza…le donne hanno lo stesso rischio mio nell’effettuare questo tipo di lavoro…non molto tempo fa purtroppo è morta una mia collega mentre svolgeva il proprio lavoro….è una precisazione

    • gino
      2 aprile 2018 at 20:19

      e com’è morta?

      • mauro recher
        3 aprile 2018 at 22:58

        Sono il fratello di Mirko (mauro recher), è morta per incidente stradale

        • gino
          4 aprile 2018 at 13:21

          mah, non so se in questo caso è annoverabile fra le morti a causa del lavoro. incidenti stradali capitano a tutti in ogni momento, non è la stessa cosa di un altoforno che esplode o una miniera che crolla. anche lavoratori autonomi e liberi professionisti muoiono di incidente stradale mentre lavorano e non credo vengano annoverati fra i morti sul lavoro.

          • mirko recher
            5 aprile 2018 at 18:49

            mio fratello si è dimenticato di dire che è morta per incidente stradale svolgendo il lavoro di recapito quindi è sicuramente una morte sul lavoro

    • plarchitetto
      3 aprile 2018 at 13:20

      Grazie Mirko, perché è una precisazione che avvalora la tesi di Fabrizio (e di tutte le persone con un minimo di capacità d’analisi).
      La mortalità sul lavoro è intrinsecamente legata (connaturata) al rischio che quelle specifiche mansioni determinano.
      Quando le donne assumono “quelle” mansioni, muoiono come gli uomini.
      Il fatto che non muoiano con la stessa frequenza è proprio perché “scelgono” mansioni molto meno pericolose.
      Anche all’interno di un unico processo produttivo (es fabbrica) vengono destinate a fasi di lavoro con basso indice di pericolosità (assemblaggio, imballaggio, spedizione…).
      Le morti maschili sul lavoro sono un fatto sociale, non una coincidenza.
      Va considerato inoltre il vantaggio sociale femminile di godere complessivamente dello stipendio del padre/marito/partner che quei lavori li affronta.
      O d’usufruire delle pensioni dei padri/mariti/partner defunti.
      Conosco una donna di 63 anni che rimasta vedova a vent’anni per la morte del marito operaio in un’acciaieria, non s’è mai risposata.
      Parecchie convivenze, ma mai un matrimonio, poiché la rendita avrebbe cessato d’essere erogata nel momento in cui avesse contratto un nuovo matrimonio.
      Non è un esempio isolato…
      .
      .
      *Lo dico da coordinatore della sicurezza nei cantieri: chi immagina d’eliminare le morti sul lavoro previa legislazione, tecnicalità o miglioramenti procedurali, mente sapendo di mentire.
      Sta mettendo in scena una pantomima, nel tentativo d’occultare una dura realtà e spostare il focus del problema.
      Una buona quota di morti sul lavoro rimarrà stabile. Consustanziale. Intrinseca. Fisiologica.
      Una fisiologia al maschile.

      • gino
        3 aprile 2018 at 16:00

        ho chiesto a mirko le cause della morte della sua collega, perchè se fosse infarto, ictus, una caduta (esempio) non va annoverata fra le “morti sul lavoro”

      • Rino DV
        3 aprile 2018 at 18:06

        Concordo ovviamente. I rischi si possono/devono ridurre. Eliminarli è impossibile.
        Quella dei morti sul lavoro è una questione di classe, di genere ma anche di categoria produttiva. A parità di ogni altra condizione (stipendio, orario, condizioni ambientali etc.) chi svolge lavori manuali sopporta il rischio di incidenti, mutilazioni e morte per conto di tutti. In tutte le epoche e in tutti i sistemi socioeconomici. E sono maschi.
        Le scrivanie dei dirigenti e dei notai non esplodono.
        Ma neanche le cattedre dei prof o le casse delle commesse.

  4. Daniele
    2 aprile 2018 at 18:08

    Fabrizio Marchi

    >>>>>>>
    Al contrario, ci auguriamo che nessuna donna – mai – muoia sul lavoro né per altre cause che non siano quelle naturali. Né tanto meno, individuiamo nel genere femminile il nostro nemico. Se così fosse saremmo anche degli idioti oltre che degli individui spregevoli.
    >>>>>>>

    Certo, questo è chiaro e condivisibile.
    Tuttavia va evidenziato che nessuna donna – e non mi riferisco alle femministe militanti, dalle quali non mi aspetto assolutamente nulla, ma alle donne comuni e non militanti – apre mai bocca al riguardo.
    Mi riferisco al fatto che solitamente le donne non riconoscono il lavoro e il sacrificio maschile.
    Anzi, danno per scontato che quello che fanno loro sia sempre “di più” rispetto a quello che fanno gli uomini.
    Ed infatti in più occasioni mi è capitato di ascoltare parole del tipo:
    “Eh, se voi uomini doveste fare quello che facciamo noi donne”…
    Oppure:
    “Eh, senza noi donne voi uomini siete perduti”,
    ecc ecc.
    Ce ne fosse una che evidenzi un inconfutabile dato di fatto:
    e cioè che quasi tutto ciò che esiste – dalle case alle strade, dalle scuole alle fabbriche passando per gli uffici, per non parlare di internet e tutto il resto – è stato ed è costruito da uomini, senza i quali l’umanità tornerebbe a vivere nell’era paleolitica.
    Ma questo le donne fanno finta di non saperlo e seguitano a lamentarsi e ad accusare gli uomini.

    • alex1
      29 ottobre 2020 at 11:00

      In effetti ho sentito parlare di “sacrificio delle donne” anche per quelle le quali usufruiscono di part time, quelle le quali sacrificano “la carriera” per la famiglia, finendo per scegliere lavori meno impegnativi e meno prestigiosi, vicino casa e con orari flessibili, visto il lavoro più impegnativo ed economicamente più retribuito (ed a volte più usurante e rischioso) lo fa il marito. Allora mettiamoci d’accordo, la donna la quale rinuncia ad una famiglia, o comunque dedica poco tempo ad essa perché deve lavorare è “sacrificata” e poco supportata dalla società, però lo stesso vale per la donna la quale “sacrifica” le sue ambizioni (realizzabili o meno poi è da vedere) per poter stare in famiglia e quindi fa la scelta opposta. Allora parlano di “donne discriminate sul lavoro”. L’uomo non può scegliere troppo, deve lavorare quanto necessario per mantenere la famiglia e soddisfare le sue aspettative.Non mi torna chiaro, a voi?

  5. ARMANDO
    3 aprile 2018 at 19:32

    Io credo che il così detto rossobrunismo sia un tema da approfondire nel suo significato, ben oltre le sciocchezze della sinistra politicamente corretta, per la quale chiunque non sia femminista, genderista, fautore dei matrimoni gay, convinto che i maschi siano orribili oppressori e così via “cretineggiando”, è sicuramente un rossobruno, quindi un fascista mascherato. Idiozia pura. Guardate che è un tema serio, anche per un marxista che non sia negriano-deleuziano-accelerazionista. Naturalmente ciascuno è giusto si attenga alle sue convinzioni di fondo, ma che oggi la geopolitca sia un punto nevralgico più ancora della lotta di classe, ma che attraversa anch’essa, è un fatto inoppugnabile, piaccia o meno. D’altro canto, se non si parte dalla realtà, magari cercando di cambiarla, si finisce nell’assoluta insipienza. Si può continuare per secoli a recitare la solita litania, come diceva Costanzo Preve, tanto nessuno ti ascolta e sei del tutto ininfluente. E parlare seriamente del così detto rossobrunismo, definizione falsa appiccicata a qualsiasi dissenziente dal mainstream, per demonizzarlo utilizzando vecchi rottami del sessantotto come i nazimaoisti, significa riflettere a fondo sul rapporto struttura-sovrastruttura, economia -politica, egemonia culturale e rapporti sociali. Ma per farlo occorre uscire da schemi logori ed anche usati malissimo.

    • Fabrizio Marchi
      3 aprile 2018 at 20:18

      Aspetta, che il concetto di “rossobrunismo” sia utilizzato ormai da tempo come termine dispregiativo per insultare e bollare chiunque si discosti dal mainstream di “sinistra” e politicamente corretto, non c’è alcun dubbio (proprio ieri sono stato tacciato di essere un rossobruno da un “intellettualone” appartenente ad una delle sette più ortodosse e ottuse del micro arcipelago veterocomunista…).
      Io ero andato oltre queste scemate perché mi sembrava che in questo ambito certe cose fossero scontate (e lo sono…).
      Per il resto, non ho affatto detto che la geopolitica (o politica internazionale) sia secondaria o marginale, ci mancherebbe altro. Del resto non lo è mai stata…
      Quindi il problema non si pone. Io ho detto e dico un’altra cosa. E cioè che la politica internazionale senza la lotta di classe diventa una questione fra grandi potenze in lotta fra loro per l’egemonia sul mondo oppure per noi comuni mortali un gioco per appassionati di Risiko. Tutto qui. Dopo di che non credo sia necessario che ripeta ciò che ho già scritto tante volte. Oggi personalmente (l’ho anche ribadito in questo video https://www.linterferenza.info/in-evidenza/immigrazione-conflitti-chiudere-le-politiche-neocolonialiste/ ) vedo molto importante (dal mio punto di vista) il ruolo della Cina, ben più di quello della Russia di Putin. Proprio perchè, a mio parere, può giocare un ruolo molto più importante per tante ragioni e la sua politica può avere degli effetti non soltanto dal punto di vista meramente (si fa per dire…) geopolitico, cioè di riequilibrio e di contenimento dell’aggressività dell’impero USA-UE-Israele-Arabia Saudita, ma anche sul piano del sostegno e dello sviluppo di tanti paesi del terzo mondo, di economie deboli, e quindi del cambiamento delle condizioni di vita di masse umane. Se il Venezuela di Maduro, tanto per dirne una, sta ancora in piedi, è grazie all’appoggio economico cinese così come è risaputo che Libia di Gheddafi è stata distrutta perché stava aprendo alla Cina che lo stava appoggiando per un progetto complessivo di rinascita, diciamo così, dell’Africa, nell’ambito di rapporti di cooperazione, svilupp , scambio ecc. E non a caso gli è stato impedito.
      Quindi, che la geopolitica sia fondamentale, nessuno, quanto meno non il sottoscritto, lo mette in dubbio. Solo che sarebbe un errore strategico e interpretativo dire che la lotta di classe è finita o da consegnare agli archivi della storia. Ripeto, siamo in una fase di egemonia totale delle classi dominanti; è per questo che non c’è il conflitto sociale, cioè di classe. Perché quando le classi dominanti vincono la lotta di classe, c’è la pace sociale. In modo estremamente flebile, debole, pallido, tutto quello che volete, il voto massiccio al M5S e alla Lega è un voto di classe, come ho già scritto qui https://www.linterferenza.info/editoriali/elezioni-2018_tutto-cio-che-e-reale-e-razionale/ Certo, proprio perché siamo in una fase debolissima, il conflitto di classe si esprime in modo ultra soft attraverso la delega a forze populiste o di destra come il M5S e la Lega. Ma questi sono i tempi che ci sono dati da vivere, ragazzi. Tutto questo culo che nel nostro piccolo ci stiamo facendo con questo giornale è per lavorare in direzione della costruzione di una nuova futura potenziale soggettività politica. Io non la vedrò di certo, forse, e dico forse, i miei nipoti. Come ripeto, non ho neanche nulla da perdere. Non è che se mi sto zitto mi danno il vitalizio da nababbo, la villa al mare e le fanciulle che mi sollazzano nella piscina della villa…E allora quanto meno la soddisfazione di dargli addosso finchè ho energia…

      • ARMANDO
        4 aprile 2018 at 14:52

        Avevo scritto che la geopolitica si interseca con la lotta di classe, qualsiasi accezione vogliamo dare all’espressione (proletariato-borghesia/ dominati-dominanti ecc). Faccio un esempio. Gli accordi di Yalta fra Stalin, Churchil e Roosvelt, che divisero il mondo in sfere d’influenza, furono un grande accadimento geopolitico. In forza di essi l’Urss mise un po’ la sordina alle aspirazioni rivoluzionarie dell’Occidente, Italia compresa. Fu un prezzo da pagare, per il quale alcuni si sentirono traditi. Ma quale era l’alternativa? La dottrina staliniana del “sociliasmo in un paese solo”nacque perchè le rivoluzioni in occidente, che Marx riteneva essenziali affinchè le eventuali rivoluzoni nei paesi arretrati (com’era la Russia) potessero durare e non essere soffocate, erano fallite. In quel momento, giocoforza, diventò prioritario che l’Urss non soccombesse. Quindi la geopolitca prese il sopravvento. Yalta ne fu la conseguenza. Qualsiasi cosa fosse l’Urss, se fosse sparita come stato socialista, la lotta di classe in tutto il mondo sarebbe letteralmente morta, e forse per sempre o almeno per secoli. In ogni epoca storica la contraddizione principale si manifesta in modi diversi ed acquisisce, diciamo, una certa primazia pur non annullando le altre. D’altra parte anche il punto di vista geopolitico non annulla le differenze fra i vari stati omologandoli come fossero intercambiabili o fosse indifferente la prevalenza dell’uno o dell’altro. E questo non lo pensa neanche La Grassa. Non solo, ma che dire delle situazioni interne? Quali istanze dovrebbe esprimere, oggi, le lotte di classe in Russia o in Cina? Non certo quella di indebolire le rispettive premiership, perchè ciò significherebbe soltanto aprire la strada al dominio incondizionato degli USA.
        Al contrario, un arretramento americano nel mondo aprirebbe prospettive “di classe” in molti paesi, in primo luogo in America Latina. A proposito della quale, anche lì la lotta di classe si interseca strettamente con quella per l’indipendenza nazionale, ossia per la sovranità e quindi si situa in in contesto di rapporti fra Stati che in quanto tale è geopolitico.
        Questo per dire la complessità della materia e la sovrapposizione continua di problematiche

        • Fabrizio Marchi
          4 aprile 2018 at 16:24

          Sono sostanzialmente d’accordo. E’ ovvio che ci sono fasi storiche in cui la questione che oggi chiamiamo “geopolitica” sia prevalente rispetto ad altre ed anche rispetto al conflitto di classe. Quello che volevo dire è che se si parte da un punto di vista socialista/comunista, il punto di vista di classe non può MAI essere abbandonato. Ed è questo che fa la differenza. Poi è ovvio che ci sono fasi storiche in cui si deve dare priorità ad altre questioni, penso alla lotta contro una dominazione coloniale e/o imperialista (pensiamo alla famosa alleanza fra i comunisti di Mao e i nazionalisti di Ciang Kai Shek), o contro i fascismi (anche in questo caso abbiamo avuto delle alleanze tra forze che poi sarebbero tornate ad essere avversarie). Però non è che Mao, Ciu En Lai mentre combattevano contro la dominazione giapponese si erano dimenticati della lotta di classe o, peggio, pensavano che fosse esaurita storicamente (come sostengono gli attuali cantori di regime e purtroppo anche taluni pensatori come appunto La Grassa). Io penso invece, ad esempio, che oggi la lotta di classe passi proprio attraverso la battaglia per uscire dall’UE e quindi per il recupero della sovranità nazionale. E fortunatamente sono sempre più numerosi i comunisti che la pensano o cominciano a pensarla nello stesso modo. Io penso che anche la battaglia che stiamo conducendo contro l’ideologia politicamente corretta e il femminismo faccia parte della lotta di classe, e lo affermo in modo convinto. Se riuscissimo nel miracolo (sto lavorando nel mio piccolo a questo) di unire le due cose, sarebbe una gran cosa. Però devo dire che in parecchi ormai ci leggono e ci seguono e tutto sommato, al di là dei soliti coglioni, in determinati ambienti non siamo rifiutati come appestati…Ora, non so se sia dovuto al pedigree personale e degli altri compagni che lavorano all’Interferenza, però una cosa è certa e cioè che le nostre posizioni sono ormai conosciute e tuttavia, ripeto, in alcuni ambienti siamo ben accetti, nonostante tutto. Chissà… Forse sotto, sotto, qualcuno ha piacere che noi si faccia il “lavoro sporco”…E’ solo un’impressione e nulla più…però l’uccellino birichino (cioè il mio istinto…) mi dice che c’è del vero in questo…

        • gino
          5 aprile 2018 at 0:34

          armando,
          concordo abbastanza. io alla fine sono uno pratico e, rivolgendomi anche a marco, faccio un esempio pratico di come la geopolitica interessi anche la “classe”.

          l’ENI aveva comprato i diritti di un ricco giacimento nel mediterraneo orientale, la turchia ha recentemente mandato la marina militare e cacciato le navi eni (io sospetto che ci sia lo zampino americano, visto che subito dopo nella stessa zona sono arrivate le navi exxon scortate da una squadra us navy, ma lasciamo perdere).
          nei decenni quel giacimento frutterebbe un flusso di molti miliardi, di questi una grande fetta andrebbe allo stato e questi ci paga stipendi, sanità, pensioni, scuola.
          i dividendi eni poi vanno agli azionisti, la maggioranza dei quali sono ancora lo stato e fondi pensione.

          ora VI chiedo: una sovranistica e geopolitica e rossobruna buona salute dell’eni non conviene alla “classe”? secondo me sì.
          eppure non ho letto di sinistre di classe inferocite contro la turchia per questo episodio… perchè?
          perchè l’eni è una sporca multinazionale capitalista sfruttatrice e come tale la dobbiamo combattere?
          perchè noi siamo superiori a tali quisquilie economicistiche?
          perchè noi non siamo nazionalisti rossobruni?
          perchè certi obiettivi sono troppo poco e noi puntiamo alla rivoluzione?

          • Fabrizio Marchi
            5 aprile 2018 at 9:08

            Secondo me si può e si deve portare avanti una politica di autonomia e indipendenza nazionale (e quindi di recupero di tale autonomia e indipendenza, il che significa uscire dalla UE) senza per questo essere rossobruni. Ti invito a leggere il documento di presentazione di questa iniziativa alla quale noi parteciperemo e interverremo: https://www.linterferenza.info/contributi/idee-sinistra-nazionale-popolare/
            Se poi si vuole essere “rossobruni”, si è liberissimi di esserlo, purchè non si spacci questo con una politica di sovranità, autonomia e indipendenza nazionale che, come scritto nel documento, è stata portata avanti in primis dall’URSS, dalla Cina comunista, dal Vietnam, da Cuba, dall’OLP, dal Venezuela e da tante altre realtà di paesi socialisti o di movimenti anticolonialisti e antimperialisti.
            Quindi è fondamentale non confondere i piani. Battersi per l’indipendenza nazionale non significa affatto essere rossobruni. I rossobruni sono un’altra cosa. Poi che questo termine venga oggi utilizzato, come abbiamo ripetuto all’infinito, per bollare chiunque si si discosti dalle liturgie ideologiche di “sinistra” e politicamente corrette è altro discorso. Dopo di che, venendo al tuo esempio, il problema non è l’ENI, ma chi (e come e per conto di chi e di quali interessi) gestisce l’ENI. Io dubito assai che l’obiettivo dell’ENI sia di redistribuire socialmente i suoi introiti (che derivano da politiche di spoliazione imperialista e non di cooperazione…) e servano a pagare stipendi, pensioni, stato sociale e quant’altro. E dubito assai che l’ENI oggi sviluppi quella politica di cooperazione (e non di spoliazione colonialista) e di scambio che noi auspichiamo. Oggi l’Italia è parte del progetto imperialista UE ed è agli ordini della NATO. Quindi è illusorio o ingenuo pensare che possa sviluppare una politica autonoma nel bacino del Mediterraneo. L’Italia partecipa a pieno titolo, anche se, ovviamente, in una posizione subordinata rispetto ad altre potenze, alle politiche neocolonialiste in Africa. Segnalo questa lunga ma molto interessante analisi che forse è sfuggita: https://www.linterferenza.info/contributi/cosa-va-litalia-niger/
            Quella politica che noi auspichiamo potrà essere fatta soltanto in seguito ad una cambiamento politico radicale. Ripeto, non serve una rivoluzione comunista. Già Mattei, che era un cattolico democratico, con una grande attenzione e sensibilità alle tematiche sociali, sostenitore del principio di indipendenza e sovranità nazionale, un uomo che nei fatti ha combattuto l’imperialismo e il colonialismo, voleva fare quella politica che noi auspichiamo e che per un certo periodo ha fatto. E per quella è stato assassinato. https://www.linterferenza.info/in-evidenza/immigrazione-conflitti-chiudere-le-politiche-neocolonialiste/
            Quindi, non confondiamo il cioccolato con la cacca. Lascia stare i rossobruni. Se poi ti ci senti (vedo che ci batti e ribatti molto, ma lo sai solo tu…) è un altro discorso. Ma qui i rossobruni non c’entrano nulla. Anzi, l’accusa infame di rossobrunismo (come spiegato anche in quel documento di Formenti, Porcaro e Boghetta, cioè tre comunisti col marchio di fabbrica…) serve a gettare discredito nei confronti di coloro che sostengono quella politica (socialista) di indipendenza e sovranità popolare, democratica e nazionale (parte peraltro fondamentale della nostra Costituzione…) di cui parliamo anche noi.

          • gino
            5 aprile 2018 at 11:47

            no, non sono rossobruno.

            1) non concordo con la tua visione sull’eni. l’eni paga in primis alla nazione ospitante fior di quattrini in royalties, che vanno dal 50 al 80% a seconda dei casi. e con questi quattrini poi la nazione ospitante ci può fare belle cose socialiste, com’era il caso della libia dove i cittadini, senza muovere un dito, avevano quasi tutto gratis a spese delle “cattive” multinazionali, come credi che la libia fosse diventata il paese africano a più alto pil procapite? come credi possibile che guarda caso proprio i paesi produttori di idrocarburi sono anche quelli con debito pubblico tendente a zero?
            questa è cooperazione al paese mio.
            non è invece molto cooperante la exxon, che impone ai paesi ospitanti di accettare royalties basse manu militari.
            poi di quello che rimane l’eni paga tasse in italia con cui lo stato italiano VI PAGA stipendi, pensioni, scuola, sanità, ecc.

            2) nel suddetto giacimento in mare aperto, l’eni chi sfrutterebbe? i pesci abissali?

            3) anche ammesso che l’eni sia una perfida multinazionale, nel frattempo che la fate diventare buona cosa si fa nella pratica? lasciamo gli altri fregarci i giacimenti o mandiamo la marina militare?
            anche questi sono problemi che la gente che ragiona vede, e di cui la sinistra si disinteressa (o fa gli interessi stranieri) sulla scorta di vecchie parole d’ordine che non fanno che danneggiare il paese e alla fine ogni singolo cittadino.

  6. Fabrizio Marchi
    3 aprile 2018 at 20:27

    P.S. ricordo altresì che Preve (di cui ero un grande estimatore, al di là dei suoi gravi errori politici e anche teoretici che non ho mancato di sottolineargli) non ha mai abbandonato il concetto di classe, pur sostenendo che borghesia e proletariato non esistevano più come classi per sé, e non aveva mai abbandonato l’orizzonte comunista, pur se sottraendolo alla visione dogmatica del materialisti dialettici ortodossi e sedicenti scientifici. Ed è proprio su questi due punti fondamentali che si è consumata la rottura, anche violenta, con La Grassa (al di là poi delle questioni personali che, come in tutte le cose, hanno il loro peso…) che invece ha proprio chiuso completamente sia con la lotta di classe che con la prospettiva di una trasformazione sociale (e quindi anche con un orizzonte comunista) per msposa in toto la geopolitica. Non si capisce però, a queto punto, a che pro e perchè? Per cambiare padrone? Bah…

    • gino
      3 aprile 2018 at 23:21

      però, tornando alla definizione zecchinelliana, se il rossobrunismo ha abbandonato la questione di classe, dov’è la componente “rosso-“?
      e poi chi decide che un tizio o un gruppo sono rossobruni?
      anche preve era considerato rossobruno da molti…

      • Fabrizio Marchi
        4 aprile 2018 at 8:02

        Infatti la componente “rosso” non c’è. E’ un modo per dare del fascista, cioè per insultare chi si discosta dal mainstream. Dopo di che esiste realmente un fenomeno “rossobruno”, cioè un’area di destra radicale che però sposa alcuni concetti e parole d’ordine dei comunisti, cioè l’antimperialismo, fondamentalmente, più uno pseudo anticapitalismo “culturale”, diciamo così, senza conflitto di classe (il che è una contraddizione in termini, quindi la definizione “zecchinelliana” è corretta…). Ma questi già esistevano 50 anni fa, tipo i nazimaoisti del gruppo Lotta di Popolo e altre frange dell’estrema destra neofascista che teorizzavano il famoso “sfondamento a sinistra” (teorizzato anche da Pino Rauti, leader della minoranza del MSI) e il superamento delle categorie di destra e di sinistra (teorizzato in primis dal fascismo storico…). Solo che non era ancora stato inventato il termine “rossobruni”, così come altri termini. “Femminicidio” , ad esempio, è stato inventato di recente. Ora (da sempre), come dicevo, “rossobruno” viene utilizzato in senso dispregiativo e per marchiare a fuoco chiunque si discosti dal mainstream di “sinistra e politicamente corretto”.

        • gino
          4 aprile 2018 at 13:36

          sì, come viene usato lo sappiamo. e, a seconda di chi giudica, invece di rossobruno ti possono dare direttamente del fascista. che poi è la stessa cosa del dire rossobruno, lo fai anche tu quando riconduci il rossobrunismo in origine alla destra radicale.
          ma alla fine la realtà è che continuiamo a cadere nello stesso errore di sempre di dividerci focalizzando solo i particolari che ci distinguono così facendo il gioco del nemico. a destra sono più intelligenti (e anche più realisti) cercando invece di inglobare e fare alleanze.
          tu critichi la grassa e fusaro, la grassa crtica fusaro perchè si fa pagare le conferenze, fusaro denuncia la grassa per diffamazione, repubblica chiama fusaro direttamente fascista, valerio evangelisti scrive che preve è rossobruno (e quindi fascista, aggiungo) e fa una lista nera con nomi e cognomi su carmillaonline, anche l’antidiplomatico è complottista rossobruno… e vabbè, intanto la gente va a destra…

          • Fabrizio Marchi
            4 aprile 2018 at 15:28

            No, aspetta, io non ho mai preso parte e non ho mai alimentato beghe e litigi di bottega e tanto meno personali. Sia Fusaro che la Grassa li ho sempre criticati nel merito, e questo è del tutto legittimo, anzi, addirittura in un mio articolo ho difeso Fusaro che è attaccato da tutti, proprio perché questi attacchi mi sembravano esagerati e soprattutto ipocriti: https://www.linterferenza.info/editoriali/a-proposito-di-fusaro/
            Ciò detto, le differenze esistono, è inutile che facciamo finta che non esistano. Fusaro vuole mettere insieme fascisti e antifascisti, La Grassa ha messo una pietra tombale sulla contraddizione e conseguente lotta di classe (anche se sopita o disinnescata), Toni Negri è un “cosmopolitista”, più tutti la solita pletora di “sinistri” politicamente corretti e in ultimo i veterocomunisti fermi al Diamat e alle loro Bibbie secolarizzate…
            Che vogliamo fare? Questa è la situazione. E anche questa estrema frammentazione e litigiosità, come l’attuale pace sociale, conferma che le classi dominanti hanno vinto in questa fase storica.
            Ribadisco che io non sono MAI sceso nella polemica personale, anche quando ne avrei avuto occasione, anche quando sono stato insultato o denigrato come il caso dell’altro giorno in cui quell’idiota ottuso, tutto scienza e materialismo dialettico, mi ha dato del rossobruno. Scriverò un breve articolo per spiegare l’accaduto ma senza fare il nome. Perché mi interessa analizzare il fenomeno, non entrare in polemica personale con questo o con quello.
            La Sinistra – parlo ora di quella seria, non tanto di quella attuale – è sempre stata attraversata da divisioni, lacerazioni interne ecc. e questo spesso ha rappresentato un problema. Però c’è anche da dire che per la destra e per le destre è più facile trovare momenti di unità e di sintesi, perché il loro messaggio e i loro contenuti sono obiettivamente molto più semplici. C’è poi anche da dire che quando sono esistiti partiti comunisti molto coesi, se non monolitici, li si accusava di essere stalinisti dove non c’era dibattito. Quando invece in quegli stessi partiti o anche in partiti socialisti ci si divideva e ci si scontrava, dagli tutti a dire che ci vuole l’unità, che non bisogna divideersi ecc.
            Insomma, famo pure pace cor cervello, come si dice dalle nostre parti…

      • Alessandro
        4 aprile 2018 at 15:45

        Sostanzialmente concordo con quanto scritto da Fabrizio. Il termine viene utilizzato a sinistra per screditare gli “eretici”, ossia coloro che non seguono pedissequamente i dettami della sinistra rdicale-antagonista ufficiale, in modo particolare in termini di riflessione geopolitica, condanna senza se e senza ma della Russia putiniana, nonchè di celebrazione del femminismo e dell’immigrazionismo. Il “rosso” è quindi rappresentato dal fatto che queste persone si collocano a sinistra per la loro opposizione al sistema capitalista dominante, per la loro storia e per i loro trascorsi, ecc.,mentre il “nero” è rappresentato dalla loro critica alla versione ufficiale.
        Il termine è quindi una sorta di calderone dove sta dentro di tutto ( le posizioni di Fabrizio Marchi non sono quelle di tanti suoi redattori in termini di geopolitica e anche molto modestamente il sottoscritto, che probabilmente a quell’area verrebbe associato in quanto “eretico”, ha posizioni diverse ancora) e il comun denominatore è rappresentato da quanto sopra.
        Anche un Giulietto Chiesa, per questioni di riflessione geopolitica, viene associato all’area del rossobrunismo, ma su altre questioni la pensa diversamente da altri “rossobruni”.All’interno di questo presunto mondo c’è, quindi, chi si occupa meritoriamente, per esempio, di questioni di genere e chi se ne frega altamente e magari sposa, sia pure in maniera non esplicita, quelle “ufficiali”, anche in questo giornale accade. Di conseguenza non darei molto peso alla cosa proprio per la sua totale indterminatezza.
        Invece molto più interessante è capire perchè tutta questa intransigenza nel valutare persone che hanno opinioni divergenti su questi temi anche dopo una batosta elettorale che dovrebbe suonare come una sveglia per aprire un dibattito franco su tutto.
        Il clima è invece quello di un greve conformismo ideologico in tutto il mondo della sinistra, che condanna all’emarginazione chiunque non si accodi e che mi ha spinto a prenderne le distanze.
        P.s.: la condanna della Russia di Putin di cui sopra non è tanto per i metodi “repressivi” interni adottati o per quelli in politica estera in risposta all’espansionismo a stelle strisce, quanto perchè il suddetto leader non opera nella direzione pro femminista e, in seconda battuta, pro gay, che sono entrambi dei “must” per l’attuale sinistra radicale-antagonista.

        • Fabrizio Marchi
          4 aprile 2018 at 15:56

          Bè no, posso garantirti che nessun redattore dell’Interferenza o stretto collaboratore è femminista. Nessuno. Al contrario. Poi c’è qualcuno che si disinteressa al problema ma sicuramente condivide in linea di massima le nostre posizioni e comunque non è femminista. Anche perché dubito che sceglierebbe di avere noi come compagni di strada e addirittura di far parte della redazione… 🙂 Su questo stai tranquillo… 🙂
          Per il resto, in lnea di massima c’è una sostanziale omogeneità politica e di vedute fra tutti noi, anche se ovviamente ci sono opinioni diverse su alcune questioni, come è giusto che sia…

  7. Fabrizio Marchi
    4 aprile 2018 at 15:43

    Segnalo che il CRS (Centro per la Riforma dello Stato), che fu presieduto da Pietro Ingrao, Pietro Barcellona e Mario Tronti, e ora presieduto da Maria Luisa Boccia, ha pubblicato nella sua rassegna stampa mensile, il nostro articolo “Morti sul lavoro: una tragedia di classe e di genere”. Maria Luisa Boccia è una veterocomunista femminista. Nel comitato scientifico c’è anche Ida Dominijanni, indiscussa ideologa, insieme alla Muraro, del femminismo della differenza.
    Le cose sono due: o hanno solo il titolo senza leggere l’articolo, e quindi danno per scontato che anche i morti sul lavoro siano donne (viene da ridere ma ormai sono pronto a tutto…) oppure qualche birbone che ha fatto la rassegna stampa lo ha inserito lo stesso. Aggiungo che non è casuale il fatto che non abbia inserito “tragedia di genere maschile”, proprio perché volevo o pensavo di incuriosire i lettori.
    Chissà se qualcuno lo leggerà e ci saranno delle reazioni.
    Magari gli si potrebbe scrivere e proporre un confronto (che mai ci sarà ma questo è un altro discorso…)

  8. ARMANDO
    5 aprile 2018 at 9:18

    Vi faccio una domanda: il PCFR (partito comunista della federazione russa), quello di Zjuganov e che, avendo candidato un soggetto a quanto pare non esattamente affidabile, è comunque arrivato secondo alle ultime elezioni presidenziali russe, come potrebbe essere definito?

    • Fabrizio Marchi
      5 aprile 2018 at 9:43

      Sì, però così, caro Armando, non se ne esce…Credo che ormai dovremmo esserci capiti. Se poi ci vogliamo sentire “rossobruni” è un altro discorso. Mi pare di aver chiarito la questione anche nell’ultima risposta a Gino.
      Dopo di che il PCFR è un partito che va appunto contestualizzato come tutte le cose devono essere contestualizzate. Il PCFR fa parte integrante della società russa attuale, è il secondo partito dopo quello di Putin, ed è un partito che ha le sue peculiarità che gli derivano dal fatto di appartenere ad un contesto specifico che è l’attuale società russa. Non sto ora a fare l’analisi dell’attuale società russa perché credo che sappiamo in linea di massima cosa sia. E’ quindi evidente che, ai nostri occhi di occidentali, anche il PCFR può avere caratteristiche (penso alla sua impronta fortemente nazionalista, legata alla tradizione culturale russa) che a noi (intendo, a dei comunisti o marxisti occidentali o anche solo dei socialisti) possono non piacere se le decontestualizziamo (e quindi facciamo dell’astrazione). Se le contestualizziamo, il discorso cambia. E’ evidente che un partito comunista o socialista di un paese occidentale avrò caratteristiche necessariamente diverse da quelle della Russia o di un paese asiatico o sudamericano ecc. Ma in fondo è sempre stato così anche se i dogmatici hanno sempre battuto sul tasto della necessità di uniformarsi ai dettami di un presunto marxismo-leninismo immobile e invariato nel tempo. Sappiamo perfettamente che il PCC cinese di Mao era completamente diverso da quello sovietico, così come lo era quello cubano. E quello italiano lo era ancora di più. Per non parlare dei PC arabi o di tante altre realtà del mondo.
      Le posizioni del PCFR possono essere comprese solo contestualizzandolo, come è giusto che sia. Ma noi non siamo in Russia, siamo nel cuore del mondo capitalista occidentale e quindi è evidente che una forza comunista dovrà avere necessariamente delle caratteristiche in alcuni casi anche molto diverse. Ciò detto, questo non significa che tutto quello che fa il PCFR sia giusto. Io credo invece che corra il rischio che il suo carattere di partito fortemente nazionale tenda a prevalere sul suo essere un partito comunista. E questo è o sarebbe un errore, dal mio punto di vista, perché le cose devono sempre essere in equilibrio, altrimenti si scivola nel trasformismo e nell’opportunismo, cioè nel venire meno ai propri ideali pur di stare a galla. Il PCFR si è giustamente adeguato alla nuova realtà russa (così come si adeguò il PCI italiano alla realtà italiana) ma deve stare attento perché potrebbe perdersi, così come infatti si è perso anche il PCI italiano…E questa sarebbe una sciagura così come è stata una sciagura l’involuzione dei partiti comunisti occidentali che ha finito per travolgere tutta la sinistra, con gli effetti che ben conosciamo…
      P.S. un partico comunista dello Yemen potrà avere le stesse caratteristiche di un partito comunista della Germania o degli USA?…

    • Fabrizio Marchi
      5 aprile 2018 at 9:59

      Aggiungo che se noi applicassimo ad una forza socialista/comunista di un paese occidentale le stesse categorie di una forza comunista russa o di un paese dell’Asia centrale, è evidente che avrebbe un suo senso anche la critica di “rossobrunismo”. Se trapiantassimo, pari pari, il PCFR alla realtà europea occidentale, è evidente che l’accusa di “rossobrunismo” potrebbe a avere un suo senso. In realtà, appunto, questa accusa viene lanciata a sproposito e strumentalmente per bollare chi invece cerca proprio di ricostruire le basi di una possibile forza socialista all’interno del contesto occidentale. Mi sembra che il documento di Formenti, Porcaro e Boghetta sia valido, anche da questo punto di vista. Vedremo se saranno capaci di accettare o di ricomprendere al proprio interno anche quelli come noi che gli spadelleranno sul piatto la critica al femminismo e all’ideologia politicamente corretta. Ci conoscono molto bene, sia chiaro, e mi sono già prenotato per intervenire. Vedremo quali saranno le reazioni. Dovrò concentrare tutto in dieci minuti. Dirò chiaramente che oggi una forza di classe, comunista, popolare e democratica occidentale non può non operare una cesura netta con l’ideologia politicamente corretta e con il femminismo. Se non lo facesse si troverebbe in una contraddizione strutturale che la minerebbe alle fondamenta.

      • ARMANDO
        6 aprile 2018 at 16:04

        Infatti la mia domanda, evidentemente strumentale, era atta a far emergere l’assurdità e l’inconsistenza di certe definizioni, come appunto quella di rossobrunismo che viene elevata a categoria metafisica per bollare chiunque non accetta incondizionatamente il capitalismo liberal/liberista com’è oggi.

        Auguri sinceri per il tuo intervento. Credo ne avrai un gran bisogno.

        • Fabrizio Marchi
          6 aprile 2018 at 16:55

          Ma, sai, avrò dieci minuti a disposizione, non di più (come tutti, a parte le relazioni introduttive), quindi dirò pochissime cose, molto semplici, elencando i dati reali (morti sul lavoro, padri separati, popolazione carceraria, sucidi per perdita di lavoro, abbandoni nella scuola primaria, marginalità sociale e ricoverati alla Caritas ecc.) e poi chiedendo “socraticamente” se questa è la condizione di quelli che vengono considerati privilegiati e dominatori. E se non è il caso di cominciare a pensare che forse è l’ora di rimettere mano ad una narrazione ideologica sposata in toto da tutte le sinistre (e non solo, ma a noi nel caso specifico interessa la sinistra…) che non mi pare abbia sortito poi l’effetto di aggregare chissà quali masse popolari…
          Insomma, pochi minuti non sono sufficienti per volare altissimo, meglio restare nella prassi, nella concreta realtà…mi pare che questo taglio sia più efficace…Dopo di che, ragazzi, noi ci proviamo, se sono intelligenti (Formenti non è certo uno stupido e neanche gli altri promotori…) non si chiudono a riccio. Io non pretendo che si aderisca alle nostre posizioni, figuriamoci, ma che almeno se ne possa discutere, senza tabù e senza essere bollati come normalmente avviene…

          • ARMANDO
            6 aprile 2018 at 18:44

            Credo che alcuni fra i promotori possano senz’altro essere d’accordo. Poi che prendano posizione pubblicamente è altro discorso.

  9. Fabrizio Marchi
    5 aprile 2018 at 13:03

    @Gino: ma infatti è stata fatta la guerra alla Libia (oltre che per impedire la penetrazione cinese nell’area) e l’Italia è stata estromessa o comunque messa in una posizione di minoranza. Ovvio che la Libia avesse i suoi interessi ad avere un rapporto privilegiato con l’Italia. Dopo di che la Libia redistribuiva socialmente gli introiti. Certo, parzialmente avveniva anche in Italia, questo è ovvio. In termini assoluti è ovvio che le popolazioni dei paesi capitalisti occidentali traggono anch’esse dei vantaggi dalle politiche coloniali e imperialiste. Non è mica la scoperta dell’acqua calda… le condizioni del lavoratore medio di un paese occidentale sono enormemente migliori di quelle di un lavoratore medio di un paese africano, asiatico o sudamericano. E’ ovvio che anche le classi dominanti di un paese capitalista occidentale (quindi non del Guatemala) per mantenere la pace sociale e un certo tasso di consenso o comunque di acquiescenza al sistema devo redistribuire una parte degli utili. E’ evidente. Ma il discorso non cambia. Dai, ragazzi, non perdiamoci sempre in polemiche infinite, tanto abbiamo capito come la pensiamo, è inutile ogni volta stare a insistere, e a contro insistere, e a battere e a ribattere. Mi pare che ci siamo capiti. A meno che veramente non abbiamo un cazzo da fare, visto che dici che frequenti (me li hai anche elencati una volta) una cinquantina di blog…Beato te, che ti devo dire…

    • gino
      5 aprile 2018 at 16:16

      mica li frequento tutti tutti i giorni…
      ma la cosa che ho scritto (l’eni è solo un esempio) mi pare della massima importanza: dare addosso alle imprese (di stato per giunta) nazionali fa male alla “classe” e favorisce imprese estere.
      è un concetto che non mi pare una perdita di tempo.

      • Fabrizio Marchi
        5 aprile 2018 at 18:25

        bah…che ti devo dire, ho l’impressione che qualsiasi cosa io ti scriva o ti risponda tu prosegua per la tua strada come se ti sfiorasse o non leggessi quello che uno si sforza di dirti…
        Comunque, non te la prendere, ma secondo me in te c’è anche una componente di destra (che non significa fascista, io non butto le cose lì a vanvera), e neanche marginale. Nulla di male, sia chiaro, sarebbe legittimo. Ora non te la prendere, ho solo detto quello che penso. Poi le cose le sai tu. A me quando mi insultano e mi danno del reazionario, rossobruno ecc. mi scivola addosso, perché so che è quanto di più lontano dal vero. Insomma, se mettiamo insieme tutto quello che dici – compreso il tuo insistere sul fatto che gli immigrati stuprano 5 volte più degli autoctoni, cosa che viene strombazzata dalla destra e dai leghisti in particolare per sostenere le loro politiche anti immigrazione – secondo me il profilo che ne emerge non è proprio quello di un comunista o di un socialista. Ripeto, nulla di male, mica è un delitto non essere comunisti o socialisti ed essere di destra. A volte succede pure che uno non si conosce veramente fino in fondo. Però, voglio dire, io ad esempio non prenderei mai come cavallo di battaglia per una discussione contro femministe/i e politicamente corretti, il fatto che gli immigrati commettono più violenze sessuali rispetto agli autoctoni. E con questo? Dove vogliamo andare a parare? Abbiamo scritto fiumi di inchiostro anche su queto. La “sinistra” politically correct criminalizza i maschi autoctoni eterosessuali, e la destra invece criminalizza i maschi extracomunitari. Questa è un posizione corretta e anche socialista. Il resto è mainstream, di destra o di “sinistra”…Ecco, leggi questo: https://www.linterferenza.info/editoriali/3116/ e questo https://www.linterferenza.info/editoriali/immigrazione-e-femminicidio/ Tu mi dirai che volevi soltanto controbattere ai “sinistri” ma io non lo avrei mai fatto con quell’argomentazione, e non per “buonismo” ideologico, sia chiaro, ma perchè non è quella la strada e, detto fra noi, anche se il discorso è scabroso (ma noi siamo qui per riflettere senza ipocrisie e non per prenderci per il culo) posso anche immaginare le ragioni per le quali (cosa che devo comunque verificare ma anche se fosse, ripeto, non mi scandalizzerebbe di certo) tra gli immigrati possa esserci un tasso di violenza superiore nei confronti delle donne. Il che non significa affatto giustificare (così come non giustifichiamo certo quelle commesse dagli autoctoni ) ma solo capire. Quale può essere secondo voi la condizione sessuale e psicologica di un immigrato in un paese occidentale? E’ forse in grado di vivere una sessualità libera e disinvolta? Non la viviamo noi autoctoni che ci dobbiamo sbattere per una scopata, figuriamoci un immigrato che è visto da tutti, in primis dalle donne, come un individuo di serie C. Anzi, non è proprio visto, è come se fosse invisibile, consapevole di essere considerato un individuo di serie C. E questo secondo voi non genera violenza? Certo che sì, ed è inevitabile. Solo che queste cose non si possono dire. Si può dire, ad esempio, che un poveraccio dei bassifondi napoletani tende a delinquere di più rispetto ad un benestante di un quartiere bene di Milano (anche a diventare un criminale e assassino), perchè questo discorso è socialmente accettato. Ma non si può dire che un emarginato tende maggiormente ad agire in modo sessualmente violento perchè questo discorso invece non è socialmente accettato. Eppure proprio Pasolini, citato ormai da tutti, quando ci fu lo scandalo del Circeo dove un gruppo di pariolini violentò e massacrò due povere ragazze, disse che di episodi di violenza sessuale nelle borgate se ne consumavano tutti i giorni…Solo che Pasolini era Pasolini e la sua fama faceva sì che anche il sistema tollerasse ciò che diceva e anzi glielo faceva pure scrivere sulle pagine dei più grandi quotidiani, e a noi invece ci fanno un mazzo tanto…

        • gino
          5 aprile 2018 at 21:02

          ecco, vedi? sei come quelli che ti danno del rossobruno. come volevasi dimostrare, eheheh.
          quella cosa VERA che ho scritto t’ha dato ai nervi e quindi “ho una non marginale componente di destra”.
          che ti devo dire? se essere di sinistra significa dire bugie o omettere verità, allora sarò di destra… ed è quello che in termini macro sta facendo la gente.
          ovviamente non pubblicherai questa replica, ma so che poi ci penserai su: non è questa la strada giusta per uscire da quell’1.1%.

          • Fabrizio Marchi
            6 aprile 2018 at 0:00

            Fai finta di non voler capire quello che dico perché sei un polemista e anche un provocatore. Non ho detto affatto che non bisogna dire la verità. Ho detto che se anche fosse vero (lo verificherò) che gli immigrati commettono violenze sessuali in misura 100 volte superiori agli autoctoni, il punto non sarebbe quello e mai lo userei per contrastare i “sinistri” politicamente corretti. Tu invece lo utilizzi perché fondamentalmente sei un uomo di destra, anche se forse non riesci ad ammetterlo a te stesso. Punto. E, ripeto, se sommiamo tutte le cose che hai detto fino ad ora su questo giornale, il profilo che emerge non è certo quello di un comunista o di un socialista. E non mi dire che qui siamo di “sinistra” e politically correct perché NON lo siamo affatto e lo sai benissimo.
            Accettati. Non è una colpa essere di destra. E’ sbagliato, dal mio punto di vista, ma non è una colpa.
            Ora però direi di andare oltre perché sinceramente questo batti e ribatti che con te è inevitabile per ovvie ragioni (caratteriali, oltre al fatto che io sono un comunista e tu sei di destra) e che potrebbe, per altrettanto ovvie ragioni, proseguire all’infinito, mia ha decisamente rotto i coglioni, anche perché è sterile e non porta a nulla. Poi tu non hai nulla da fare ma io sì, quindi anche volendo non potrei seguirti su questa strada.

  10. Ian_B
    11 maggio 2018 at 11:44

    Buongiorno.
    I dati che lei cita sono corretti, ma il suo ragionamento suscita in me una perplessità.
    Lei giustamente fa notare che la maggior parte dei morti sul lavoro sono di genere maschile e che nonostante ciò non ci sia una mobilitazione o un’indignazione “di genere” in reazione a questo dato.
    Tra i commenti qualcuno fa notare, altrettanto giustamente, che “la mortalità sul lavoro è intrinsecamente legata (connaturata) al rischio che quelle specifiche mansioni determinano”.
    Credo che il punto sia proprio questo: non è all’appartenenza di genere che vanno ascritte le morti sul lavoro, ma alla pericolosità del lavoro svolto. Forse è questo il motivo per cui non emerge il risvolto di genere, ma solo quello di classe, nella narrazione pubblica (rara e scandalosamente superficiale) che si fa su quest’argomento.
    Chi invoca la parità di genere sul posto di lavoro lo fa per quelle situazioni in cui, a parità di condizioni di partenza, si realizzano delle differenze unicamente legate al genere (e quindi giudicate discriminanti). Prendiamo ad esempio il gender pay gap: a parità di mansioni svolte e di capacità, una donna percepisce mediamente un salario inferiore rispetto a un uomo.
    Un saluto.

    • Fabrizio Marchi
      11 maggio 2018 at 14:51

      Mi scusi ma anche lei è purtroppo – involontariamente (si capisce dal suo atteggiamento dialogante e non polemico) – vittima della propaganda ideologica dominante.
      Non è affatto vero che le donne a parità di mansione e qualifica percepirebbero un salario inferiore agli uomini. Si tratta di una gravissima e clamorosa falsificazione della realtà che abbiamo spiegato in tanti articoli. Mi limito a segnalargliene alcuni con la preghiera però di leggerli con attenzione:
      https://www.linterferenza.info/attpol/islanda-laboratorio-del-femminismo-europeo/
      https://www.linterferenza.info/attpol/un-racconto-maschile-classe/
      Questa invece è un’intervista radiofonica:
      https://www.linterferenza.info/radio/gender-pay-gap-stanno-realmente-le-cose/
      Per quanto riguarda i morti (tutti maschi) sul lavoro, in tutta sincerità trovo a dir poco paradossale il suo ragionamento. Lei dice che la mortalità sul lavoro è legata alla pericolosità del lavoro e non al genere. Appunto. Sono gli uomini a fare sempre, comunque e dovunque i mestieri più rischiosi e purtroppo mortali. Qualcosa vorrà pur dire, o no? Non le suscita nessuna riflessione questo fatto?
      E’ possibile sostenere che i maschi, in quanto tali, sono sempre in una condizione di privilegio e di dominio, quando sono loro e soltanto loro a morire sul lavoro, e quindi a svolgere i mestieri più duri, pesanti, usuranti e nocivi per la salute, e purtroppo per la vita stessa?
      Tutto ciò non suscita in lei nessun tipo di riflessione? Ci provi…

  11. Paolo
    27 novembre 2018 at 19:04

    Il titolo è assurdo quanto inutile: Tragedia di Classe e di Genere?
    I morti sono morti e non ritornano più nei loro corpi. C’è da domandarsi dove siano i vari ispettori dell’INAIL e dove le forze sindacali.

Rispondi a mauro recher Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dichiaro di essere al corrente che i commenti agli articoli della testata devono rispettare il principio di continenza verbale, ovvero l'assenza di espressioni offensive o lesive dell'altrui dignità, e di assumermi la piena responsabilità di ciò che scrivo.