Washington, garante del disordine mondiale

In principio era la crisi. I fattori economici sono determinanti in ultima istanza, ma gli effetti nel campo politico e sociale non sono facili da comprendere e da prevedere. La crisi economica si è sviluppata – e questo non è casuale – contemporaneamente all’inizio del declino dell’egemonia statunitense (che nel falso e bugiardo linguaggio ufficiale è chiamata globalizzazione) e ha comportato una serie di misure protezionistiche, che non si presentano come tali, ma sotto forma di sanzioni, di guerre che ostacolano il traffico di gas e petrolio, di muri e sbarramenti di filo spinato che bloccano la circolazione della manodopera, tutto questo sotto il nome menzognero di liberismo.
Quando si parla di Washington non s’intende soltanto l’inquilino della Casa Bianca, o il Pentagono, la CIA, Hilary Clinton e il senatore McCain, ma l’intero complesso imperialistico, che comprende Wall Street, le multinazionali, i due partiti … in altre parole l’establishment del paese, e non la stragrande parte degli americani, vittime anche loro, ingannati, ridotti in balia delle multinazionali, vessati da governi che sacrificano loro bisogni vitali alle esigenze della supremazia militare e politica a livello mondiale.
In epoche di sviluppo economico, gli USA, dopo avere distrutto un paese, fornivano i capitali per ricostruirlo – si pensi a Germania, Giappone, Italia nel dopoguerra- oggi, il comportamento viene sintetizzato efficacemente da un famoso giornalista:
“Il modo più semplice per saccheggiare le risorse naturali di un Paese sul lungo periodo non è occuparlo, ma distruggere lo Stato. Senza Stato, niente esercito. Senza esercito nemico, nessun rischio di sconfitta. Da quel momento, l’obiettivo strategico delle forze armate USA e dell’alleanza che esse guidano, la NATO, consiste esclusivamente nel distruggere Stati. Ciò che accade alle popolazioni coinvolte non è un problema di Washington.” (Thierry Meyssan)
Vediamo, nelle linee generalissime, come si concretizza la politica USA.
Ogni giorno scorgiamo le conseguenze della guerra d’Ucraina, fomentata dagli Stati Uniti, e dalle sanzioni imposte alla Russia. A farne le spese, sarà l’Europa. L’Ucraina sta per crollare per i debiti. Se Kiev non pagherà, scrive Petrosillo, “saranno i cittadini europei a dover aprire il portafoglio affinché banche, fondi e multinazionali statunitensi non perdano nemmeno un dollaro di quanto scucito per comprarsi un altro pezzo d’Europa.” (1) Per l’Italia, non solo il crollo delle esportazioni – per esempio, quelle ortofrutticole – ma sempre nuovi colpi: “La compagnia energetica(Gazprom) ha annunciato mercoledì di aver cancellato un contratto con una società italiana, la Saipem, per costruire la prima sezione del gasdotto sotto il Mar Nero. Il contratto era stato siglato durante i negoziati per la costruzione del gasdotto South Stream nel 2014.” (2) . Ma la propaganda continua a dare tutta la colpa del declino economico italiano alla Germania, nascondendo il peso delle sanzioni, delle guerre, dei veti americani. La Casa Bianca non bada a spese – crediti all’Ucraina, fornitura di armi, somme enormi per la propaganda e per “l’indottrinamento” dei giornalisti di stampa e tv. Non si preoccupa neppure dei pericoli. Giulietto Chiesa riporta: “Mi scrive un amico: “Sono appena rientrato dalla Finlandia. E’ allucinante parlare con i vecchi amici finlandesi che, come me, hanno studiato in URSS. Stanno tutti ad aspettare l’imminente attacco da Mosca. Talmente stupidi da temere anche l’arma nucleare. (E parlo di gente che ha fatto degli studi universitari). Nemmeno l’idea che non si sgancia una bomba atomica sul proprio confine sembra entrare nella loro testa.” (3) Con tale tensione, sono possibili incidenti di frontiera. Dobbiamo sapere che, se ci sarà la guerra, la causa più prossima sarà la pressione incontenibile dell’imperialismo americano. Questo, non perché siano dominati da una setta satanica assetata di sangue, ma perché condizionati in tutto e per tutto dalla dinamica del capitale.
Gli USA hanno bisogno di impedire ogni avvicinamento anche tra Turchia e Russia, e di bloccare, o per lo meno ritardare Turkish Stream. La Turchia ha l’enorme problema curdo, con l’oppressione di questo popolo si sono sviluppati l’autoritarismo e la repressione interna. Come ha chiarito Marx, un popolo che ne domina un altro non può essere libero. Per combattere i curdi, Ankara deve sconfinare in Siria, e Washington spinge Ankara a penetrarvi, a rifornire con camion l’ISIS, ma non può permetterle di schiacciare pienamente i curdi o Assad, perché agli USA occorre la guerra permanente, e se uno dei contendenti vince, riesce a realizzare un’egemonia locale con cui devono fare i conti. Erdogan appoggia l’ISIS, e questo impedisce l’avvicinamento tra Russia e Turchia (con somma gioia di Washington), perché Mosca vede nei tagliagole jihadisti un pericolo mortale, considerando le vaste zone russe dove l’islamismo persiste, basti pensare alla Cecenia.
Putin è cauto, ed è un negoziatore astuto, ma è condizionato dalla presenza in Siria dell’unica base russa nel Mediterraneo, in un periodo in cui le basi americane, anche se la situazione finanziaria consiglierebbe una riduzione, aumentano continuamente. Il suo regime, inoltre, appoggiato dalla chiesa ortodossa, si è autonominato difensore dei cristiani del Vicino Oriente – la cosa non è stata difficile, visto che USA, Francia, Gran Bretagna, Italia e Nato si sono infischiati persino della sopravvivenza fisica di quei poveretti che, senza averne colpa, si sono trovati per nascita assegnati a una determinata comunità minoritaria, etnica o religiosa. Gli USA, ovviamente non vogliono la presenza russa in Siria, chiedono all’ONU limitazioni per l’aviazione russa, e premono anche sui singoli stati: “…un funzionario del ministro degli Esteri greco ha detto che gli Stati Uniti hanno chiesto ad Atene di chiudere i propri cieli al transito di aerei russi diretti in Siria. Una notizia che giunge dopo una serie di voci, pubblicate da agenzie stampa israeliane e britanniche, secondo cui la Russia starebbe organizzando l’invio di propri soldati sul campo di battaglia siriano. Mosca ha finora sempre negato, definendo “prematuro” un intervento sul terreno e ricordando che il paese da tempo rifornisce Damasco di equipaggiamento militare nella lotta al terrorismo di matrice islamista.” (4) Nel caso, poi, che la Russia fosse costretta a intervenire con forze di terra, Obama cercherebbe di prepararle un secondo Afghanistan.
Francia e Inghilterra sono sollecitate a intervenire, col passepartout della lotta all’ISIS, e solleticando nostalgie colonialiste; l’Italia, che vede in pericolo le sue vendite di armi alla Siria, protesta, mentre il governo forse si chiede se conviene l’ennesimo voltafaccia – le tradizioni di Casa Savoia non si abbandonano mai! – e l’allineamento ai gemelli guerrafondai Cameron e Hollande. Così, con la scusa dell’ISIS, gran parte degli avversari e degli alleati di Washington sono coinvolti nell’avventura siriana. Mentre un popolo di antichissima civiltà viene ridotto allo stremo, si fabbricano centinaia di migliaia di passaporti falsi in Qatar, per cui afgani, etiopi, sudanesi, somali, eritrei, ecc. sono classificati come profughi siriani, sotto il benevolo sguardo dell’ONU .
Nazanín Armanian ricorda che il generale Wesley Clark aveva rivelato il piano statunitense di smembrare 7 paesi, cominciando con l’Iraq, e poi Siria, Libano,
Libia, Somalia, Sudan e terminando con l’Iran. Mancano ancora Libano e Iran. La Armanian analizza la grave crisi libanese: lo stato è in bancarotta, non è in grado di pagare i dipendenti e l’impresa che provvede ai rifiuti, le strade traboccano di rifiuti. Il governo reagisce con la forza alle proteste pacifiche. Il nuovo re saudita Suleiman Abdelaziz ha cancellato i tre miliardi di dollari destinati all’esercito libanese, concessi dal monarca precedente. “Israele e l’Arabia Saudita cercano di stringere il cerchio intorno a Hezbollah, prima che riceva maggiori aiuti finanziari dall’Iran, grazie allo sblocco dei suoi fondi in occidente. Una guerra alla frontiera occidentale della Siria, non solo invaliderebbe qualsiasi piano di pace raggiunto, ma trascinerebbe l’Iran nel conflitto del Libano, sabotando l’accordo”. “Questo campo di battaglia regionale potrà essere il prossimo candidato ad essere denominato “stato fallito, facilitando il lavoro di riconfigurazione della mappa della regione per i disegnatori del Pentagono”(5)
Alla Casa Bianca la regia di tutto questo immenso caos organizzato. A molti Obama sembra incerto, poco attivo, ma la sua politica consiste nell’impegnare gli altri, metterli nei guai, e ritagliarsi, nella “recita”, la mistificante parte del temporeggiatore, dell’eccessivamente riflessivo, dell’amletico. Tratta con Cuba e Iran – ma si tenga presente che Gheddafi è stato colpito, non quando giocava un ruolo apertamente antioccidentale, ma dopo essere stato ricevuto da Sarkozy, da esponenti USA, e dopo avere stipulato un trattato d’amicizia firmato da Berlusconi e ratificato da Napolitano. Nello stesso tempo Washington trama nuovi golpe in Venezuela, in Bielorussia, e usa mille trucchi e pressioni per condizionare governi amici e nemici. Distinzione, quest’ultima, di comodo, visto che vige la politica definita dalla raffinata Nuland: “Fuck the EU”.
Le classi dirigenti dei paesi arabi hanno visto che gli Stati Uniti hanno abbandonato i loro precedenti alleati in Tunisia ed Egitto (Ben Alì, Mubarak, Morsi), lasciato travolgere il loro satellite iracheno dall’ISIS, che si poteva fermare nel deserto con pochi raid. Sanno che il progetto finale degli USA è la balcanizzazione del Vicino Oriente, che da anni nuove carte geografiche prevedono la divisione dell’Iraq, della Turchia, e persino dell’Arabia Saudita. Gli attuali stati, quindi, sono costretti a portare avanti il processo che li smembrerà, e gli stati europei sono trasformati in zombi politico -militari guidati da personaggi improbabili, sempre più incatenati alla guida di Washington.
I proletari (lavoratori, disoccupati, pensionati) e le classi sfruttate devono trovare un loro strumento attraverso il quale denunciare questo enorme intrigo, ai danni dei popoli del Vicino Oriente, di tutto il Mediterraneo e dell’Africa. La ribellione delle popolazioni locali, che rifiutano la ricolonizzazione e di essere trattate come carne da cannone, può essere di stimolo alla ribellione determinante, quella del proletariato americano ed europeo. Una quarantina di anni fa in USA ed Europa c’era ancora una consistente aristocrazia operaia, che è stata sostituita in gran parte da un esercito di politicanti e di sindacalisti di regime sempre più screditati, che riescono ancora efficacemente a frenare le lotte – non basta perdere la faccia per essere inutilizzabili dal sistema- ma non possono durare all’infinito. Ma la ripresa della classe operaia sarà possibile se l’immenso potere politico, militare, finanziario, diplomatico, spionistico, di corruzione dell’oligarchia statunitense s’indebolirà, perché se il piano di nuova suddivisione del Vicino Oriente dovesse riuscire, ritarderebbe di decenni tale ripresa. Ogni sconfitta, quindi, ogni fallimento anche parziale del piano di ricolonizzazione USA vorrebbe dire una vittoria del proletariato americano ed europeo. Non esiste, infatti, nessun altro paese che abbia oltre mille basi in tutto il mondo, un bilancio militare pari a metà di quello mondiale, una rete spionistica che controlla anche quella dei cosiddetti alleati – in realtà satelliti – e la possibilità di intervenire in pochissimo tempo in qualsiasi parte del mondo. Ogni arretramento dell’imperialismo USA può divenire un’avanzata del proletariato, a patto che questo non si lasci coinvolgere in stupidi rigurgiti di nazionalismo, o pensi di ricevere la salvezza da potenze in contrasto con gli USA – non si sa per quanto e fino a quale punto – come la Russia. L’indipendenza del proletariato da altre classi e dagli stati è la prima condizione per la ripresa.

Note
1) “KIEV NON PAGA, PAGA L’EUROPA”, Gianni Petrosillo Conflitti e Strategie(08/09/2015)
2) “Disastro per l’Italia: Gazprom caccia Saipem da Turkish Stream”, The Saker, preso da Sputnik , 09/07/2015
Traduzione in Italiano a cura di Sascha Picciotto per Sakeritalia.it, Titolo originale “La Gazprom cerca nuovi partner per cominciare la costruzione del Turkish Stream.”
3) Giulietto Chiesa, “Isteria collettiva”, facebook 3-9 2015, ripreso da Comedonchisciotte, 4, sett. 2015.
4) “Altro che Isis: Mosca e Washington si giocano la Siria di Assad”, Nena News, Redazione, 8 set 2015.
5) Nazanin Armanian, “Tensión en el Líbano y la falsa gentileza de Europa hacia los
refugiados sirios” Publicaciones 9-settembre-2015.
Altri articoli consultati:
“Turkish Stream, per il gasdotto turco-russo è ancora fumata nera”, The Saker, Articolo di Alessandro Ronga, comparso su Ostpolitik il 25 luglio 2015.
“Perché la Germania accoglie i rifugiati siriani? Fissiamo alcuni punti fermi”
in Internazionale, Istituzioni e Media, Notizie 08/09/2015 Cortocircuito.

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