Donald Trump fra isolazionismo e imperialismo

L’elezione di Donald Trump alla presidenza Usa, contro ogni previsione e soprattutto a dispetto della meglio “fornita” candidata di Wall Street, Hillary Clinton, ha un retroterra politico e culturale che va analizzato con cura, lasciandoci alle spalle gli schiamazzi delle rispettive tifoserie acritiche e ideologicamente schierate.  Questo giornale ha invece da sempre scelto la strada dell’analisi lucida della realtà al fine di poterla meglio comprendere. Anche a tal fine, e per avere un quadro più completo della situazione in seguito alle vicende di cui sopra, abbiamo contattato il professor Diego Siragusa, docente di Storia delle dottrine politiche all’Università Popolare di Biella, chiedendogli di approfondire alcuni punti importanti.

L’intervista che segue entra nel merito delle questioni approfondendo tanto le tematiche politiche quanto, appunto, le ragioni storiche e culturali che le hanno determinate.

  • Professor Siragusa, come prima domanda, le chiedo qual è la sua lettura della – contro ogni previsione – elezione di Donald Trump alla presidenza Usa? Wikileaks documenta come le proteste di questi giorni siano eterodirette dall’onnipresente George Soros. Se così fosse (ed io credo che Assange non abbia tutti i torti) possiamo parlare di una frattura all’interno delle classi dirigenti statunitensi?

Inizio ricordando una pagina della storia americana del ‘900. Quando gli Stati Uniti persero la guerra del Vietnam nel 1975, ebbero una fase di ripensamento del proprio ruolo e si diffuse tra gli americani il dubbio che il loro governo non ha sempre ragione e non agisce sempre nell’interesse della nazione. Tutte le sconfitte sono, quindi, salutari. Accanto a questa disfatta storica, non bisogna dimenticare che gli Stati Uniti erano stati impegnati in un’altra vergogna che aveva coinvolto il presidente Nixon, cioè lo scandalo Watergate: lo spionaggio da parte di esponenti del Partito Repubblicano ai danni del Partito Democratico soggetto a intercettazioni illegali. Quello scandalo determinò la messa in stato d’accusa di Richard Nixon e la sua scomparsa politica. Come reagirono gli americani? Reagirono con un ritorno al puritanesimo protestante, agli antichi valori dei padri pellegrini ovvero ai principi dei fondatori degli Stati Uniti. Il mondo della cultura, il cinema, il giornalismo, il movimento dei neri americani e la cosiddetta “NEW LEFT” (Nuova Sinistra) favorirono un movimento d’opinione che voleva scrollarsi di dosso la vergogna della guerra contro il Vietnam e recuperare una sorta di egemonia morale ignominiosamente perduta. In questa temperie sorse e si affermò la candidatura del democratico Jimmy Carter, un predicatore evangelico che incarnava i valori americani fondativi: la Bibbia in una mano e il fucile nell’altra. Con le dimissioni di Nixon, il vicepresidente Gerald Ford assunse i poteri e iniziò una svolta che fu apprezzata da molti, anche in Europa. Ricordo il commento di Enrico Berlinguer molto lusinghiero su Ford. Ciò nonostante, Ford perse le elezioni presidenziali contro Carter nel 1976.

Quella lontana vicenda ha molte similitudini con quella attuale. La reputazione degli Stati Uniti, dopo i fatti dell’11 Settembre 2001 e dopo i complotti orchestrati in Medioriente e in Ucraina per rovesciare legittimi governi, ha subito una notevole perdita di credibilità. Ormai solo gli imbecilli, i fanatici filoamericani e i disonesti sono disposti a difendere la versione ufficiale, falsa e bugiarda, dell’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono. Il ruolo terroristico ed eversivo dei servizi segreti statunitensi, assieme al Mossad e a quello britannico, non può onestamente essere negato. Ebbene, che cosa accade nell’imminenza della scadenza del Mandato di Obama? Accade che il Partito Democratico inizia le primarie per la nomina del candidato alle presidenziali scommettendo su HiIlary Clinton, la principale responsabile della destabilizzazione della Libia, della Siria, dell’Ucraina e, all’epoca della presidenza del marito Bill, suggeritrice della distruzione catastrofica della Yugoslavia con tutti i massacri e l’oceano di sangue che ne è conseguito. Tutto questo per demolire l’ultimo esperimento di socialismo e per costruire basi della NATO. Lo sfidante di Hillary si chiama Bernie Sanders, un ebreo con convinzioni socialiste e idee nuove ed eterodosse sul Medioriente e sul ruolo di Israele. Nonostante un largo seguito di consensi e di speranze suscitate, Bernie Sanders perde le primarie. Illary, una guerrafondaia criminale, ha l’appoggio del Complesso Militare Industriale, della lobby sionista rappresentata dal miliardario ebreo Haim Saban che finanzia la sua campagna elettorale assieme a banche, donatori privati, il Qatar e l’Arabia Saudita. Il povero Sanders era destinato a soccombere. Trump, pur essendo repubblicano, affronta la Clinton da una angolazione non partitica, insolita, eretica, viene voglia di dire, con argomenti di “sinistra”. Le contesta la globalizzazione, ovvero la pretesa di uniformare il mondo agli Stati Uniti, attraverso il rovesciamento di stati sovrani. La attacca dicendo che i terroristi dell’ISIS sono stati creati da lei e da Obama, che è sbagliato contrapporsi a Putin col quale bisogna collaborare, che bisogna collaborare anche con la Corea del Nord, che è stato un errore invadere l’Iraq nel 2003, che la Siria non deve essere distrutta per installare un anacronistico califfato, che la NATO costa troppo e gli stati alleati dovranno sopportare il costo con un aumento della loro spesa. L’unico punto di convergenza tra i due candidati è la fedeltà a Israele e a tutte le sue politiche coloniali e criminali. Infatti, l’altro grande sostenitore di Trump è il miliardario ebreo Adelson che da tempo sostiene l’annessione ad Israele di tutta la Palestina e la collocazione di 5 milioni di palestinesi in un bantustan di segregazione razziale.

Per quanto riguarda la politica interna, Trump percepisce il disagio di molti americani per l’immigrazione, soprattutto quella che proviene dal Messico, spesso in modo irregolare con l’ingresso clandestino di esponenti della malavita. Così prospetta l’idea del “muro” che suggestiona gli elettori. Condanna le sanzioni contro la Russia di Putin che hanno danneggiato le esportazioni di piccoli e medi produttori. Per questa ragione, appena è arrivata la notizia che Trump ha vinto le elezioni, i deputati della Duma, il parlamento russo, si sono alzati tutti in piedi ed hanno applaudito.

L’altro elemento di forza di Trump è stata la lotta alla delocalizzazione delle imprese americane all’estero. Durante alcuni comizi nel Michigan, uno stato ad alta industrializzazione e con una robusta classe operaia, ha dichiarato che se le aziende automobilistiche americane avessero avuto intenzione di delocalizzare la loro produzione in Messico, avrebbe messo una tassa doganale del 35% per ogni veicolo importato. Gli operai applaudivano e scandivano il suo nome.

Al lato opposto, però, tendeva la mano agli imprenditori capovolgendo la tradizionale politica liberista del Partito Repubblicano e prospettando un ritorno al protezionismo temperato per risolvere i problemi interni come la povertà e la disoccupazione. Musica per le orecchie dei disoccupati!! Musica anche per le orecchie degli imprenditori a cui ha promesso una riduzione fiscale dal 35 al 15%. Qui si sostanzia il suo slogan: “FARE L’AMERICA ANCORA PIU’ FORTE”.

Hillary Clinton è stata percepita come una esponente corrotta dell’apparato burocratico americano, falsamente liberale e aperta ai diritti civili, nonostante abbia dipinto come impresentabile il “fascista” e rozzo Donald Trump. In ogni caso, tutti sanno che una presidenza con la Clinton sarebbe stata immediatamente segnata da guerre, conflitti e complotti all’insegna dell’egemonia mondiale pur di fare gli interessi primari di Israele. E questo è documentato dai suoi messaggi di posta elettronica.

Un commento a parte merita George Soros, miliardario ebreo sionista, finanziatore dei processi di destabilizzazione di stati sovrani attraverso le ONG e alcune organizzazioni falsamente progressiste e democratiche. Le manifestazioni “spontanee” svoltesi in varie città americane sono una novità assoluta e rivelano una spaccatura nella nomenclatura del potere reale statunitense. Una fazione crede nell’universalismo del modello americano da imporre con la forza e col conflitto permanente; un’altra, invece, tende a preoccuparsi della situazione interna e a rafforzarla, tendenza che è stata chiamata, non a sproposito, “isolazionista”. Julian Assange è bene informato. Se ha detto che Soros è il burattinaio di queste manifestazioni di piazza certamente ha i suoi motivi.  Concludo la risposta a questa domanda: nessuno parli di democrazia americana che non esiste. La democrazia in America è un prodotto che si trova al mercato: vince chi ha più soldi, chi è più corrotto ed è appoggiato da lobby potenti. Gli elettori sono una massa di manovra intrappolata e drogata dal sistema capillare di disinformazione organizzata. Cosa tiene unita l’America, cosi divisa da etnie, religioni, classi e interessi? La religione degli Stati Uniti, come ha scritto Diana Johnston.

  • Trump gode dell’appoggio del Ku Klux Klan e di un suo importante ex leader: David Duke. Come concilierà il neo-eletto presidente il White Power delle organizzazioni neonaziste con l’appoggio alle politiche imperialistiche di Netanyahu? Lei crede che tutto il KKK abbia posizioni antisioniste – ovviamente un antisionismo privo di qualsiasi prospettiva realmente democratica e antimperialista – oppure sia possibile individuare fazioni che coniugano l’odio anti-ebraico con il filo-sionismo?

David Duke ha avuto una storia politica contraddittoria. Faceva parte del Ku Klux Klan in posizione non violenta. Si stacca da quell’organizzazione criminale affermando la difesa dei valori tradizionali europei. Passa al Partito Democratico e poi al Partito Repubblicano. In questo momento, mi sembra, sia impegnato in una battaglia contro l’estremismo ebraico-sionista. Una figura ambigua, difficile da collocare per la sua frequente mobilità.

Ciò detto, il KKK è una organizzazione razzista, suprematista e antisemita:  detesta sia gli ebrei che gli arabi. The Crusader, giornale ufficiale del KKK, ha pubblicato in prima pagina un titolo che riprende lo slogan di Trump: “Make America great again!”. Non è stato un buon viatico per Trump che ha preso le distanze aiutato da alcune dichiarazioni soffici di David Duke. Non aveva alternative. Perché? Perché l’accordo con Netanyahu per legalizzare le colonie israeliane e per l’annessione di tutta la Palestina, mal si coniuga con la faccia minacciosa, razzista ed antisemita del KKK. Con quel viatico, Trump non avrebbe potuto chiede i soldi e i voti della lobby ebraica americana. Anche il paventato razzismo classico verso gli afro-americani è stato annacquato e abbiamo visto durante i suoi comizi cartelli dei “Neri per Trump”.  Vedremo nei prossimi mesi i comportamenti reali del nuovo presidente. Non sarebbe la prima volta che un candidato aggressivo, dopo l’elezione, desse prova di duttilità e ragionevolezza.

  • Trump e Netanyahu hanno stipulato degli accordi per la “sionizzazione” integrale della Palestina storica? Se Israele dovesse aggredire nuovamente il popolo palestinese quale pensa che sarà la posizione della Russia in vista, anche, di questo ipotetico avvicinamento Trump-Putin?

Una cosa sono le promesse elettorali, altra i comportamenti reali. Gideon Levy ha ricordato gli sfracelli che si ipotizzavano in Israele quando il terrorista Begin divenne Primo Ministro e la prassi politica che egli adottò durante il suo mandato. Trump dovrà tenere conto dell’opinione pubblica internazionale e del dissenso di molti stati qualora adottasse una politica violentemente filo-israeliana. Le colonie ebraiche sono giudicate illegali dal diritto internazionale e Israele ha potuto espanderle grazie alla viltà e alla complicità di tutti gli stati occidentali, a cominciare dagli stessi Stati Uniti. La Russia di Putin dovrà ripulire la Siria dall’ISIS e aiutare quel paese a ricostruirsi e a diventare un alleato più forte e solido. Secondo me, Israele continuerà ad annettere ancora territori palestinesi confidando nella strizzata d’occhi di Trump e a mettere la comunità internazionale davanti al fatto compiuto. Dipenderà da noi, militanti antimperialisti, continuare la lotta affinché al governo dei nostri stati non vi siano più personaggi pericolosi e privi di struttura morale come il filo sionista Matteo Renzi e il suo ripugnante carro di Tespi.

Michael Flynn sarà il prossimo Ministro della Difesa USA, si tratta di una implicita dichiarazione di guerra contro l’Iran? Pochi sanno che Flynn, in un recente libro scritto insieme al sionista Michael Ledeen,  ha definitò l’Iran, in modo vergognoso e truffaldino, il creatore di Daesh, assolvendo, di fatto, l’Arabia Saudita. Come interpreta questa operazione, dichiaratamente anti-sciita e anti iraniana, di Flynn?

Trump e Flynn non si metteranno contro il Sistema Militare Industriale che ha il vero potere negli Stati Uniti. Farebbero la fine di Kennedy. Alterneranno isolazionismo e imperialismo classico. Sono troppi i soggetti da accontentare e gli interessi che attendono di essere soddisfatti. La riapertura del “Dossier Iran” sarà il segno della pressione della lobby ebraica. Perché?  Perché il teorema folle e aberrante di Israele è questo: io ho la bomba atomica e a nessuno, in Medioriente, deve essere consentito di averla. Altrimenti come posso esercitare il mio potere assoluto e incontrastato di ricatto e di intimidazione? Sfido chiunque a dimostrarmi il contrario. Per quanto mi riguarda, io sono favorevole alla bomba atomica iraniana come deterrente di quella israeliana costruita molto tempo prima. Le dichiarazioni contro l’Iran accusata di aver creato l’ISIS contrasta con quanto ha detto Trump in campagna elettorale. E’ il segno della rozzezza politica della destra repubblicana. Vedremo tutto e il contrario di tutto nei prossimi mesi durante la gestione Trump del potere.

  • Il giornalista investigativo Wayne Madsen ci ha spiegato come Trump stia riciclando i neocon dell’amministrazione Bush. Manlio Dinucci, in Italia, ha parlato di ‘’alternanza del potere imperiale’’. Insomma, quali sono le reali differenza fra Trump e Killary Clinton? Su una cosa sembra che tutti concordino: l’ostiltà all’Iran e al popolo palestinese in nome di una umiliante genuflessione ad Israele. Per concludere: Trump è un isolazionista o l’ennesismo neocon che ci porterà – come ha detto Edward Snowden – in una ‘’epoca buia’’, la più buia della nostra storia recente?

Il fatto che gli americani siano stati costretti a scegliere il meno peggio, è una sconfitta del sistema cosiddetto “liberale”. Il mio amico Manlio Dinucci ha ragione: non c’è una svolta. Finché ci sarà un bipartitismo “monopartitico”, nel senso che i due partiti si somigliano e, spesso, uno fa quello che dovrebbe fare l’altro, non cambierà nulla. Solo un terzo partito, sostanzialmente disorganico e alternativo agli altri due potrà dinamizzare e sbloccare il sistema politico americano. In assenza di questa terza forza, embrionale e minoritaria, vedo solo il buio pesto e, forse, le peggiori avventure.

Concludo dicendo che la persecuzione del governo americano contro Snowden e Julian Assange, uomini coraggiosi accusati di aver rivelato i documenti segreti che provano che gli USA minacciano la democrazia e il mondo intero, dimostra quanto siano in errore coloro che ripetono come pappagalli che negli USA c’è la democrazia.

1 commento per “Donald Trump fra isolazionismo e imperialismo

  1. armando
    23 novembre 2016 at 11:33

    Trovo assai condivisibile l’analisi, ma non in questa frase:
    “Trump, pur essendo repubblicano, affronta la Clinton da una angolazione non partitica, insolita, eretica, viene voglia di dire, con argomenti di “sinistra”.
    E’ vero che “sinistra” è virgolettata, ma occorre, se davvero si vuol far capire alle persone cosa accade, smettere di usare termini ormai equivoci. Quegli argomenti di Trumo non sono di sinistra perchè la “sinistra” non ne ha affatto l’esclusiva e soprattutto non nè la “fonte” originaria, almeno non più della “destra”. La verità, non solo culturale o filosofica, ma anche storica, è che ci sono più aree che si autocollocono all’interno della “sinistra” e più aree che si autocollocano all’interno della “destra”, così diverse fra di loro che continuando a usare quei termini si genera ormai solo confusione.
    Siamo abituati a considerare di sx politiche antiliberiste all’interno, e non aggressive all’esterno. Siamo abituati a considerare di dx politiche liberiste all’interno e aggressive all’esterno. La storia ci racconta che non è così, o almeno che non lo è più da tempo.
    Un’altra grande e classica divisione fra dx e sx è quella sui “diritti” e sui “valori”, ma anche quì la confusione regna sovrana. Ci sono neocon americani (coi loro sodali europei) che sui “diritti” sono in perfetto accordo con la sx (si veda la questione dei matrimonio omosessuale in Inghilterra.: Cameron) , mentre c’è una “sinistra” che su queste cose è più vicina alla “destra”.
    Capisco che ci sono alcune ragioni effettive per le quali quel lessico si è sedimentato, ma il mondo è profondamente mutato. Faccio un solo esempio per farmi capire. C’è stata certamente un’alleanza fra Chiesa e capitalismo occidentale in funzione antisovietica, ma per ragioni “tattiche” facilmente intuibili più che per loso consustanzialità, come pensava anche Marx. Alleanza che ormai non può più tenere per motivi altrettanto facilmente intuibili, in primo luogo perchè il capitale, nella sua essenza, è agli antipodi di qualsiasi concezione religiosa della vita. ,
    Continuando a usare quei due termini non si capisce più assolutamente nulla, e dunque urge trovarne altri. Globalismo/antiglobalismo, ad esempio, o altri da inventarsi,, ma che scalfiscano quei modo di pensare il significato dei concetti.

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