Il nuovo statuto di Hamas

Il nuovo Statuto di Hamas – chiamato nuovo documento per rispetto nei confronti di Ahmed Yassin, fondatore del movimento islamico – presenta alcune novità importanti che devono essere analizzate con metodo. E’ da chiarire subito un fatto: Hamas si colloca oggettivamente all’interno del movimento di indipendenza e di liberazione palestinese e rifiuta gli Accordi di Oslo. Il marxista etiope Mohamed Hassan ha definito questo movimento islamico, tanto eterogeneo quanto contraddittorio, islamopatriottico, paragonandolo all’IRA ed agli Hezbollah. Potrebbe essere una forzatura ma le analogie sono, decisamente, innegabili.

Partiamo dagli aspetti negativi per poi arrivare alle novità importanti: (a) Khaled Meshaal ed i politicanti corrotti protetti dal Qatar non sono stati estromessi dalla dirigenza del partito e lo stesso Statuto è stato presentato a Doha; (2) Hamas ha appoggiato i ribelli sunniti siriani foraggiata dalla Fratellanza Musulmana. La rottura con i FM c’è stata ma quali sono i reali margini di ripristino dei rapporti con la Siria baathista? Queste due questioni – importanti – restano irrisolte, almeno per ora. Detto ciò non si più negare che le Brigate Al Qassam, l’ala militare di Hamas, siano una organizzazione antimperialistica che coniuga elementi tradizionalisti con la decolonizzazione della Palestina storica; qualsiasi analogia fra Hamas ed il qaedismo non solo è balorda ma, il più delle volte, è un prodotto del ‘’giornalismo venduto’’ occidentale. Leggiamo cosa dice George Habash, marxista, fondatore del Fronte popolare di liberazione della Palestina:

“La natura delle relazioni con le forze dell’Islam politico non può essere arbitraria: innanzitutto non si può relegarle in una stessa categoria, e, in secondo luogo, dobbiamo relazionarci con le forze realmente radicate nella comunità, escludendo ovviamente i gruppi che allacciano rapporti ambigui. Questo vuol dire che dobbiamo tutti, noi e le forze dell’Islam politico, aprire le porte ad una discussione per giungere ad un comune denominatore per poter lavorare nella attuale situazione e in quella che ci prospettiamo.

Quindi dobbiamo fare dei distinguo tra tra le forze islamiche resistenti e combattenti che hanno una visione sociale ed ideologica, come in Libano (Hezbollah), in Palestina (Hamas e Jihad Islamico) e in Giordania (Al-Jama’a Al-Islamiya), dalle forze e dai gruppi le cui azioni non sono comprensibili e non trovano giustificazione né umanamente, né a livello comportamentale, né altrettanto non trovano giustificazione nei principi dell’Islam, come accade ora in Algeria o in Egitto.

Siamo convinti che debba costituirsi un’alleanza profonda che regoli le nostre relazioni con le prime forze citate; un’alleanza basata sui principi di fermezza di fronte al nemico nazionale e di scontro con esso. Questo fattore garantisce continuità all’alleanza, e per un periodo non breve. Dipenderà però dal fatto che questa azione si basi su principi democratici, ossia che il rapporto con la comunità si regoli attraverso la democrazia. Quindi bisogna definire l’azione ideologica, politica, sociale, mediatica e organizzativa, e lasciare piena libertà alle masse popolari di unirsi o sostenere qualsiasi partito o pensiero politico vogliano, oltre a dare loro libertà di dissentire dal pensiero politico dell’altro, a patto di risolvere le divergenze interne senza ricorso alla scontro violento.’’ 1

 

Il movimento islamico, mettendo da parte i controproducenti slogan del 1988, sembra scoprire la tattica politica: non riconosce Israele ma, come misura intermedia, contratta la fondazione di uno Stato palestinese entro i confini del 1967; la liberazione deve essere completa – quindi si mette in discussione la tragedia del 1948 – però questo non è un obiettivo che potrà essere realizzato nel breve periodo. La tradizione dei movimenti rivoluzionari armati, inoltre, prevede periodi di conflittualità sociale e momenti in cui è necessario utilizzare le istituzioni create dai vari sistemi di dominio sociale e politico; Hamas sembra averlo compreso ma la prospettiva resta, per l’ennesima volta, da chiarire (il riferimento alla Siria ed all’Iran è sottointeso ). Infine, Hamas smette di confondere giudaismo e sionismo e così facendo compie un notevole passo in avanti nell’analisi dell’imperialismo sionista:

 

‘’14. The Zionist project is a racist, aggressive, colonial and expansionist project based on seizing the properties of others; it is hostile to the Palestinian people and to their aspiration for freedom, liberation, return and self-determination. The Israeli entity is the plaything of the Zionist project and its base of aggression.

15. The Zionist project does not target the Palestinian people alone; it is the enemy of the Arab and Islamic Ummah posing a grave threat to its security and interests. It is also hostile to the Ummah’s aspirations for unity, renaissance and liberation and has been the major source of its troubles. The Zionist project also poses a danger to international security and peace and to mankind and its interests and stability.’’ 2

 

Quindi Hamas si contrappone al progetto razzista e colonialista israeliano che mina le basi del mondo arabo e musulmano ma l’orizzonte della decolonizzazione della Palestina è uno Stato multietnico e pluriconfessionale dove gli ebrei tornino a vivere in pace con le persone di fede islamica e cristiana. Hamas fa un passo importante quando riconosce che l’antisemitismo è stato una pagina vergognosa del colonialismo europeo, del tutto estraneo ai paesi colonizzati i quali, nonostanti la dominazione imperialista, hanno dato vita a più nobili forme di convivenza. I due punti successivi del documento testimoniano una vera e propria svolta teorica; nessuno potrà più accusare Hamas di antisemitismo, di conseguenza è bene memorizzarli perché sono certo che dovremo citarli moltissime volte:

 

  1. Hamas affirms that its conflict is with the Zionist project not with the Jews because of their religion. Hamas does not wage a struggle against the Jews because they are Jewish but wages a struggle against the Zionists who occupy Palestine. Yet, it is the Zionists who constantly identify Judaism and the Jews with their own colonial project and illegal entity.
  2. Hamas rejects the persecution of any human being or the undermining of his or her rights on nationalist, religious or sectarian grounds. Hamas is of the view that the Jewish problem, anti-Semitism and the persecution of the Jews are phenomena fundamentally linked to European history and not to the history of the Arabs and the Muslims or to their heritage. The Zionist movement, which was able with the help of Western powers to occupy Palestine, is the most dangerous form of settlement occupation which has already disappeared from much of the world and must disappear from Palestine.

 

L’obiettivo di Hamas è sempre quello di liberare tutta la Terra di Palestina ponendo fine al torto della Nakba però non punta più alla anacronistica realizzazione di un emirato islamico. Il movimento religioso dà l’idea di volersi confrontare con forze laiche e socialiste; riconosce un nemico nel sionismo ( un nemico che minaccia il mondo intero ) ma non negli ebrei, scoprendo l’analisi delle conflittualità inter-capitalistiche. Questo la rende una organizzazione più simile agli Hezbollah distanziandola dalla reazionaria Fratellanza Musulmana. Lo scorso anno proprio su questo argomento scrivevo che:

‘’La verità è che Hamas in quanto movimento ‘’popolare’’ raccoglie al proprio interno gli interessi contrapposti di diverse classi sociali – dal proletariato alla borghesia nazionalista – quindi è ‘’socialmente’’ divisa al proprio interno. Ciò ha portato alla nascita di una ‘’componente Al Kassam’’ antimperialista e vicina all’Iran, e di una ‘’componente Al Husseini’’ collaborazionista e al soldo di Erdogan. Queste due fazioni riflettono le contraddizioni ma anche il conflitto di classe che pervade il movimento – comunque – antimperialista. Chi prevarrà ? Difficile dirlo in questo momento, purtroppo – sulla base delle ricerche fatte – le documentazioni scarseggiano.’’ 3

 

La rottura con i Fratelli Musulmani rappresenta la sconfitta della componente Al Husseini e quindi della fazione reazionaria di Hamas? E’ troppo presto per dirlo, una cosa è certa: Hamas si è riavvicinata alla sinistra palestinese che sulla crisi siriana aveva condannato la sovversione islamista spalleggiata prima dal Qatar e poi dalla Turchia con la benedizione di Arabia Saudita ed Israele. Hamas romperà con il traditore Meshaal, ristabilendo un canale con Damasco e magari anche con Mosca ( cosa alquanto positiva )? Quali saranno i rapporti con l’Egitto di El Sisi? Le incertezze restano ma la priorità resta Teheran; Hamas deve avere buoni rapporti con l’Iran ed avviare un profondo processo di democratizzazione interno.

Il nuovo documento è ben fatto, il livello dell’analisi è buono: si condanna l’imperialismo sionista sottolineando che minaccia il mondo intero e non solo la Palestina ma se ne parla in termini di anticolonialismo nazionale e non islamista. L’antisemitismo viene definitivamente condannato mettendo Israele con le spalle al muro: i razzisti, adesso, stanno tutti da una parte, i dubbi sono stati definitivamente cancellati. L’oscurantista Tel Aviv condannerà mai l’arabofobia e l’islamofobia? Hamas, al di là di ciò che raccontano i giornalisti occidentali resta un interlocutore credibile. Gli antimperialisti, se davvero sono tali, farebbero bene a scrollarsi di dosso pregiudizi eurocentrici e l’insopportabile spocchia islamofoba. Devo dirlo: un po’ di umiltà non gli farebbe male.

http://kanafani.it/?p=1021

http://hamas.ps/en/post/678/a-document-of-general-principles-and-policies

https://www.linterferenza.info/esteri/3344/

Immagine correlata

Fonte foto: links.org.au (da Google)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dichiaro di essere al corrente che i commenti agli articoli della testata devono rispettare il principio di continenza verbale, ovvero l'assenza di espressioni offensive o lesive dell'altrui dignità, e di assumermi la piena responsabilità di ciò che scrivo.