Iran: l’eredità di Ali Shariati contro la sfida dei turbanti

La vittoria di Rohani contro il conservatore Raisi pone alcuni seri problemi che la Repubblica Islamica dell’Iran deve affrontare, quanto prima, per dare una risposta credibile alle Resistenze antimperialistiche dell’area.

Lo scontro fra Rohani e Raisi, dopo l’inaspettata – ed ingiusta – esclusione di Ahmadinejad, configura il conflitto, tipico nei paesi capitalistici occidentali, fra bazaristi ( padroni ) e Stato profondo ( complesso militar-industriale ). La rivolta antimperialistica del 1979 ha fatto di un paese coloniale e devastato dalla dittatura di Reza Pahlevi uno Stato indipendente più volte allineato – tranne alcune deplorevoli eccezioni come il sostegno agli islamisti bosniaci contro Milosevic – con le Resistenze antimperialistiche. Ma le contraddizioni aumentano, di anno in anno, e la nostra amicizia verso l’Iran non ci esonera dal dire come stanno realmente le cose.

L’Islam sciita ha il pregio di contrapporsi ai progetti imperialistici e sionisti, l’Iran ha sempre combattuto l’imperialismo israeliano senza cercare la strada della diplomazia ( come alcuni paesi arabi ) ma, dall’altra parte, si è connotato come un paese anticomunista. La contraddizione è grande perché i movimenti sciiti – dallo Yemen al Libano – in funzione patriottica ed antimperialista hanno dovuto fare accordi con i marxisti e lo stesso leader degli Hezbollah, Nasrallah, proviene dalla gioventù comunista libanese. L’Iran sostiene i socialisti del Fronte popolare di liberazione della Palestina, ebbe il riconoscimento di un anticolonialista radicale del calibro di Ahmed Ben Bella ma questo non giustifica di certo la brutale repressione – Raisi fece parte del Comitato della morte nel 1988 – dei comunisti del Tudeh. Il Tudeh ha commesso gravissimi errori di valutazione politica – fino ad elaborare analisi a mio parere inaccettabili – ma il suo ruolo, nella rivolta che rovesciò lo Scià, non si può occultare. Domanda: gli iraniani si sono rivoltati contro l’imperialismo in quanto musulmani oppure in nome dell’indipendenza nazionale? Questo problema, che è lo stesso affrontato da Karl Radek e Josè Carlos Mariategui davanti allo studio ( da cui poi sarebbe derivata la posizione politica dell’Internazionale Comunista ) della Rivoluzione kemalista, si ripropone e resta irrisolto. Alcuni antimperialisti seguono la linea Mariategui considerando l’Iran un paese in mano al clero islamico; altri seguono la linea Radek scegliendo il campo di una alleanza, sia tattica che strategica, con l’Islam politico. Radek avrebbe sostenuto Khomeini? Difficile dirlo, ma chi scrive sa bene che la sinistra – sia islamica che socialista – non deve perdere di vista il ruolo progressista dell’Iran quanto meno da un punto di vista geopolitico.

Karl Radek

 

Il sociologo James Petras ci ha aiutato a capire alcune questioni di cruciale importanza:

‘’Prima della Repubblica Islamica, l’Irán era governato da una monarchia dispotica nordamericana. Lo stato di polizia del Sah fu uno dei piú repressivi del mondo; torturó e assassinó decine di migliaia di persone e produsse un esilio di piú di 300.000 persone. Fu uno stato di enormi iniquitá, risultato del saccheggio della ricchezza del petrolio da parte degli USA e delle compagnie petrolifere nordamericane e occidentali. Il Sah era un alleato militare di Israele e USA e ciascuno spalleggiava la dominazione dell’altro’’ 1

La rivoluzione islamica rappresenta una pagina estremamente positiva perché ‘’fece terminare lo sfruttamento straniero, distribuí la terra, nazionalizzó l’industria del petrolio ed introdusse rigide e definite (dalla legge islamica) elezioni competitive’’. Detto questo, la cattiva amministrazione economica dei bazaristi ha riportato ‘’il ritorno del capitale privato nei campi petroliferi, la corruzione statale, e la repressione dei movimenti sindacali e commerciali di sinistra’’. Ahmadinejad sembrava aver risolto questo dualismo alleandosi con Cuba e con il socialista venezuelano Hugo Chavez. Raisi, a differenza di Ahmadinejad, è un cinico anticomunista quindi non so in che modo avrebbe potuto relazionarsi con il governo comunista ( che, in realtà, è una forma di radicalismo socialista e di nazionalismo martinista ) cubano. L’Iran – come spiega bene Petras – non ha una chiara prospettiva anticapitalistica e rischia, nella peggiore delle ipotesi, di edificare un modello islamocapitalista ( sciita ) del tutto speculare a quello turco.

L’organizzatore del Congresso di Baku, Karl Radek, pronunciò un significativo appello ai popoli musulmani: ‘’Compagni, noi facciamo appello allo spirito combattivo che in passato ha animato le genti dell’Oriente quando, guidate da grandi conquistatori, marciarono sull’Europa… Noi sappiamo, compagni, che i nostri nemici ci accuseranno di aver evocato la memoria di Gengis Khan, il grande conquistatore, e dei grandi califfi dell’Islam… E quando i capitalisti europei affermano che questa è la minaccia di una nuova barbarie, di una nuova invasione unna, noi rispondiamo loro: Viva l’Oriente Rosso!’’. La linea di Radek, all’epoca accolta da Lenin e Trotsky, sembra doversi realizzare nelle azioni dei ribelli Houthi i quali, per protestare contro la visita del buffone Donald Trump a Riyadh, hanno lanciato due missili balistici nei pressi della capitale saudita. Trump – confermando la linea del guerrafondaio Obama – ha venduto un equivalente di 110 miliardi di armi a Casa Saud. L’Iran appoggia gli Houthi, dimostrandosi un avamposto antimperialista 2. Domanda: Radek aveva ragione?

Karl Radek teorizzò un modello islamosocialista perfetto per i paesi asiatici in modo da eliminare la struttura economica capitalistica preservando la cultura nazionalpopolare. L’Iran ha realizzato la sua Rivoluzione democratica e patriottica ma i bazaristi sembrano avere il potere ben saldo nelle loro mani. La Rivoluzione del 1979 avrebbe bisogno della legalizzazione di un Partito operaio magari ispirato al pensiero di Ali Shariati – traduttore in persiano delle opere di Guevara e Frantz Fanon – anche per non esporre gli antimperialisti europei alle continue critiche – ridicole – della sinistra politicamente corretta la quale afferma senza vergogna ‘’Difendete uno Stato teocratico’’. La menzogna è palese; l’Iran è un paese teocentrico dove tradizionalismo ed autoritarismo si mescolano al sentimento antimperialistico delle masse ed alla linea patriottica del clero – che fu a suo tempo rivoluzionario – comunque democraticamente al governo. Domanda: la classe operaia iraniana saprà (ri)mobilitarsi portando su posizioni contrarie al capitalismo i settori più progressisti dell’Islam sciita? Quella del ’79 fu una rivolta – secondo me – da completare ed estendere ad altre realtà dell’area.

Obama è un genocida impunito, Trump un mercante senza scrupoli, Netanyahu un criminale a piede libero. Come contrastarli? La Rivoluzione iraniana del 1979, nonostante le vulgate mediatiche occidentali, ha edificato uno degli Stati più progressisti di quell’area geopolitica. Per il popolo iraniano si è trattato di una vittoria, ma lo sviluppo e il processo di espansione capitalistica rischiano seriamente di mettere a repentaglio l’emancipazione sociale, giorno dopo giorno minata dai cinici bazaristi. Il popolo iraniano ha già fatto la sua parte; i lavoratori di quel paese sono chiamati a completare l’opera.

http://www.comedonchisciotte.net/modules.php?name=News&file=article&sid=465

http://odiodeclase.blogspot.it/2017/05/resistencia-anti-imperialista-yemeni.html

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Fonte foto: PBS (da Google)

 

 

 

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