Accordi al Cairo o nuova fase della soluzione finale ?

La nuova tregua, raggiunta da pochi giorni al Cairo, fra Israele e i rappresentati del popolo palestinese mi spinge a fare delle nuove riflessioni sulla questione e sulla strategia che l’imperialismo israeliano sta perseguendo.
La Nota seguente esprime alcune perplessità sulla natura di tale accordo e getta qualche domanda sul futuro che, stante l’indirizzo aggressivo del governo israeliano, non  induce ottimismo per le prospettive democratiche e progressiste.
Una cosa è certa: le dinamiche conflittuali nella regione stanno provocando dei forti cambiamenti sociali e, conseguentemente, politici.
Hamas pare abbia accettato le condizioni di Abu Mazen e di El Sisi. Ciò, secondo il capo dell’Autorità Nazionale Palestinese, dovrebbe permettere a quest’ultima di imputare Israele alla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità.
È una ben magra consolazione, per i motivi che seguono:
(1) Gli Stati Uniti si stanno riavvicinando all’Iran che, come è chiaro, non è più quello di Ahmadinejad e potrebbe far venir meno l’appoggio ai movimenti di liberazione nazionalei quali, pur utilizzando la ‘guerra di guerriglia’, hanno anche necessità di ricevere ( si pensi all’Angola o prima ancora all’Algeria ) armi pesanti. Un riallineamento iraniano potrebbe avere forti conseguenze sulla Palestina occupata e spostare totalmente le dinamiche del conflitto, dalla alternanza lotta armata -che coinvolge il popolo e rafforza l’identità nazione- e negoziati a negoziazione tra elites diplomatiche. Questo di certo conviene allo stato sionista perchè Hamas potrebbe venir riassorbita dentro le condizioni di ‘Oslo 1993’ contro cui, guarda caso, si era affermata.
(2) El Sisi da un lato e l’ISIS dall’altro si confermano, in pieno, due strumenti di Israele e prima ancora dell’imperialismo statunitense.
El Sisi ha dato un contributo fondamentale all’assedio di Gaza. Il generale islamofobo ha condotto una crociata anti-islamica interna con esecuzioni e condanne mirate sia di militanti vicini ad Hamas che agli Hezbollah.
L’ISIS, dell’agente del Mossad Shimon Elliot, considera le Brigate Al Qassam -di Hamas- il nemico numero uno da combattere. Perciò l’ISIS è stato un grande “affare” per Israele considerando che:  (1) la propaganda sionista l’ha usato per alimentare l’islamofobia occidentale mettendo dentro un unico calderone l’ISIS, gli Hezbollah, Hamas e la Jihad islamica palestinese;  (2) la Siria baathista, l’unico Stato antimperialista della regione, è stata militarmente indebolita dalle scorribande wahabite appoggiate dal Mossad;  (3) una militarizzazione statunitense della regione riproporrebbe il progetto della Grande Israele.
Insomma, le lobby sioniste “globali” (sionismo a-territoriale) – e qui torna utile l’argomento trattato da James Petras nel suo saggio sul rapporto fra Usa ed il sionismo –, influenzando la politica estera nord-americana per offrire grandi benefici al sionismo territoriale quindi ad Israele. A spese di chi ? E’ chiaro, non solo dei palestinesi ma di tutti i popoli arabi.
(3) L’occidente solidarizza con i palestinesi solo in quanto vittime, ma non appoggia la Resistenza araba. La sinistra sionista, quindi, ricompare e ripropone la soluzione dei due Stati dicendo: “Israele è anti-democratica nelle colonie e negli insediamenti, ma, tolti di mezzo i coloni razzisti possiamo avviare un grande processo di democratizzazione interna.”
Tale illusoria prospettiva ha ipnotizzato la sinistra occidentale che, per l’ennesima volta, ha rimosso il dato preliminare di  Israele nato e cresciuto come Stato per soli ebrei e, quindi, il problema se uno Stato razzista, ha ancora diritto di esistere. Il problema rimosso riguarda il nesso, ineludibile, fra razzismo e colonialismo. Una sinistra che per difendere convenienze “occidentali” ignori tale nesso è destinata a non avere alcun ruolo internazionale.
(4) Molti governi latino-americani, storicamente filo-israeliani, hanno offerto, in questo tragico frangente, solidarietà al popolo palestinese. Questo è un altro elemento che è emerso dall’assedio di Gaza che si vorrebbe concluso con gli accordi raggiunti al Cairo.
In proposito sorge una domanda: che se ne fanno i palestinesi della solidarietà di chi, come Humala e la Bachelet, collabora attivamente con il Mossad ? Molti governi moderati, come quello argentino e quello brasiliano, sono stati critici con Israele ma, a quanto pare, solo due Stati latino-americani hanno rotto le relazioni diplomatiche con l’entità sionista: Venezuela e Bolivia. Non a caso quelli più coerentemente anti-imperialisti.
Chi volesse approfondire, tale aspetto di solidarietà terzomondista, può leggere eldiario International, vicino alla sinistra anticapitalista peruviana, in sui si legge:

El caso de Brasil es sintomático. En los últimos días, Dilma Rousseff había condenado el “uso desproporcionado” de la fuerza de Israel y llamó a consulta a su embajador en Tel Aviv, lo que le valió el calificativo de “enano político” por parte de un vocero israelí. Por si acaso, Dilma aclaró que “las relaciones no sufrirán ruptura“.
Pero detrás de este cruce diplomático, se esconde la “verdá de la milanesa”: Brasil es el principal socio comercial de Israel en la región. Según un informe de la organización Stop The Wall, en los últimos 12 años el intercambio entre ambos países llegó al billón de dólares. El rubro principal, la maquinaria bélica. Con la compra de vehículos blindados, aviones de ataque A-1, satélites, sensores, aviones no tripulados, etc, Brasil se convirtió en el quinto mayor importador de armamento israelí.

In questo contesto di ipocrisia sorgono alcune domande conclusive: L’ANP vuole procedere per vie legali ma cosa otterrà se lo stato di assedio permane ?
Possiamo ipotizzare che molti palestinesi possano usare questo ponte Sud America – Abu Mazen per ottenere la cittadinanza in uno di questi paesi ‘critici’ verso Israele ? Non dico il Perù di Humala ma il Brasile della Roussef di certo sì!
In questo modo Abu Mazen si laverebbe la coscienza, la signora Roussef continuerebbe a passare per progressista ed il Likud manderebbe avanti una ‘soluzione finale’ morbida.
Insomma, dall’ ‘Hitler ebreo’ si passerebbe ad una forma soft di pulizia etnica e tutto andrebbe avanti con l’ignavia della Comunità internazionale. È legittimo o fantasioso pensare a questo scenario di “deportazione” ? Lancio la domanda e gli avvenimenti futuri saranno la risposta.

……
Articoli consultati:
1) Gerardo Szalkowicz, Brasil es el principal socio comercial de Israel en la region, eldiario international

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