L’Europa e le terre bruciate

Si parla, spesso a sproposito, di liberismo, mentre è in corso la più complessa operazione protezionistica di tutti i tempi. Gli Stati Uniti, autonominatisi protettori del libero commercio, in realtà hanno quasi sempre mantenuto tariffe doganali altissime e le hanno abbassate quando l’Europa era in macerie per la seconda guerra mondiale. Se nel 1945 avevano l’assoluto predominio militare, finanziario, industriale, hanno visto eroso questo vantaggio, e cercano di conservare la supremazia con ogni mezzo, sabotando rivali attuali o futuri. Non c’è, nella classe dirigente statunitense, distinzione tra falchi e colombe, perché – a parte differenze di linguaggio, più diplomatico in Obama e nella sua fazione – lo scopo è sempre l’egemonia USA. Anzi, troviamo frammenti di verità nei discorsi dei “cinici”, come Brzezinski o Luttwak, piuttosto che nelle suadenti espressioni dei presunti pacificatori. Era chiaro, per chi non ha mai creduto a Obama, che il “pivot to China” era una formula propagandistica. Altrimenti, come spiegare questa notizia de “Il Sole 24 Ore? “Il Fondo monetario ha approvato oggi l’inclusione dello yuan, la moneta cinese, nel paniere delle valute di riserva. La decisione è stata presa dal consiglio esecutivo, che riunisce i rappresentanti dei Paesi membri dell’istituzione di Washington, e ha aggiunto lo yuan a dollaro, euro, yen e sterlina come componente dei diritti speciali di prelievo, la valuta di riserva dello stesso Fmi.” “…l’inserimento dello yuan nei dsp ha alcune importanti conseguenze pratiche: dovrebbe infatti produrre un graduale flusso di fondi sullo yuan da parte delle banche centrali, dei fondi sovrani e delle altre istituzioni multilaterali, flusso che in parte è già cominciato (una settantina di banche centrali hanno investito parte delle loro riserve ufficiali in yuan). La sola riallocazione di un 1% delle riserve internazionali sullo yuan significherebbe un flusso di 80 miliardi di dollari l’anno”.(1) Se gli USA fossero stati contrari, la Cina sarebbe ancora in attesa. L’Europa, bloccata da una serie crescente di problemi economici e politici, vedrà sicuramente molti capitali passare dall’euro allo yuan, e le imprese abbasseranno ulteriormente le condizioni di vita dei lavoratori col pretesto della concorrenza cinese. Quanto agli Stati Uniti, per proteggersi dalla concorrenza non devono far altro che trovare un difetto nel prodotto, e costringere l’impresa a ritirarlo dal mercato. La Volkswagen ne sa qualcosa. Ma guai a quel paese che prova a fare la stessa cosa con un prodotto americano. L’obiettivo principale non è la Cina, ma il controllo USA sull’Europa (e sul Giappone), come sosteniamo da tempo. Lo riconoscono ormai molti giornalisti e studiosi, per esempio Pierluigi Fagan: “Il pivot to Europe, il piano che non c’è ma si vede, ovvero staccare l’Europa dalla Russia accerchiata ed isolata, sarà così definitivamente implementato. Missili nel nuovo Kurdistan, nel Caucaso turco, in Georgia, in Ucraina, in Polonia, nelle repubbliche baltiche terranno occupati russi ed iraniani” (2) Si tratta di mantenere il dominio delle fonti energetiche, favorendo quelle delle nazioni “amiche” (Arabia Saudita, Qatar, Kuwait…) sbarrando la via ai paesi non controllati dagli USA. Il caso del caccia russo abbattuto dai turchi dovrebbe aprire gli occhi a molti. Dinucci scrive: “Chi allora in Turchia aveva interesse ad abbattere volutamente il caccia russo, sapendo quali sarebbero state le conseguenze? La frase di Erdoğan «Vorremmo che non fosse successo, ma è successo, spero che una cosa del genere non accada più» implica uno scenario più complesso di quello ufficiale. In Turchia ci sono importanti comandi, basi e radar NATO sotto comando USA: l’ordine di abbattere il caccia russo è stato dato all’interno di tale quadro.” (3) Perché Erdogan avrebbe dovuto sabotare un progetto così ambito? Ha dato l’ordine costretto da ricatti, o si è trovato di fronte a un fatto compiuto, con conseguenze economiche e politiche disastrose? Una tesi diversa è sostenuta, invece, da Meyssan: “La distruzione del Sukhoi 24 da parte della Turchia non è un incidente, ma un’operazione a lungo pianificata per spingere la Russia fuori della zona destinata a essere occupata da Francia, Israele e Regno Unito. La NATO, che ha seguito in dettaglio sia l’operazione russa contro le milizie turcomanne sia l’attacco turco, ha scelto di non intervenire.” “La Turchia ha avuto una pessima ispirazione nell’abbattere un aereo russo che era entrato per 17 secondi nel suo spazio aereo. L’operazione che era stata concepita per far capire alla Russia che non dovrebbe interferire nella Terza Guerra di Siria – destinata a creare uno stato coloniale nel nord del paese e a trasferirvi i curdi della Turchia – ha avuto l’effetto contrario. Mosca rafforza i suoi mezzi anti-aerei in Siria e isola la Turchia. Ankara perde il beneficio dell’accordo verbale segreto a suo tempo raggiunto con Hafez al-Assad. Londra, Parigi e Tel Aviv non sanno più come portare avanti il loro piano.” (4) L’accordo verbale di Ankara col padre di Assad prevedeva che l’esercito turco potesse entrare in territorio siriano, in una striscia di 8 chilometri di profondità, per impedire che il PKK sparasse colpi di mortaio dal territorio siriano. La Turchia, di fatto, ha considerato tale terre come annesse. Due interpretazioni diverse, di Meyssan e di Dinucci; il primo vede come attori Turchia, Israele, Gran Bretagna e Francia, mentre gli USA si sarebbero limitati a dare il consenso, il secondo privilegia la questione del gasdotto e accentua il ruolo USA. Se poi si leggono gli scritti dei collaboratori di Limes, geopolitici, specialisti del Medio Oriente o di singoli paesi, si ha un quadro ancora diverso, il rapporto tra ISIS e gli stati appare più sfumato. E risulta che l’attività commerciale, legale e illegale, con i jihadisti e tra belligeranti, è fiorente, cosa che può stupire solo chi crede che il commercio sia un fattore di pace. Daniele Santoro scrive : “…quando si tratta di fare affari Erdogan non va tanto per il sottile, come dimostra il fatto che nel 2014 l’interscambio commerciale tra Turchia e Siria sia tornato ai livelli pre- guerra”. (Limes, n. 11- 2015, pag. 33). Tornando all’aereo abbattuto, è difficile dire, con gli elementi che abbiamo, dove comincia la scelta e dove la costrizione, l’inganno, la trappola. E’ certo, per quasi tutti, che Washington sapeva tutto fin dall’inizio. Putin deve fingere di essere sicuro che l’ordine è di Erdogan, e che l’aereo nel Sinai è stato colpito dall’ISIS (la rivendicazione, da parte dello Stato islamico, di attentati che non ha compiuto perché non ne aveva i mezzi, è una delle tante prove che è uno strumento dell’imperialismo). Se i russi arrivassero alla conclusione che il vero mandante dei due abbattimenti sono gli USA, ci sarebbero gigantesche manifestazioni contro Washington, si vedrebbero i veri limiti del decisionismo del leader russo e la fama di Putin come condottiero ardimentoso cadrebbe in poche ore. Non ci meraviglieremmo, inoltre, se all’improvviso scoppiasse qualche grosso problema per il North Stream; per evitarlo la Germania si mostra ubbidiente e manda i suoi aerei a bombardare in Siria, non l’ISIS, ma le infrastrutture del paese, come Francia e USA. Ma non è detto che questa sottomissione paghi, e che il North Stream possa continuare tranquillamente a funzionare. La logica dell’imperialismo è analoga a quella della mafia: ti devi servire dai negozi che indichiamo. Se ci sono concorrenti, un incendio “fortuito” distruggerà i loro magazzini. E sono molte le terre bruciate: la guerra in Siria e l’ISIS hanno reso impossibile il trasporto di gas e petrolio iraniano in Europa attraverso Iraq e Siria, il caos indotto dall’esterno rende impossibile lo sviluppo dell’industria petrolifera somala, sudanese, libica, Boko Haram mette in pericolo la Nigeria e non solo. Si distruggono interi paesi, e s’impedisce all’Europa di rifornirsi dove crede., ma si continua a inneggiare al libero commercio. Fagan, nell’articolo citato, fa un’ipotesi interessante: ”. “Non è detto che una improvvisamente violenta guerriglia nel Sinai prima di mandare i tagliagole da altri parti, non sottragga la penisola all’Egitto (in cui al-Sisi è in prossima scadenza) permettendo così il passaggio di un secondo bocchettone questa volta saudi-emirates rivolto a gli europei occidentali.” Se così fosse, l’Europa non avrebbe altra scelta, dovrebbe legalizzare l’ISIS, dopo un cambio di nome e di casacca. E rifornirsi esclusivamente dai fornitori autorizzati dagli USA, Arabia S., Qatar, Kuwait… C’è, è vero, la proposta di Madrid del 2014, di sostituire il gas russo con quello algerino.(5) Non se ne farà nulla, a meno che gli USA non sottopongano l’Algeria a un trattamento speciale che la renda permeabile ai comandi di oltre Oceano. Non è un caso se l’Algeria ha comprato dalla Russia gli S-400 Triumph per difendersi. (Meyssan, art. citato). Ma il gasdotto algerino verso l’Italia passa dalla Tunisia, dove sarebbe facile insinuare commando ISIS per disturbare l’afflusso. I governi italiani sono, rispetto alla Casa Bianca, come zerbini con scritto “Salve”, e se l’ISIS o qualche altro gruppo uscito dal cilindro di zio Sam, riuscisse a bloccare o a disturbare il gasdotto che dall’Algeria giunge in Italia, il nostro governo ringrazierebbe Washington, per il suo “aiuto” contro il terrorismo. C’è la Germania, che è ancora una grande potenza industriale. Con una politica particolarmente arrogante e grossolana, il governo Merkel ha suscitato antipatie in tutta Europa, per cui è facile per la propaganda filoamericana accollare alla Germania anche le colpe di Washington. Ma è il solo paese da cui potrebbe venire un’efficace opposizione al progetto americano, al TTIP, cioè al completo asservimento dell’Europa alle compagnie americane. Se la manovra della Casa Bianca riesce e la Germania cede, si riprodurrà le soluzione di Lord Ismay, primo segretario generale dell’Alleanza atlantica, di “tenere i russi fuori, l’America dentro, e la Germania sotto”. E con essa l’Europa tutta. A noi non preme certo salvare gli interessi della disonorata classe dirigente italiana o dell’arrogante borghesia tedesca. Se il piano USA riuscisse, dovremmo rimandare a generazioni successive, non solo la rivoluzione, ma anche la ripresa di semplici lotte rivendicative. Se fallisse, con una sconfitta anche solo economica e diplomatica di Washington, ciò potrebbe suscitare la ripresa della lotta di classe in America e in Europa.
Note
1) Alessandro Merli, “L’Fmi promuove la Cina: lo yuan entra tra le valute di riserva”, “Il Sole 24Ore” 30 novembre 2015.
2) “Pivot to Europe. Il Piano che non c’è ma si vede”, Pierluigi Fagan, Sinistra in rete, 1 dicembre 2015.
3) Manlio Dinucci, il manifesto. “Missile contro il gasdotto.”
4) “Perché la Turchia ha abbattuto il Sukhoi russo?”, T. Meyssan, Megachip- Globalist, 30 novembre 2015. Si veda anche: “L’inconfessabile progetto di uno pseudo-Kurdistan”, T. Meyssan ,Comedonchisciotte, 8 dicembre 2015.
5) “La Spagna propone alla UE di sostituire il gas russo con quello algerino” La Voce della Russia, 21 aprile 2014.

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