Riflessioni sull’intervista di Putin al Corriere

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La lunga intervista del Corriere della Sera a Putin contiene diversi spunti sui quali sarebbe opportuno riflettere. In effetti, leggere la versione “del nemico” dell’Occidente sulle cose del mondo è assai utile, soprattutto quando rimette in ordine alcune verità fattuali completamente distorte dall’informazione liberale. Non bisogna essere “putiniani”, geopolitici o rossobruni, cedere alle sirene dell’eurasiatismo o approdare a rifiuti “culturali” dell’occidentalismo per comprendere come le ragioni della Russia siano completamente svalutate nella lettura quotidiana degli interessi strategici in campo nell’attuale scontro tra Usa-Ue e Russia. Perché se la Russia è un paese capitalista guidato da un governo conservatore (e su questo ci possono essere pochi dubbi), non per questo è automatica una simmetria tra questa e le potenze occidentali.

Non c’è alcuna lotta per l’egemonia regionale o globale, detto altrimenti, quanto un attacco geopolitico, portato avanti sia economicamente che militarmente, contro la Russia. Alcuni passaggi dell’intervista sono, appunto, parte di quella verità fattuale negata a priori dalle retoriche europeiste. E una certa indipendenza di giudizio e di autonomia politico-culturale dovrebbe consentirci di interpretare la realtà con strumenti antimperialisti e internazionalisti, non imboccati dai media mainstream. Perché per quanto lo si voglia negare, assecondare la campagna politico-mediatico-culturale contro la Russia promossa da tutti i centri del potere liberal negli Usa e in Europa, significa esattamente questo. Senza venire meno alla critica decisa alle politiche reazionarie del governo di Putin; senza per questo cedere, come dicevamo, a l’ambiguità di un’intelligenza con il nemico in funzione anti-europeista, oggi bisogna dire che la “versione di Putin” ha la forza di ristabilire alcune verità.

“Perché quando si integrano i Paesi europei è considerato normale, ma se noi nello spazio post-sovietico facciamo lo stesso si cerca di interpretarlo come il desiderio della Russia di ricostruire una specie di impero?”

Questo assunto è parte dell’indicibile per l’opinione pubblica europea. Si dirà che l’unione “fra pari” della Ue non è paragonabile all’assoggettamento economico e politico dei paesi confinanti con lo Stato russo. Ma l’Unione europea è una costruzione tra pari? Le vicende greche, la germanizzazione del continente, il ruolo della Bce guidata dalle politiche monetarie tedesche, costituiscono l’esempio di un’aggregazione tra pari? Oppure non rappresentano, anch’esse, il tentativo di costruire un contesto economico-produttivo favorevole all’espansione tedesca? E’ evidente che l’unione doganale dell’area post-sovietica mira ad espandere le potenzialità economiche del soggetto forte, la Russia, ma se questo viene assunto come dato di fatto, dovrebbe valere anche per la costruzione della Ue come si è andata formalizzando in questo decennio.

“Le spese militari degli Stati Uniti sono superiori alle spese militari di tutti i Paesi del mondo messi insieme. Quelle della Nato sono 10 volte superiori a quelle della Federazione russa. La Russia praticamente non ha più basi militari all’estero. La nostra politica non ha un carattere globale, offensivo o aggressivo. Pubblicate sul vostro giornale la mappa del mondo, indicando tutte le basi militari americane e vedrete la differenza. Le faccio degli esempi. Vicino alle coste della Norvegia ci sono i sommergibili americani in servizio permanente. Il tempo che ci mette un missile a raggiungere Mosca da questi sottomarini è di 17 minuti. E volete che noi ci comportiamo in modo aggressivo? Noi non ci muoviamo da nessuna parte, è l’infrastruttura della Nato che si avvicina alle nostre frontiere. E’ la dimostrazione della nostra aggressività? Infine, gli Stati Uniti sono unilateralmente usciti dall’Accordo sulla difesa antimissile, l’Abm, pietra angolare su cui si basava gran parte del sistema di sicurezza internazionale. Un’altra prova di aggressività? Tutto quello che facciamo è rispondere alle minacce nei nostri confronti. E lo facciamo in misura limitata, ma tale da garantire la sicurezza della Russia. O qualcuno forse si aspettava un nostro disarmo unilaterale? Un tempo avevo proposto ai nostri partner americani di costruirlo insieme in tre il sistema di difesa anti-missile: Russia, Stati Uniti, Europa. La proposta è stata rifiutata.”

Anche questo passaggio afferma ovvietà che tali non sono evidentemente per il cittadino mediamente informato. Per mesi (o, per meglio dire, per anni), è stato fatto credere che fosse la Russia a premere verso gli stati confinanti cercando di destabilizzare la situazione, così come la narrazione ufficiale vuole che sia la Russia la protagonista del processo di ri-militarizzazione generale. I fatti ci dicono altro. Da un ventennio abbondante è la Nato che progressivamente si sta spostando verso est, così come sempre la Nato è stata la protagonista dello smembramento di uno Stato sovrano, la Jugoslavia, prima favorendo economicamente gli indipendentismi interni e in seguito bombardando il cuore dello Stato, la capitale serba; per non dire, ovviamente, della questione Kosovo. Jugoslavia e Russia rappresentano casi con caratteristiche estremamente simili. Ambedue paesi plurinazionali, con importanti tensioni secessioniste al proprio interno, ed entrambi territori interessati alla dislocazione produttiva europea. L’esempio jugoslavo rimane ben presente nella memoria russa, una situazione da non ripetere, e il primo passo per non replicare la sequenza che portò allo smembramento dello Stato sta proprio nel tenere lontana l’alleanza militare atlantica dai propri confini. Al di là che questi confini siano oggi amministrati da un governo di destra, non sarebbe lo stesso atteggiamento che dovrebbe tenere anche un governo “di sinistra”?. Insomma, al di là di Putin, un certo interesse all’indipendenza nazionale non dovrebbe costituire una delle basi per una politica davvero progressista? Non è proprio questo il collante cardine della rivoluzione bolivariana in America Latina?

“Solo una persona non sana di mente o in sogno può immaginare che la Russia possa un giorno attaccare la Nato.”

E’ proprio questa la questione. E’ evidente che la Russia non attaccherà mai un paese dell’alleanza atlantica: in primo luogo, perché non se lo può permettere militarmente; secondo, perché non è nelle sue convenienze strategiche. La Nato, al contrario, ha in questo ventennio attaccato decine di paesi, bombardandoli a volte “umanitariamente” a volte senza infingimenti retorici. E’ per questo che non c’è alcuna simmetria tra Usa-Ue e Russia: da una parte c’è l’aggressore, dall’altra l’aggredito, e se l’aggredito non è un paese progressista non per questo lo rende meno vittima di una politica imperialista. D’altronde, neanche l’Etiopia invasa da Mussolini era il paradiso in terra, così come non lo era l’Iraq di Saddam, ma questo fatto non cambiava di una virgola il ruolo dei protagonisti in campo: da una parte, sempre lo stesso peraltro, un aggressore; dall’altra l’aggredito.

La vicenda ucraina è invece un evento che nel corso del tempo ha subito una “resistenza controinformativa” capace di riequilibrare in parte l’informazione a senso unico. Sebbene sia sempre schiacciante la versione che vuole la Russia paese aggressore di un paese libero e attraversato anch’esso da una primavera liberal-europeista, la presenza evidente dei nazisti quali protagonisti principali del golpe di Kiev, così come lo smaccato ruolo degli Usa nel favorire il regime change, hanno col tempo spento i primi innamoramenti per “Euro-Majdan”.

“Attorno a cosa è nata questa diatriba? L’ex presidente Yanukovich disse che aveva bisogno di riflettere sulla firma dell’Accordo d’associazione Ucraina-Ue, forse per ottenere dei cambiamenti e consultarsi con la Russia, il partner principale dell’Ucraina. Sotto questo pretesto sono cominciati i disordini a Kiev, appoggiati attivamente dai nostri partner sia europei che americani. Poi è venuto il colpo di Stato, un’azione assolutamente anticostituzionale. […] Non eravamo contrari alla firma dell’accordo tra Ucraina e Ue. Però, certo, volevamo partecipare all’elaborazione delle decisioni finali, considerando che l’Ucraina fa parte della nostra zona di libero scambio e ci sono impegni reciproci che ne derivano. Come si può ignorare questo fatto e non rispettarlo?”

Da diverso tempo l’Ucraina stava abbandonando la sfera d’influenza russa per entrare nell’orbita Ue. Era un fatto incontrovertibile, una tendenza che la Russia provava a frenare per salvaguardare i propri interessi economici ma non poteva impedire. Perché allora tale accelerazione? Anche in questo caso la vicenda greca dovrebbe illuminare sul diverso trattamento informativo riservato ad eventi comparabili. Tre anni fa solo l’ipotesi di un referendum sugli accordi tra Grecia e “Troika” impose le dimissioni del governo Papandreu e l’abolizione della proposta (ricordiamo: un referendum già fissato). Eletto Tsipras, la sola ipotesi di accordi commerciali della Grecia con la Russia, capaci di mantenere in vita l’economia ellenica, produsse la serie di ricatti anch’essi volti ad impedire alla Grecia decisioni sovrane.

Questa la Ue, la stessa che in questi due anni di guerra in Ucraina vorrebbe affermare la sovranità del paese contro gli interessi della Russia, legata all’Ucraina da accordi di libero scambio e dunque con economie integrate simili alla zona Ue.  Possiamo anche contestarlo, ma non possiamo negare la legittimità degli interessi russi a difesa delle sue zone di libero scambio. Escludere la Russia dallo sviluppo commerciale ucraino, ipotizzare un suo ingresso nell’alleanza militare atlantica, prevedere basi militari a ridosso dei confini russi (peraltro a ridosso del confine meno difendibile, pianeggiante, senza ostacoli naturali), significherebbe ragionare da buon samaritano di fronte a una potenza di fuoco che non aspetta altro che il cedimento politico per attuare l’annessione economica. La reazione della Russia è allora non solo perfettamente comprensibile, ma addirittura auspicabile, visto che il mondo unipolare a egemonia capitalistico occidentale è il presupposto delle politiche imperialiste in giro per il mondo, per l’espansione del neoliberismo quale unica forma di sviluppo possibile. E se la storia non si fa con i se, immaginiamo per un attimo l’ingerenza russa in un colpo di Stato in un paese interno alla Nato e alla Ue. Quale sarebbe la risposta? Non la sappiamo, perché in questi vent’anni le aggressioni, le ingerenze, i regime change, le rivoluzioni colorate, sono state tutte a senso unico. Ecco perché la Russia, stato capitalista reazionario, non è equiparabile neanche lontanamente alle politiche imperialiste occidentali. Non in via teorica, ma dall’esperienza pratica di questi ultimi due decenni. E’ la realtà a smentire le narrazioni tossiche del capitale, e non riconoscerlo significa fare il gioco di chi oggi determina i destini del mondo.

Fonte: http://www.sinistrainrete.info/geopolitica/5320-militant-riflessioni-sullintervista-di-putin-al-corriere.html

3 commenti per “Riflessioni sull’intervista di Putin al Corriere

  1. armando
    18 Giugno 2015 at 21:54

    Naturalmente concordo con l’analisi. Però voglio fare un’osservazione e una domanda.
    L’osservazione: la Russia, è scritto, sarebbe un paese capitalista guidato da un governo conservatore. Interessante, se pensiamo che si contrappone ad un altro paese capitalista guidato però da un governo progressista. Dimostrazione del fatto che i conservatori non sono affatto peggiori dei progressisti.
    La domanda: quali sarebbero le politiche reazionarie di Putin da cui prendere le distanze con decisione?

    • Radek
      18 Giugno 2015 at 23:01

      Concordo con l’analisi.
      Ma abbiamo un obbligo morale ad essere progressisti?
      Come si profila questo progressismo a cui dobbiamo non si capisce la ragione aderire. Individualismo di massa, matrimoni gay, pensiero unico, mercificazione ad oltranza, omologazione, immigrazionismo, libera circolazione di tutto.
      Le elite deteritorializzate si sono impadronite dei luoghi della sinistra e li usano bloccando ogni discorso critico.
      Le vittime del progressismo sono i ceti dominati.
      Andrea rdk

  2. 20 Giugno 2015 at 7:34

    “E’ la realtà a smentire le narrazioni tossiche del capitale, e non riconoscerlo significa fare il gioco di chi oggi determina i destini del mondo”.

    Qui l’autore pecca di ottimismo, purtroppo. Sono le narrazioni tossiche del capitale a smentire la realtà, non il contrario. Il processo di disintossicazione richiede una perseveranza che molti nemmeno si possono permettere.

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