Le crisi di astinenza bellica della borghesia americana

I sinistri bagliori dei missili sulla la base militare siriana di Shayrat hanno illuminato, più che la situazione militare della Siria, resa oscura da notizie false provenienti da ogni dove, la scena politica americana, e quella dei satelliti europei.
Sono rimasti sorpresi quei politici e quei giornalisti che avevano visto in Trump l’artefice di una politica che rompesse col militarismo dei Bush, dei Clinton, di Obama.
Trump isolazionista, protezionista, antiglobalizzazione, mira agli affari e non alla guerra, si diceva. Ma l’isolazionismo non fu una politica di pace, fu un relativo distacco dalla scena europea per concentrarsi sul rivale del Pacifico, il Giappone, contro cui gli Stati Uniti si prepararono industrialmente, psicologicamente, ed infine anche militarmente. Il protezionismo prevede blocchi, controlli, pattugliamenti di navi militari, interruzioni delle rotte marittime e terrestri; essere contro la globalizzazione, per il borghese vuol dire erigere muri, reticolati.
Sentiamo cosa dicono giornalisti che apprezzavano Trump.:
Foa Scrive:
“Verrebbe da dire: c’era una volta Trump.
C’era, fino a poche settimane fa, un presidente che prometteva un’America diversa da quella di Obama ma anche di Bush, di Clinton, di Bush padre. Un’America intenzionata a rompere nettamente con la dottrina neoconservatrice, che in nome della lotta al terrorismo e di un mondo migliore ha ottenuto, dal 2001 ad oggi esattamente l’opposto: più instabilità in tutto il Medio Oriente, più fondamentalismo islamico, la nascita dell’Isis e una serie di attentati nelle capitali europee. Quell’America si proponeva di non essere più il poliziotto del mondo e pareva ansiosa di fare la pace con Putin.”1
Ma Trump – si sostiene- è stato riassorbito dallo stato profondo.
Chi si era spinto più in là di tutti era Thierry Meyssan, che titolava: “Donald Trump smantella l’organizzazione dell’imperialismo statunitense” solo perché, Trump, in un Memorandum per l’organizzazione del Consiglio di sicurezza nazionale e del Consiglio di sicurezza della patria (Homeland Security), prevedeva l’esclusione della CIA dal Consiglio di sicurezza, salvo i casi in cui la questione trattata lo richiedesse. Ma in un aggiornamento del 31 gennaio 2017 lo stesso Meyssan specificava:
“in seguito alle reazioni indignate della classe dirigente statunitense, Donald Trump ha annunciato, tramite portavoce, che questo Memorandum verrà emendato e, probabilmente, il direttore della CIA sarà autorizzato a partecipare in maniera permanente al Consiglio.” 2
Però Meyssan è anche colui che meno crede al “tradimento” di Trump.
“Donald Trump ha ordinato di lanciare razzi da crociera su una base quasi vuota dopo avere informato il mondo intero, tra cui la Russia e la Siria. Damasco, sacrificando questa base e la vita di qualche uomo gli ha dato l’autorità per condurre una vasta azione contro tutti quelli che impiegano armi chimiche. Ora, a tutt’oggi, i soli utilizzatori di queste armi identificati dalla Nazioni Unite sino i jihadisti.” 3
Non è molto convincente.
Quale sarà la vera politica militare di Trump – sembra cambiare ogni pochi giorni – lo si vedrà in futuro. Sicuramente continuerà a bombardare, col permesso di Putin o per scelta unilaterale. Non è possibile accettare, poi, l’idea di Meyssan che sia possibile “smantellare” con un decreto l’organizzazione dell’imperialismo americano. L’imperialismo – chiarì Lenin – non è una politica: «… l’imperialismo e il capitalismo finanziario sono una sovrastruttura del vecchio capitalismo. Se se ne demolisce la cima, apparirà il vecchio capitalismo» 4.
La II guerra mondiale demolì l’apparato imperialistico di Germania, Giappone e Italia, ben presto ricostruito in funzione della guerra fredda, sotto controllo USA. Per distruggere l’apparato imperialistico USA ci vorrebbe una terribile sconfitta militare o una rivoluzione. Escludere la CIA dal Consiglio di Sicurezza, ammesso che Trump riesca o voglia farlo, sarebbe al massimo un passo verso l’accentramento dei poteri nella persona del presidente.
La questione messa in risalto dall’ultima decisione militare è un’altra: la classe dominante USA, e non solo questa, trova la sua unità nella guerra. Non appena si profila una tregua, ecco che scoppia la rissa; appaiono i dossier compromettenti (veri o inventati, poco importa), le minacce di impeachment. Ogni tanto qualche personaggio in piena salute fino al giorno prima, muore all’improvviso d’infarto, o ha un incidente stradale. Quando però inizia un’operazione bellica, anche assurda sul piano militare, ma non su quello politico, come questa, in cui si avverte prima, in modo da effettuare lo sgombero, e la maggior parte dei missili vanno fuori bersaglio, tutto si aggiusta, purché la spesa sia ingente; alla faccia del contribuente americano, che deve sborsare. La borghesia americana può dimenticare le sue enormi divisioni solo con operazioni belliche. Come il drogato, che ha bisogno della sua dose, così le società di classe hanno bisogno di sacrifici umani, come per i romani, i ribelli di Spartaco crocifissi o il pollice verso per i gladiatori perdenti, così l’imperialismo cui occorrono le periodiche stragi di popoli o la repressione di proletari e diseredati nelle metropoli. Alcuni personaggi, come la Lady Pandora Clinton o il guerrafondaio McCain si sono autoeletti sacerdoti di questi sacrifici umani, e invocano sempre e comunque la guerra.
Dove sono finiti i missili che non hanno centrato il bersaglio? Non si tratta di caramelle, se sono finiti in mare sono un pericolo per la navigazione, se sono caduti a terra devono avere fatto un disastro terribile. Viene persino il dubbio che esistano veramente, anche se possiamo scommettere che sono stati pagati. Qualcuno ha fatto la cresta?
Una sinistra fasulla, che ha sostituito Keynes a Marx, parla di keynesismo militare. Le spese militari salverebbero l’economia. In realtà Bucharin, che Lenin apprezzava come economista perché «conosceva a menadito il Capitale», ha dimostrato che la spesa militare, se arricchisce certe industrie, ne sacrifica molte altre. Ha dimostrato che favorisce il processo di centralizzazione, e che, accanto a uno spreco colossale di forze produttive, organizza “l’economia nazionale” sottoponendola sempre più al poter congiunto del capitale finanziario e dello stato. […] Quando si perdono i mercati, periscono interi settori produttivi perché manca una domanda solvibile, viene sconvolto tutto il sistema creditizio, ecc. I gruppi maggiormente toccati (qui non parliamo degli operai, naturalmente) sono gli strati intermedi della borghesia: sono essi in primo luogo a fare bancarotta. Al contrario la grande industria cartellizzata non sta affatto male.”5(5)
La produzione di plusvalore diminuisce per l’impiego nelle attività militari di una gran parte della forza lavoro, ma i profitti della grande borghesia crescono, a scapito di quelli della media e piccola borghesia.
Ma, si dirà, gli Stati Uniti nelle guerre mondiali, si sono arricchiti. Vi sono entrati in ritardo, vendendo per anni prodotti e armi ai belligeranti, poi si sono impadroniti dei capitali tedeschi in America latina, hanno ricattato la stessa Inghilterra imponendole la cessione per quattro soldi delle proprie imprese in America Latina, e hanno arraffato brevetti importantissimi della Germania sconfitta. Queste sono solo le ruberie più clamorose.
Non è quindi il keynesismo di guerra che spiega la febbre bellica degli USA. Si tratta, invece, di una malattia mortale, che porterebbe alla guerra civile, se la tensione non fosse trasferita all’esterno. E il malcapitato può essere chiunque. La piccola innocua Grenada, Noriega, Saddam, beniamino degli USA finché combatteva la repubblica islamica d’Iran; in Afghanistan, prima Najibullah, poi i suoi nemici talebani, la Libia, la Siria, lo Yemen, la Somalia … Dovunque la borghesia americana ha bisogno di lanciare missili, di far girare droni a caccia di terroristi veri o presunti, a costo di bombardare il deserto, come un pugile suonato che quando sente il gong, si mette a picchiare il primo che capita.
Per questa malattia c’è un’unica cura, la rivoluzione.

Fonte:  Sotto le bandiere del Marxismo www.rottacomunista.org

Note

1) Marcello Foa, “Attenti: hanno “normalizzato” Trump”, blog Il giornale, 7 aprile 2017.
2) Thierry Meyssan, “Donald Trump dissout l’organisation de l’impérialisme états-unien”,Réseau Voltaire, 30 gennaio 2017.In Italiano su Rete Voltaire.
3) Thierry Meyssan, “Donald Trump affirme son autorité sur ses alliés”,Réseau Voltaire | Damasco (Siria) | 7 aprile 2017. In italiano su Rete Voltaire.
4) Lenin, “VIII Congresso del PC(b)R, Rapporto sul programma del Partito”,19 marzo 1919.
5) N. I. Bucharin, “L’economia mondiale e l’imperialismo”

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Fonte foto: Atletica Cinisello (da Google)

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