Il PKK verso il “colonialismo democratico”?

La resistenza del popolo di Ayn el Arab – meglio conosciuta come Kobane – alle orde dell’ISIS, ha suscitato grandi aspettative presso la sinistra occidentale. Purtroppo queste aspettative, alla prova dei fatti, si sono rivelate non sempre corrispondenti alla realtà di classe ed alla natura sociale e politica delle forze in campo.
Le principali organizzazioni curde impegnate a Kobane – sarebbe meglio dire Ayn el Arab – sono il Partito dell’Unione Democratica ( PYD ) e le Unità di Difesa del Popolo ( YPG ), entrambe molto vicine al Partito dei lavoratori del Kurdistan ( PKK ).
La vulgata comune, in Europa, ritiene che il PKK sia una organizzazione marxista tout court di derivazione maoista ma – come ho avuto occasione di spiegare in altra occasione 1 – la sinistra curda ha ripiegato su una sorta di “federalismo democratico” che, alla luce di una attenta analisi di classe, consentirebbe alla borghesia curda di mantenere le vecchie strutture tribali. In poche parole, un compromesso con quegli strati sociali feudali ed antidemocratici ben presenti nelle zone rurali di paesi come la Turchia e l’Irak. Naturalmente tutto deve essere approfondito e accertato e questo sarà possibile solo attraverso un dibattito politico che possa portare a un sostanziale chiarimento. E’ però un dato di fatto che il primo beneficiario del Kurdistan irakeno di Barzani (uomo della CIA di vecchia data) sia la guerriglia della sinistra curda che proprio lì ha la sua base principale.
Le prove che attesterebbero la collaborazione del ramo siriano del PKK – PYD e YPG – con l’Esercito Libero Siriano ( ELS ), organizzazione fondamentalista sunnita e filostatunitense, sembrerebbero essere molte e non possono essere trascurate. Prendiamo un articolo non proprio recente che porta una notizia – a suo tempo passata sotto silenzio – abbastanza eloquente:
“Una settimana fa, è stato affermato che 1.300 combattenti ELS sarebbero stati mandati a Kobane per aiutare. Più tardi si è detto che una forza dei peshmerga di Barzani sarebbe entrata a Kobane. Poi è emerso che i 1.300 combattenti ELS sarebbero stati 400 o anche meno. Circa 150 peshmerga sono andati a Kobane. Si è detto che queste due forze avrebbero combattuto a fianco del PYD – YPG, il quale, in precedenza, aveva assicurato che sarebbe stato al comando. Più tardi, invece, si è saputo che ogni forza avrebbe dato ordini ai propri uomini. Infine, questa situazione solleva delle domande circa il carattere delle forze che vanno lì e il tipo di guerra che perseguiranno”. 2
Questa citazione è tratta da un testo pubblicato in italiano dal sito kanafani.it, un bollettino di informazione molto vicino alla sinistra palestinese, ma il documento originale turco viene da Antimperialist Front. Questo giornale online sostiene le posizioni della guerriglia guevarista del Revolutionary People’s Liberation Party–Front ( DHKP-C ). In modo scorretto il DHKP è stato affiancato al PKK e ai gruppi comunisti enveristi come il TKP/ML ed il TIKKO. La realtà è ben diversa e – anche ad Istanbul – di recente il DHKP-C ha allontanato attivisti del TKP/ML e del PKK per le loro posizioni ritenute ambigue.
Durante le ultime elezioni che si sono svolte in Turchia – questo episodio è ben poco noto – attivisti del PKK sono giunti nel quartiere popolare di Okmeydanı per dare appoggio al candidato del ramo legale dei separatisti curdi. Il DHKP, che aveva deciso di astenersi, ha dovuto allontanare gli attivisti curdi, considerando l’accaduto una sorta di “invasione”. Prima di fare accostamenti imprecisi sarebbe bene raccogliere informazioni affidabili magari stabilendo contatti con attivisti che operano sul posto. In questo articolo citerò documenti provenienti da organizzazioni comuniste di diverso orientamento. Il mio metodo è semplice: il PKK dice di essere socialista? Bene, vediamo come si pongono altre organizzazioni marxiste nei suoi confronti. Alla fine potremo, forse, trarre le dovute, seppur parziali, conclusioni. Al momento, la riflessione e il dibattito circa la natura, la strategia e la direzione di marcia del PKK restano aperte .
La collaborazione con le potenze imperialiste, purtroppo, sembra riguardare anche altri aspetti. Secondo alcuni militanti del YPG, gli europei e statunitensi che combattono a Kobane sono molti. Polat Can, membro di questa organizzazione, ha riferito al quotidiano turco Radikal che le unità curde operano con la coalizione internazionale. Polat Can ci fa sapere che sono in stretto contatto con gli uomini dell’intelligence sia per quanto riguarda le operazioni militari di terra che quelle aeree.
Queste sono le sue parole: “Una delle nostre unità speciali a Kobane ci passa le coordinate, il Ypg trasmette le coordinate alle forze della coalizione che organizza i raid aerei.” Ha aggiunto: “Abbiamo dei rapporti diretti con la coalizione, senza intermediari. Un rappresentante del Ypg è fisicamente presente presso il centro di comando congiunto e trasmette le coordinate. In effetti, i raid non sarebbero assolutamente possibili senza la partecipazione del Ypg” 3
Anche questa testimonianza ci dice che, alla prova dei fatti, l’esperienza di Kobane si è rivelata l’ennesima grande illusione della sinistra occidentale. Molti potrebbero replicare che “in funzione antifascista anche i comunisti europei collaborarono con gli angloamericani”. Tale posizione, a mio avviso, non tiene però in considerazione un fattore determinante: il PKK ha abbandonato l’antimperialismo definendo i due principali gendarmi, gli imperialismi Usa ed israeliano, come “colonialismi democratici”. Questo significa che in linea teorica potrebbe prospettarsi (non escludo che possano esserci delle resistenze interne, ma queste potranno e dovranno essere verificate solo nel tempo) un vero e proprio passaggio di campo. Per alcune organizzazioni – come il Partito patriottico ( prima Partito del lavoro ) turco – questo passaggio è avvenuto da diversi anni.
Sono poche le organizzazioni marxiste che hanno denunciato questa collusione. Una di queste è la Lega comunista internazionalista ( ICL ), di orientamento troskista, la quale, distinguendosi in senso positivo rispetto alla maggior parte delle sciagurate organizzazioni vicine alla Quarta Internazionale, afferma che “oggi, in Iraq e in Siria, i partiti nazionalisti stanno subordinando la lotta per i diritti nazionali dei curdi al loro ruolo di alleati degli imperialisti”.
La storia dei nazionalisti ( separatisti ) curdi sembra essere una storia di compromessi con il colonialismo; non è casuale che il così detto Grande Kurdistan viene definito dalle sinistre palestinese ed iraniana come il Secondo Israele. Se così fosse, appoggiare questo progetto – come hanno fatto molte organizzazioni marxiste pseudo tali – significherebbe appoggiare l’ennesimo saccheggio da parte degli USA. Un’ eventualità da respingere con forza.
Il calice amaro dell’imperialismo
Il conflitto siriano ci presenta questo scenario:
(1) Gli Usa sostengono – da un lato – l’ISIS contro la Siria baathista.
(2) La “coalizione internazionale”, paradossalmente, bombarda l’ISIS quando questa si scontra coi separatisti curdi.
(3) L’ultima mossa dell’imperialismo nord-americano è quella di far configgere Al Qaeda (Al Nusra è il suo ramo siriano) con l’ISIS nella prospettiva di creare un Sunnistan siriano.
Tutto ciò è funzionale a dividere la Siria in tre parti: (1) uno Stato fondamentalista sunnita ed anti-iraniano; (2) un narco-Stato curdo sul modello del Kurdistan irakeno; (3) un governo alawita debole ed incapace di contrastare l’imperialismo israeliano.
Per questo motivo i rapporti fra la NATO ed Erdogan sembrano essersi raffreddati: il dittatore turco sente sulla sua pelle il rischio di una ipotetica balcanizzazione della Turchia, anche in virtù di una possibile e anomala alleanza degli Usa col PKK.
Un nuovo documento – del tutto sconosciuto – consolida questa tesi. Ocalan riconosce Barzani, uomo di destra al servizio degli Usa e di Israele, come leader di tutti, e sottolineo tutti, i curdi. Cito testualmente dal turco riportando poi la fonte esatta. Si tratta di un giornale online turco:
“Değerli ve saygıdeğer kardeşim; ben sizi sadece Kürt bölgesinin değil, dört parça Kürdistan’ın lideri olarak görüyorum. Çünkü, Kürt haklarının yarısını aldınız, geri kalan diğer yarısını da yine sizin alabileceğinize inanıyorum”
( Fonte: http://www.milliyet.com.tr/ocalan-dan-barzani-ye-carpici/gundem/detay/1720276/default.htm )
Il giovane studioso Aytekin Kaan Kurtul, collaboratore col Partito comunista turco (organizzazione vicina al KKE greco), mi ha cortesemente segnalato il documento – e lo ringrazio pubblicamente – fornendomi gentilmente anche la traduzione. Ecco cosa dice Ocalan a Barzani:
“Caro e stimato fratello; io La considero non soltanto il leader della regione curda (in Iraq), ma di tutto il Kurdistan diviso in quattro. Perché Lei ha conquistato la metà dei diritti dei curdi e sono sicuro che può conquistare l’altra metà nel prossimo futuro”
Tutte queste fonti sono pubbliche, il problema è che in Italia hanno avuto scarsa diffusione per non dire di peggio. Non è un caso che il PKK ha ritenuto la mobilitazione popolare contro Erdogan nel 2013 un colpo di Stato. Chi sostiene acriticamente il PKK, al contrario, dovrebbe spiegare questo atteggiamento ambiguo.
La balcanizzazione degli Stati Medio Orientali è un vecchio progetto statunitense ed israeliano (sionista), un progetto antidemocratico che favorirebbe soltanto il continuo saccheggio delle risorse. Il sito sinistra.ch, legato alla sinistra m-l svizzera, ci riporta la posizione di alcuni gruppi della sinistra kemalista, che per completezza è bene riportare. L’analisi di seguito esposta, parrebbe coincidere con la mia:
“Il Partito “Vatan”, organizzazione anti-imperialista che unisce comunisti e kemalisti turchi e in ottime relazioni con il Partito Socialista Arabo “Baath”, respinge categoricamente l’idea di una creazione di territori settari ed etnici all’interno uno stato-nazione del Medio Oriente, così come rigetta qualsiasi tipo di riforma federale del territorio. Queste decisioni sono da considerarsi come facenti parte del piano a lungo termine di distruggere gli stati che minano la sicurezza della dominazione americana ed israeliana. Conseguentemente il Partito “Vatan” respinge categoricamente l’intento statunitense di armare e sostenere i gruppi settari ed etnici, poiché questo tipo di supporto si può considerare come una preparazione all’inasprimento della guerra civile mediorientale, per questo gli anti-imperialisti turchi propongono una cooperazione di sicurezza regionale tra la Turchia, l’Iraq, l’Iran, la Siria e il Libano, di cui hanno già parlato a Damasco in un recente incontro col governo siriano”. 4
Mettendo da parte il giudizio apologetico su kemalismo e baathismo, la situazione descritta risponde alla realtà, una realtà che va conosciuta in modo disincantato per modificarla radicalmente in favore dei popoli e dei lavoratori. I fatti – del resto – hanno sempre la testa dura.

https://www.linterferenza.info/esteri/le-ambiguita-irrisolte-del-pkk-dal-marxismo-al-separatismo-etnico/
http://kanafani.it/?p=947
http://www.icl-fi.org/italiano/spo/78/isis.html
http://www.sinistra.ch/?p=4107

2 commenti per “Il PKK verso il “colonialismo democratico”?

  1. armando
    7 settembre 2015 at 14:30

    La strategia Usa è evidente, solo che la si voglia vedere. Usano a piacimento le spinte etiniche per disgregare gli Stati che potrebbero essere d’ostacolo al loro progetto egemonico per favorire staterelli ininfluenti, oppure, secondo convenienza, le ostacolano quando mettono in discussione il potere di un qualsiasi Stato che sia loro già asservito. Lo capiranno in tempo quei popoli? Chi può dirlo?
    Segnalo su tutto questo il seguente ottimo (per me) articolo apparso su Kaker Italia
    http://sakeritalia.it/europa/il-piano-della-nuland-per-i-balcani-e-come-possono-fallire-miseramente-parte-i/

  2. zzz
    6 settembre 2016 at 12:28

    Ma perché quindi USA e UE non tolgono il PKK dalla lista delle organizzazioni terroristiche?

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