Onnipotenza astratta e concreta impotenza

insPhoto_1391906955501[2]Sto leggendo, fra gli altri, la “Nuova storia alternativa della filosofia” di Costanzo Preve, e ho trovato questo passaggio che a mio parere è molto interessante e che riporto (pag. 90):

“Socrate era del tutto estraneo a questa situazione storico-sociale, che più tardi Lukacs nella sua “Ontologia dell’ essere sociale, definisce”onnipotenza astratta e concreta impotenza”. E mai definizione fu più esatta e geniale, in quanto l’ “onnipotenza  astratta”  di poter dire quel che si vuole (o quasi; si può infatti riempire di fango tutto, da Dio al comunismo al sesso maschile, ma non discutere la problematica dell’olocausto ebraico) si coniuga alla “concreta impotenza” di intervento sui meccanismi anonimi della globalizzazione economica, dell’impoverimento e della precarietà sociali di massa,  della distruzione ecologica del pianeta,  ed infine sui processi di istupidimento antropologico di massa prodotti dalla sinergia di circo mediatico, pulsione consumistica e distruzione della scuola”.

Il capitolo in oggetto, propone una comparazione, come spesso usa fare Preve, fra un contesto antico (il pensiero greco-classico, assieme a quello hegeliano e marxiano, rappresenta per lui un punto di riferimento fondamentale) e quello attuale.

Preve, in buona sostanza, ci dice che la libertà illimitata di dire ciò che vogliamo (l’”onnipotenza astratta”) di cui godiamo oggi nell’attuale contesto storico e sociale è direttamente proporzionale alla nostra “concreta impotenza”, cioè alla nostra impossibilità di intervenire concretamente sulla realtà e di trasformarla.  E’ proprio in virtù di questa nostra “concreta impotenza” che noi possiamo godere dell’“astratta onnipotenza” di dire tutto ciò che vogliamo (con i limiti di cui sopra…).

Ciò è potuto avvenire perché il capitalismo – come abbiamo già spiegato in altre occasioni – è stato “naturalizzato”, e da forma storica dell’agire umano  è stato eretto a vera e propria dimensione ontologica.  Da qui l’impossibilità (implicita) di sottoporlo a critica strutturale (come si può infatti mettere in discussione ciò che è parte organica dell’ordine naturale delle cose?), e soprattutto di intervenire concretamente sulla realtà (la società capitalistica) e di trasformarla.   Da questa “impossibilità”  ne deriva conseguentemente la “possibilità” (libertà formale) di dire tutto e il contrario di tutto (“onnipotenza astratta”), perché quel “dire tutto e il contrario di tutto” che l’attuale sistema dominante ci consente, per sua stessa natura, non ha nessun potere e nessuna capacità di condizionamento sulla realtà. E’ in questo modo che il dibattito filosofico (che godeva in altri tempi e in altri contesti storici) di uno statuto veritativo, è stato ridotto a “chiacchiera”, a “carosello di opinioni” (l’una vale l’altra…) o a mera tautologia. E’ la logica del relativismo assoluto che convive serenamente , non a caso, con la realtà attuale, cioè con il sistema capitalistico “naturalizzato” e quindi di fatto anche “eternizzato”. Il dibattito filosofico, ridotto  a “chiacchiera”, a carosello di opinioni, risulta ovviamente innocuo. E’ per questa ragione  che oggi possiamo dire tutto e il contrario di tutto, anche di criticare il sistema capitalistico dominante, per la semplice ragione che quella critica è stata devitalizzata alla radice, nel momento in cui è stata espropriata del suo potenziale contenuto veritativo (e ridotta, appunto, a chiacchiera).

Con dei limiti però, come spiega in quelle brevissime ma pesantissime righe  lo stesso Preve: il sistema consente di gettare fango su Dio (l’etica), sul comunismo (la possibilità di trasformare la realtà e di superare il capitalismo) e sul sesso maschile (la cui storia è stata ridotta dall’ideologia femminista ad una sorta di museo degli orrori e di ogni nefandezza possibile e immaginabile) ma non ad esempio sulla problematica dell’Olocausto e della questione ebraica nel suo complesso, che è parte integrante e fondamentale del racconto ideologico dominante così come la narrazione femminista. Infatti è evidente –riprendendo le parole di Preve – che se è lecito gettare fango sul sesso maschile, è implicito che non lo è su quello femminile.

E’ evidente quindi che il paradigma dominante (capitalismo “naturalizzato”, “ontologizzato” ed “eternizzato”/dibattito filosofico ridotto a chiacchiera/concreta impotenza/onnipotenza astratta)  che pure funziona egregiamente, contiene delle aporie. Perché su alcune questioni -questione ebraica e questione femminile (rivisitata dalla narrazione femminista divenuta parte dell’ideologia dominante) – anche se non “naturalizzate” (come è per il capitalismo), è impossibile pronunciarsi in modo critico essendo considerate dei veri e propri tabù. Infrangerli (cioè sottoporli a critica) significa andare incontro alle accuse infamanti di negazionismo, antisemitismo, “rossobrunismo”, maschilismo (anche nel caso in cui ci si dichiarasse apertamente marxisti, o socialisti o anarchici, o anche liberali non ci si sottrarrebbe all’accusa e alla condanna già scritta…) , e naturalmente all’emarginazione, all’esclusione e all’isolamento sociale e politico, alla chiusura degli spazi professionali e ad ogni genere di ostracismo. Questo è ciò che il sistema ha in serbo oggi  per i dissidenti “ideologici”, essendo talmente potente da non avere necessità di ricorrere a strumenti fisicamente coercitivi. Il totale “silenziamento” mediatico di coloro che lo criticano (e non si limitano a fingere di criticarlo…), il senso di colpa, la vergogna (per il carattere “infamante” delle critiche mosse..)  e il terrore dell’esclusione e dell’isolamento sociale sono a tutt’oggi sufficienti per frustrare alla radice una critica radicale e strutturale al sistema stesso e alle sue propaggini ideologiche.

Il paradigma dominante di cui sopra presenta dunque delle contraddizioni, che potrebbero in teoria rappresentare i suoi punti deboli (e che invece rappresentano per ora proprio i suoi punti di forza, per lo meno finchè la logica del tabù risulterà efficace). La questione ebraica e quella femminile (versione femminista) sembrerebbero infatti non avere nulla a che fare l’una con l’altra, ma se osserviamo con più attenzione ci accorgiamo che presentano in realtà degli aspetti comuni.

Infatti, il senso di colpa interiorizzato dagli europei per la tragedia della Shoa è ciò che consente allo stato di Israele di fare il bello e il cattivo tempo, che gli garantisce totale impunità e che paralizza sul nascere ogni iniziativa politica tesa ad una reale soluzione politica della questione israelo-palestinese (cioè la brutale occupazione a cui da cinquant’anni è sottoposto il popolo palestinese).

Da un punto di vista concettuale (anche se si tratta appunto di questioni completamente diverse) il senso di colpa inestinguibile instillato nella coscienza collettiva degli europei è esattamente lo stesso di quello- altrettanto inestinguibile – che è stato instillato nella coscienza e nella psiche dei maschi occidentali.

Questo senso di colpa scientemente instillato conduce inevitabilmente alla paralisi. Lo stesso approdo a cui conduce il processo di “naturalizzazione” del capitalismo (e l’impossibilità del suo superamento).

In conclusione (e in estrema sintesi), siamo di fronte ad una strategia di controllo e dominio sociale (altamente sofisticata) posta in essere da un sistema altrettanto sofisticato (e con grandi capacità camaleontiche…) che si muove agilmente su diversi piani: ideologico, psicologico, e naturalmente economico, sociale e politico.

Agli uomini e alle donne di buona volontà, mi verrebbe da dire, e soprattutto liberi/e dal ricatto e dalla paura, il difficilissimo compito di smascherarlo.

3 commenti per “Onnipotenza astratta e concreta impotenza

  1. Nicola
    16 settembre 2014 at 15:52

    Anche a me ha fatto molto riflettere questo passaggio di Preve. E devo dire che sono arrivato alle tue stesse conclusioni.

  2. Rita C.
    16 settembre 2014 at 17:07

    E’ come trovarsi di fronte ad una frana che ha creato un dirupo profondissimo e per andare al di la sarà necessario picconare la terra sotto i nostri piedi. Quella terra è fatta di chiacchiere ma anche di parole; le teorie e le certezze che hanno generato quelle parole sai che sono certe, ma le parole per dirle hanno perso il senso, sono ‘franate’, non comunicano più niente, eppure la necessità di comunicare è ancora potente e si manifesta proprio in quel continuo ed inutile chiacchierare!
    non so se il termine smascherare sia sufficiente. per smascherare avremmo bisogno di un linguaggio diverso. questa è la sfida?

  3. 16 settembre 2014 at 18:47

    A me sembra che spesso tutte queste chiacchiere siano più che inutili. Credo che il motivo di ciò sia che la gente sta perdendo la fede, non necessariamente in Dio… la fede negli ideali. Quando non si hanno dei principi concreti secondo cui vivere, dalla bocca escono le chiacchiere.

    Sull’immunità culturale di criticare una donna, non ho molto da aggiungere. Madre, figlia, sorella… le parole con cui spesso si difende una donna… come se quell’uomo – maschietto (definito da molte) non fosse un padre, figlio e fratello.

    Jan

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