La rivolta elettorale in America Latina. Per gli USA più difficile il controllo della regione

  • In America Latina, il regime corrotto colombiano è entrato in crisi dopo decenni di politica monopolizzata dal complesso militare-industriale USA e dai narcotrafficanti; la vittoria di un candidato appartenente al centro-sinistra, critico verso il sionismo ed ammiratore del generale Soleimani definito ‘’l’architetto della sconfitta dell’ISIS’’, è rappresentativo del rigetto dell’uribismo, una ideologia parafascista che, nata all’interno del Plan Condor, ha istituzionalizzato il massacro delle classe lavoratrici nel sub-continente latino-americano.

Il presidente eletto Petro Gustavo si è presentato con un programma socialdemocratico-riformista dichiarando di voler sviluppare il capitalismo in Colombia e, consolando la fazione ‘’dem’’ dello Stato profondo USA con alcune uscite escludenti verso Cuba, Venezuela e Nicaragua; l’intento di Petro sarebbe quello di costruire una sorta di ‘’alleanza progressista’’ con l’Argentina di Alberto Fernandez ed il Cile di Gabriel Boric rilanciando a sinistra la contrapposizione fra ‘’progressismo’’ ed antimperialismo. In questo preciso momento, nel ‘’sud del mondo ‘’, la vittoria dei nazionalisti indipendenti di Sinistra (es. Castillo in Perù) rappresenta una sconfitta per Washington. Ciononostante il Pentagono non dismetterà la transizione dalla Dottrina Monroe al Plan Condor: la violenza nazista-evangelica è l’unico modo che ha il Deep State per annichilire socialmente la rivolta elettorale nelle nazioni a cui è stato imposto il sottosviluppo.

Il nuovo governo colombiano continuerà sulla strada degli accordi di pace del 2016 con i guerriglieri delle FARC-EP che non hanno deposto le armi, tutto questo implica due accorgimenti strutturali: (1) la transizione da uno stato neoliberista fallito ad un regime keynesiano-riformista; (2) la liberazione dei prigionieri politici che da decenni languiscono in bare adibite a carcere. Due aspetti da valutare positivamente che potrebbero estendersi in diversi paesi sudamericani. In Perù, soltanto per fare un esempio, il governo si rifiuta di trattare con le due guerriglie antimperialiste (prevalentemente d’orientamento maoista e guevarista) esponendosi alla reazione fujimorista foraggiata dalla CIA. Citando il rivoluzionario francese Saint Just ‘’chi fa la rivoluzione a metà si scava la fossa ’’: potrebbe essere il caso delle rivolte elettorali che non contemplano la sconfitta definitiva dell’oligarchia padronale?

L’esercito colombiano non ha delle semplici simpatie fasciste, ma è una entità guidata da autentici hitleriani i quali, fregandosene degli accordi del 2016, continuano a mostrare le svastiche ispirando a distanza l’esercito ucraino ed il Battaglione Azov. Leggiamo cosa scrive il blogger marxista Rainier Shea, che è uno dei pochi analisti politici nord-americani ad entrare nel merito del tema riguardante la repressione globalizzata:

‘’Questa ideologia palesemente fascista all’interno dell’esercito è guidata dal concetto di “rivoluzione molecolare dissipata”, che richiede di trattare la popolazione in generale come combattenti nemici in modo che una rivoluzione futura possa essere preventivamente distrutta a livello molecolare. Questo tipo di pensiero è ciò che giustifica la sparatoria contro i civili dagli elicotteri, l’uso di paramilitari per uccidere sistematicamente centinaia di dissidenti politici senza responsabilità e le altre atrocità che la Colombia ha recentemente commesso contro il suo stesso popolo. Se gli verrà data l’opportunità, questi nazisti all’interno dell’esercito assassineranno Petro e il suo vicepresidente afro-colombiano, quindi imporranno il tipo di dittatura che tanti paesi dell’America Latina hanno visto. Il servizio armato fascista colombiano e i membri delle forze dell’ordine provengono dalla tensione del terrore di stato che ha caratterizzato il paese per molti decenni e che ha compiuto un genocidio politico che è probabilmente ancora in corso. I paramilitari fascisti sono ancora lì, e continuano a scomparire regolarmente giornalisti e attivisti per i diritti umani.’’ 1

 

La defascistizzazione degli eserciti, in Sud America, dovrebbe essere la priorità, non soltanto per la sinistra antimperialista, ma anche per la socialdemocrazia-riformista: Washington non ha mai dismesso l’opzione del 1973, una opzione da sempre valida nelle scrivanie del Pentagono e dei paranoici neocons dell’amministrazione Biden.

Un altro regime sudamericano in crisi è quello di Bolsonaro in Brasile, reo d’aver provocato durante la pandemia un autentico genocidio clinico. La fine dell’uribismo e del bolsonarismo, senza alcuna ombra di dubbio, renderanno per Washington molto più incerto il controllo della regione dando spazio a nuovi attori geopolitici: gli stati sovrani dell’America Latina possono guardare con ottimismo alla cooperazione geoeconomica col polo egemonico alternativo eurasiatico.

Continua Shea:

‘’Il pericolo di una reazione fascista è reale, forse in questo momento in Colombia più che in qualsiasi altra parte della regione. Ma come sempre con i piani dell’imperialismo moderno degli Stati Uniti per scatenare un caos improvviso e gigantesco sui suoi nemici, questa è solo una dispettosa speranza di vendetta da parte di un impero che sta perdendo la sua effettiva capacità di infliggere danni. Nonostante le tendenze centriste del cileno Boric, mantiene le sue promesse di smantellare il neoliberismo. L’AMLO del Messico ha nazionalizzato il litio durante la sua campagna di anni per porre fine al paradigma neoliberista del paese. La Bolivia ha rafforzato il suo sviluppo sostenibile e il tenore di vita della sua gente dall’inversione del colpo di stato del 2019. Questo si aggiunge ai decenni di progresso su cui Cuba, Nicaragua e Venezuela stanno costruendo nella loro ricerca per costruire società libere dall’influenza dell’imperialismo. Il Venezuela è arrivato così lontano che gli imperialisti gli chiedono l’elemosina per il petrolio.’’ (Ibidem)

Dopo la disastrosa sconfitta in Afghanistan ad opera dei Taliban, Washington viene considerato da tutti un ‘’predatore ferito’’. Nessuno degli attori geopolitici menzionati da Shea (Messico, Cile, Venezuela e Bolivia) sono propensi a dargli il colpo di grazia, nessuno di loro è ‘’Che’’ Guevara, ma tutti sarebbero ben disposti ad accompagnare il Pentagono, con educazione, al cimitero.

https://rainershea.substack.com/p/despite-the-lefts-victories-warning?fbclid=IwAR2kju0xnKYpBgyPpo8RG9VWzcQ3UBee1De4thkvTBVg7xW1-cgcNR6WTrM

Gustavo Petro e Francia Márquez firmeranno un «Accordo di non  espropriazione» - Infobae

Fonte foto: da Google

 

2 commenti per “La rivolta elettorale in America Latina. Per gli USA più difficile il controllo della regione

  1. gino
    27 giugno 2022 at 16:52

    rispetto agli anni 70-80 c´é una grossa novitá: la cina é diventata di gran lunga il maggior partner commerciale del sudamerica e pare che gli USA non possano fare nulla per impedire questo. all´imprenditoria locale piacciono molto i soldi dei cinesi.

    per capire l´evoluzione futura (e non solo del sudamerica) sará determinante osservare cosa accadrá in brasile nei prossimi anni: se lula verrá rieletto e se si manterrá al potere per tutto il mandato, significherá che il potere USA sul continente é veramente scemato e il condor é spennacchiato.

  2. Paolo
    5 luglio 2022 at 16:27

    Altro che rivolte elettorali, in America Latina è in atto il passaggio dall’era Trump all’era Biden nel cortile di casa americano. Presto toccherà al Brasile con Lula, come è successo in Colombia con Petro.
    Come Uribe era diventato l’uomo di Trump, così Petro è ora l’uomo di Biden in Colombia, non a caso è stata tra loro la prima telefonata dopo la vittoria elettorale con grandi entusiastiche congratulazioni di Biden.
    A cui è seguita un’intervista con accento sulle buone relazioni con gli Usa, attacco alla repressione di Noriega in Nicaragua e salamelecchi all’esercito colombiano.
    Infatti la Colombia ha lo status di alleato strategico degli Usa, come Brasile e Argentina, e tutti e tre hanno votato all’Onu a favore della risoluzione americana di condanna della Russia, a prescindere dalle chiacchiere a vuoto dei politici populisti locali per prendere voti anti-yankee.
    Sul piano interno Petro, da una posizione socialdemocratico-liberal, ha subito messo in atto una svolta verso il centro con candidatura alla presidenza del Senato di un vecchio esponente dell’establishment nonostante le aspre critiche da sinistra, l’apertura a partiti di centro-destra da far entrare nella maggioranza parlamentare, la richiesta (accettata) di un incontro con Uribe con foto-opportunity e reciproca legittimazione con garanzia di un’opposizione costruttiva. Amen.

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