Il Venezuela e il nemico principale

Questa nota non è una critica particolareggiata dell’articolo “Venezuela. Il punto sul “processo sociale bolivariano” di Sebastiano Isaia; cerco di evidenziare alcuni punti secondo me inaccettabili.
S.I. scrive:
“A mio avviso è una pura e reazionaria illusione … credere che il lavoro di costruzione proletaria e internazionalista … possa in qualche modo venir facilitata dall’indebolimento di questo o quell’imperialismo, e dal rafforzamento di questo o quell’imperialismo”.
Ma fu proprio l’indebolimento dell’imperialismo zarista, dapprima temporaneo per la sconfitta nella guerra col Giappone, poi definitivo con la guerra mondiale, che permise lo sviluppo di tre rivoluzioni (1905, febbraio e ottobre 1917). E la terza provocò lo sconvolgimento anche dei paesi nemici, dove si svilupparono la rivoluzione di Ungheria, la Comune di Monaco, per non parlare dei tentativi rivoluzionari dell’intero proletariato tedesco.

L’indebolimento degli imperialismi francese, inglese, belga, portoghese rese possibili gigantesche lotte di liberazione in Asia e in Africa. La formazione di un proletariato moderno è possibile solo se uno stato si libera dalla condizione di colonia o di semicolonia.

Cito ancora: “Non ho mai condiviso la teoria del «Nemico Principale» (leggi Stati Uniti), soprattutto perché in passato (prima del crollo del famigerato Muro di Berlino) non consentiva di valutare adeguatamente la portate delle contraddizioni capitalistiche che si sviluppavano nel cuore del cosiddetto “mondo libero”: è sufficiente pensare alle guerre commerciali finanziarie e monetarie che hanno visto come protagonisti USA, Germania e Giappone soprattutto dopo la chiusura del lungo ciclo espansivo postbellico alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso…””
La teoria del nemico principale c’è anche in Marx ed Engels (e in Lenin, Karl Liebknecht, Bordiga…), ma non ha niente a che fare con quelle caricaturali, che in fondo si basano sull’asserto ” nemico del mio nemico è mio amico”.
Marx ed Engels non considerarono mai ugualmente pericolosi per la causa proletaria i diversi stati, e neppure le diverse potenze. Marx, nell’Indirizzo inaugurale dell’Associazione Internazionale degli operai (la I Internazionale), denunciava la Russia (lettera ad Engels del 4 novembre 1864).
I proudhoniani dell’Internazionale preferivano una generica protesta “contro tutti i dispotismi”. Ci sono anche l’Austria, la Prussia, la Francia, l’Inghilterra… – ripetevano- perché prendersela con la sola Russia? (Memoria dei delegati francesi al congresso di Ginevra -1866). Sulla base di ampi studi storici, Marx ed Engels furono in grado di interpretare i rapporti reali, di subordinazione o di antagonismo, tra le potenze; sapevano che la sopravvivenza degli imperi austriaco e turco era giustificata esclusivamente dalla loro azione di contenimento dell’espansione zarista, e quindi, come la Prussia filomoscovita, erano destinati a cadere col crollo dello zarismo, il che poi effettivamente avvenne. Bismarck, con l’eccezionale istinto del reazionario, capì che il regime degli Junker e la monarchia non potevano reggere senza appoggiarsi a un regime ancora piu retrivo, e aiutò la Russia a reprimere i Polacchi. Guglielmo II, entrando in guerra contro lo zar, segò il ramo su cui stava seduto.
La lotta degli imperialismi minori esiste, ma gli USA fino a poco tempo fa, sono stati in grado di controllarli. Quando, agli inizi degli anni ’70, il rapidissimo sviluppo di Giappone, Germania e Italia minacciò il predominio economico USA, Nixon sganciò il dollaro dall’oro, e il mondo dovette accettare una valanga di cartaccia verde che gli USA stampavano praticamente a costo zero. Negli anni ottanta, sembrava che il Giappone dovesse superare gli USA come potenza economica e l’industria automobilistica giapponese mise in crisi la produzione americana del settore; scattò una campagna nippofobica (mentre si copiavano i metodi giapponesi, il cosidetto Toyotismo). Con gli accordi dell’Hotel Plaza, il Giappone fu costretto a rivalutare lo yen, e l’impetuoso sviluppo s’interruppe.
Ma Giappone,Germania e Italia erano (e sono) paesi militarmente occupati, mentre non lo è il grande concorrente di oggi, la Cina, e questo fatto, insieme al rafforzamento militare della Russia, porta a un indebolimento dell’egemonia mondiale americana. La reazione statunitense è, a dir poco, isterica, come si vede dalle pretese del Congresso che minaccia misure gravissime contro qualsiasi paese che non rispetti le sue assurde sanzioni antirusse.

S.I. dice:
“mi pongo su una posizione di radicale opposizione nei confronti di tutte le Potenze, grandi e piccole, di caratura internazionale (Stati Uniti, Cina, Russia, Unione Europea, ecc.) o regionale (a cominciare dall’Italia, Paese che, in quanto proletario italiano, considero il mio nemico principale non in quanto inserito in un’alleanza imperialistica dominata dagli Stati Uniti, ma in quanto media potenza capitalistica che ricerca il suo “spazio vitale” nel suo tradizionale “cortile di casa”, cosa che non di rado porta l’Italia a urtare contro gli interessi di Francia e Inghilterra: vedi Libia).
Già il solo parlare di «centro del sistema» nell’epoca del dominio globale e totale (o totalitario) del rapporto sociale capitalistico mi suona quantomeno problematico: il «centro del sistema» è ovunque.”

Vedere i contrasti tra gli imperialismi minori non dovrebbe impedire di vedere la sostanziale loro subordinazione agli USA. Nella guerra di Libia, Obama voleva dirigere la scena restando dietro le quinte, ma fu costretto a intervenire perché Inghilterra e Francia -non parliamo dell’Italia – non erano in grado di schiacciare i seguaci di Gheddafi.
Isolare l’imperialismo ascaro italiano dalla Nato e dagli Stati Uniti non ha senso. In Italia ci sono numerose basi USA, e il governo italiano neppure sa dove sono nascoste le decine di atomiche sepolte nel nostro territorio. I “nostri” servizi segreti rispondono prima a Washington e poi, se nulla osta, al governo italiano.
Chi non sta al gioco, fa la fine di Calipari. Bush permetteva ancora all’Italia alcuni giri di valzer: il commercio con la Russia, con l’Iran, la partecipazione al progetto South Stream, i privilegi speciali in Libia. Obama ha cancellato tutto. Quando è scoppiato lo scandalo delle intercettazioni, la Merkel ha dovuto protestare, mentre è mancato poco che il governo italiano ringraziasse Obama. Ciò conferma i diversi gradi di subordinazione.
L’Italia è la piattaforma da cui partono bombardamenti in Medio Oriente e Africa. Il nemico principale è in casa nostra, ma in casa nostra ci sono pure gli americani. Possiamo lottare contro il militarismo italico senza chiedere la chiusura delle basi USA?
Dire poi che il centro del sistema è ovunque è puro misticismo. Se ci fosse una rivoluzione proletaria in America, dovrebbero cominciare occupando Wall Street, il Pentagono, la Casa bianca, i diversi centri di spionaggio…
E’ vero, poi, che la crisi del Venezuela è dovuta soprattutto alla caduta del prezzo del petrolio, ma pensare che gli USA non pensino di approfittare della situazione sarebbe, a dir poco, ingenuo.
“Il capo della Cia ha dichiarato che l’agenzia è al lavoro per cambiare il governo eletto del Venezuela e che sta collaborando con due Paesi nella regione per attuare tale proposito. In una delle più chiare allusioni alle più recenti interferenze con la politica dell’America Latina, il direttore della Cia Mike Pompeo ha detto che egli “nutre buone speranze che vi possa essere una transizione in Venezuela “ e che “ noi della Cia stiamo facendo il meglio per seguire la dinamica di quel Paese”. Ed ha aggiunto: “Ero a Mexico City e a Bogotà una settimana prima dell’ultima messa a punto ufficiale intorno a questa delicata materia, cercando di far capire cosa questi Paesi potrebbero fare, così da ottenere il miglior risultato per la loro parte del mondo e per la nostra”.(1)
D’altra parte, che cosa ci dovremmo aspettare? Un paese che ha un’enorme produzione bellica e centinaia di migliaia di spie, deve per forza alimentare la tensione, se non altro per vendere armi. E le spie non possono esser tenute inattive, e quindi è probabile che sfornino continuamente piani di rivoluzioni colorate per diversi paesi, Stati Uniti compresi. La sfiducia verso il governo è tale che Obama fu costretto a dichiarare pubblicamente che non era sua intenzione occupare militarmente il Texas.
“Negli Stati Uniti, per la precisione in Texas, California e altri Stati del Sud, tira pesantemente aria di complotto. Il movente è dato dall’instaurazione di un campus di addestramento militare, istituito dall’amministrazione proprio in territorio texano. Il nome di questo ciclo bimestrale di esercitazioni (che andrà dal 15 luglio al 15 settembre) è Jade Helm 15 e, stando alle dichiarazioni ufficiali, si tratterebbe semplicemente di una normale azione di training militare conseguente alle tensioni internazionali che imperversano in questo periodo nel mondo (su tutte, la minaccia dell’Isis).””il Ministero della Difesa ha dichiarato che si tratta di una semplice esercitazione prevista da tempo, e che il Governo «non sta cercando di prendere il controllo di un bel niente». Fatto sta che comunque, visto che non si sa mai, il Governatore Abbott ha deciso che invierà la Guardia Nazionale del Texas a monitorare le attività di addestramento per tutti e due i mesi di durata, al fine di preservare «la sicurezza, i diritti costituzionali, la proprietà privata ed i diritti civili» degli abitanti.”(2) Sarà senz’altro un equivoco, ma anche solo il fatto che abbia potuto sorgere indica l’assoluta sfiducia nei confronti dello stato centrale. Se persino gli americani temono golpe in casa propria, figuriamoci nei paesi dell’America latina.
I problemi del Venezuela sono gravi, altri stati sono in condizioni persino peggiori, amche se la stampa non ne parla. La Colombia è diventata un narcostato, in Messico le violenze dei trafficanti sono endemiche, e nell’America Centrale le uccisioni di sindacalisti o di chiunque dia troppo fastidio alle multinazionali ( o multicriminali)sono molto numerose. Si tratta di stati strettamente controllati dagli USA, e nessuna generale ripresa della lotta di classe vi è possibile senza un indebolimento della metropoli di Washington.

Vedere l’imperialismo USA come il nemico principale non significa essere antiamericani. L’indebolimento di questo imperialismo necessariamente comporta la ripresa su vasta scala della lotta di classe negli Stati Uniti. Il movimento operaio storicamente ha trovato la propria guida, in un primo tempo nel proletariato inglese, poi in successione la direzione è passata a quello francese, tedesco, russo. Anche qui contano i rapporti di forza, e i grandi paesi contano più di quelli piccoli. Non vediamo l’ora che il proletariato americano, quello cinese e indiano assumano la direzione delle lotte per la sfida finale al capitale.

Note
1) “IL CAPO DELLA CIA E’ AL LAVORO PER CAMBIARE IL GOVERNO IN VENEZUELA”,Di Andrew Buncombe, The Indipendent US
25 luglio 2017
2) “L’esercito del Texas contro Obama.E tutto per un complotto dal web.” Bergamo post 12 maggio 2015

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Fonte foto: Il Velino (da Google)

1 commento per “Il Venezuela e il nemico principale

  1. armando
    3 Agosto 2017 at 18:11

    parlare di sfida finale al capitale mi sembra un sogno utopico e non una prospettiva reale. Ma proprio per questo è letteralmente insensato non tenere conto delle contraddizioni che attraversano il capitalismo, e quindi delle differenze fra paese e paese che, fra l’altro non sono solo tattiche ma si spingono fino a prospettare futuro molto diversi. Non ci si può limitare a ripetere che il capitalismo è solo la proprietà privata dei mezzi di produzione tralasciando l’importanza assunta oggi dalla funzione del potere politico e dagli aspetti culturali. A meno, come sospetto, che si punti all’uall’unificazione imperiale del mondo, come Toni Negri, nella tragica illusione che faciliterebbe la rivoluzione mondiale.

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