L’allargamento del conflitto

Da più parti si paventa un allargamento del conflitto. Se la forma di questa paura è l’escalation nucleare, allora non è probabile che questo accada. Ma se ci si riferisce all’allargamento ad altri belligeranti, allora naturalmente non c’è proprio nulla da aspettare. L’allargamento è già cosa fatta e solo gli ottusi pensano che questa sia solamente una guerra tra Russia aggressore e Ucraina aggredita. Nostro dovere di osservatori responsabili è guardare al conflitto in corso con obiettività, sia nelle sue cause profonde che, di conseguenza, negli schieramenti tra i belligeranti. Non voler comprendere una guerra significa contribuire a ingrossarla.

 

Sebbene l’ufficializzazione degli schieramenti segua sempre di qualche tempo gli eventi bellici, ritardata da vari fattori, tra cui la propaganda di guerra (che svolge proprio la funzione specifica di distogliere l’opinione pubblica dalla cruda verità dell’inserimento in uno schieramento ricavandone il consenso necessario sotto l’insegna di pretese ragioni “universali”), il conflitto è già in fase di allargamento e gli schieramenti si possono considerare delineati. Bruxelles, dopo aver ampiamente sottovalutato o finto di non vedere la lunga crisi Ucraina, ha fatto solo passi contrari alla pace e le potenze europee (in mancanza di una Europa politica mi esprimo nel solo modo possibile) incrementano le spese militari. La Germania ha aumentato il bilancio per la difesa dall’1,5 al 2% del PIL e lo stesso ha fatto anche l’Italia (passando da 21,4 a 38 miliardi).

 

Gli Stati Uniti armano l’Ucraina da almeno un anno, teoricamente in funzione difensiva contro la Russia, ma di fatto sono impegnati nella destabilizzazione dell’Ucraina dal 2013-2014, quando giocarono un ruolo chiave nel regime change e nella successiva crisi del Donbass poi sfociata in guerra civile. A ciò si aggiunga che nella neutrale Ucraina si sono svolte nel 2021 tre grandi esercitazioni della Nato, come riferisce Alessandro Orsini, e che la politica estera dell’amministrazione Biden ha fin da subito esplicitamente eletto la Federazione russa a minaccia numero uno per l’egemonia globale degli Stati Uniti.

 

Dalla prospettiva europea la chiarissima competizione geopolitica tra Stati Uniti e Russia alla base della guerra in Ucraina viene sottaciuta e chi la indica come causa profonda del conflitto, dicendo qualcosa che dovrebbe essere evidente a tutti, è fatto oggetto di biasimo. Si attende solo l’accusa di disfattismo! Questo accade per il fatto meschino e prosaico che l’UE e l’Italia si sono accodate agli Stati Uniti in modo del tutto supino, seguendoli nella loro miope visione geopolitica. Perché siamo in guerra. Zelenski, personaggio a dir poco mediatico, invoca l’ulteriore allargamento e di fatto la nuclearizzazione del conflitto un giorno sì e l’altro pure e non è affatto evidente che questa sia la strada giusta per il popolo ucraino e per la vita di milioni di persone.

 

Occorre ancora aggiungere che la fase attuale della crisi russo-ucraino-euro-americana arriva non solo dopo la pandemia, ma anche dopo la Brexit. L’agenda anti-russa di Boris Johnson è nota e a questo bisogna aggiungere il riposizionamento del Regno Unito lungo l’asse anglo-americano dopo la Brexit, con l’Ue in una posizione del tutto subalterna.

 

Riassumendo, la contesa russo-americana per l’Ucraina è in corso da otto anni, ma l’invasione russa dello scorso 24 febbraio e l’indisponibilità dell’Ue e dei suoi paesi guida a svolgere un ruolo da attore multipolare determinano il consolidamento degli schieramenti: da una parte il governo di Kiev sostenuto militarmente dagli Stati Uniti e dalla Nato, dall’Ue e dai suoi stati membri a diversi livelli di coinvolgimento, prevedibilmente, e più o meno in quest’ordine di coinvolgimento Francia, Germania, Olanda e via via gli altri,  Italia compresa; dalla Georgia e dal Giappone. Dall’altra Russia, Bielorussia, Transnistria, Siria, Cuba, Venezuela.  La Cina, nonostante la sua cautela a accortezza diplomatica, alla lunga potrebbe sostenere Mosca all’occorrenza, con un aiuto che sarà modulato in funzione delle necessità e dell’evoluzione del conflitto.

 

Se le dimensioni del conflitto non appaiono ancora abbastanza evidenti, si può aggiungere che secondo Kiev, alla data del 6  marzo sono almeno 20 mila i “foreign fighters” provenienti da 55 Paesi che hanno fatto ingresso in Ucraina per combattere contro l’esercito russo. Nelle fila dei volontari c’è un po’ di tutto: neo-nazisti, islamici radicali, liberali ingenui, panturchi e vari russofobi. Secondo testimonianze dirette dal fronte di guerra raccolte da Paul Antonopoulos, i volontari stranieri sono stati mandati sulla linea del fronte con armi ed equipaggiamenti insufficienti e se rifiutano di andare a combattere vicino a Kiev i soldati ucraini minacciano di ucciderli. Il 15 marzo il governo australiano ha ammonito che i volontari in Ucraina rischiano  di diventare facilmente  carne da cannone.

 

Non è la terza guerra mondiale, o meglio non è probabile che lo diventi, salvo che per pura follia si dovesse accogliere la richiesta di Zelensky di una no fly zone: in questo caso l’apocalisse nucleare sarebbe tutt’altro che un’ipotesi remota. La Russia sta usando le armi convenzionali, è evidente che in conflitti come la Siria o l’Ucraina le grandi potenze Russia e Stati Uniti ricorrono non al loro potenziale nucleare completamente distruttivo, ma ad un coinvolgimento e un impegno commisurati al risultato che intendono ottenere, ossia la ridefinizione delle rispettive sfere di influenza. In Siria non andò diversamente e hanno lasciato, con l’attiva partecipazione delle potenze europee e delle monarchie del Golfo, un paese squartato e nel caos, senza riuscire ad intaccare le posizioni conseguite dalla Russia, vera vincitrice del conflitto. Questo ovviamente non vuol dire che a forza di alimentare, anche sotto le mentite spoglie della pace, la furia bellicistica, il gioco non rischi di sfuggire di mano. Per chi ragiona da grande potenza, come è purtroppo il caso degli Stati Uniti e della Russia, i conflitti sono anche il terreno sul quale mettere alla prova armi convenzionali sofisticate, dunque una breve durata non è per loro uno scenario desiderabile. Per gli Stati Uniti, Siria o Ucraina non fa molta differenza e questo dovrebbe far riflettere gli europei.  Per altro anche in Siria il conflitto tra i blocchi guidati da Russia e Stati Uniti fu preceduto dalla destabilizzazione della regione e dalla guerra civile.

 

Incombe ora sulle classi dirigenti europee la corresponsabilità di aver portato un Medio Oriente dentro lo spazio europeo. È bene che lo capisca quanto prima chi pensa di risolvere tutta la questione battendosi i pugni sul petto contro l’autocrate Putin. Come cittadini italiani ed europei dovremmo chiamare a rispondere le nostre classi dirigenti prima di ogni altra cosa. Portano la grave responsabilità di aver incoraggiato la competizione geopolitica globale tra Stati Uniti e Russia ancorché pienamente leggibile, nella cinica convinzione che avrebbe dilaniato solo una terra “lontana” come la Siria, alla quale si poteva riservare un tot di saltuaria ipocrita contrizione. Nella convinzione che si poteva tenere Aleppo sotto la soglia della coscienza. Che di fronte alla fulgida intesa con i peggiori dittatori, la retorica sarebbe sempre bastata a nascondere l’offesa ai “valori dell’Occidente” commessa dall’occidente ogni volta che è convenuto, perdendo sempre più in credibilità. Nella convinzione che mai la valanga ci avrebbe travolti. Le nostre classi dirigenti.

 

 

https://www.linterferenza.info/esteri/ruolo-degli-stati-uniti-nella-crisi-ucraina/

 

http://axisoflogic.com/artman/publish/Article_91841.shtml

Orsini: «Gigantesche esercitazioni Nato in Ucraina già nel 2021. Putin  disse "Fermatevi!"», ma l'hanno ignorato (Video) - Rassegne Italia

Fonte foto: da Google

 

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