Yemeniti e palestinesi lanciano la loro sfida al neocolonialismo

L’offensiva imperialista di Israele e dell’Arabia Saudita ha provocato, come era prevedibile, una forte reazione da parte dei popoli da essi aggrediti, cioè i palestinesi e gli yemeniti. Nonostante Israele e Arabia Saudita siano due regimi che poggiano su strutture sociali differenti – Israele è un regime neoliberista assoluto sul modello americano mentre Casa Saud si guarda bene dall’eliminare le vecchie strutture di dominio feudali – le azioni delle rispettive classi dirigenti al potere presentano numerose analogie rinvenibili nella genesi storica e nello sviluppo parallelo del sionismo e del wahabismo.
Non meno importante, dall’altro lato, sono l’ Intifada palestinese e quella yemenita, la voglia di riscatto, parallela ed affine, di due popoli impegnati nella loro lotta di liberazione nazionale. Dall’esito delle istanze democratiche e sociali difese da Ansarola ( Yemen ) e da Hamas ( Palestina ) dipende la sorte della pace e della possibilità di una giustizia sociale nel Medio Oriente musulmano.
Yemen
Lo Yemen è stato governato – a partire dalla dissoluzione dell’Urss – da regimi clientelari al servizio di Washington e Tel Aviv. L’imperialismo statunitense ha usato il fantoccio Saleh come “grande carceriere della CIA”, affidandogli il compito di mettere a tacere quei prigionieri politici su cui i militari statunitensi mettevano il bollettino ‘’programma di consegne’’.
Nel 2011 gli sciiti zaidisti ( da non confondere con gli sciiti duodecimani ) hanno rovesciato questo fantoccio, unendo tutto il popolo yemenita ( compresi sunniti, cristiani e laici ) attorno ad un programma di tipo patriottico che prevedeva anche la difesa del mondo del lavoro e dei diritti sociali. Gli USA e Casa Saud, ovviamente, non accettarono tutto ciò, e al fine di preservare e consolidare l’alleanza fra Washington e Riyadh organizzarono una ‘’transizione democratica’’ – ovvero un rimpasto di regime – affidandosi ad Hadi, amico personale del dittatore Saleh. Questo accordo avrebbe favorito e garantito la presenza americana in quel territorio e la difesa del regime wahabita.
Ma non si possono arginare tanto facilmente le spinte rivoluzionarie di un popolo. Gli Houthi ( punta avanzata del movimento sciita ) hanno continuato ad accusare i governi per il sottosviluppo in cui si trova la stragrande maggioranza della popolazione. Privo dell’appoggio popolare, inviso alla gran parte dei lavoratori e dei contadini poveri, Hadi è stato costretto ad abdicare. Alle potenze imperialiste della regione – Israele e Casa Saud in testa – non restava che intervenire direttamente.
Gli Houthi ( Ansarola ) non sono un movimento marxista, eppure l’acuirsi della lotta di liberazione nazionale li ha spinti a mettere in dubbio la natura stessa del potere feudale e borghese, affidandosi ai Comitati popolari nei territori liberati. Nonostante le vittime siano moltissime – nella indifferenza della asservita Comunità Internazionale – la resistenza produce i suoi frutti. Nel nord del paese ben 160 militari sauditi hanno in questi giorni perso la vita e 378 risultano feriti. La dittatura wahabita, tanto coccolata dagli Stati Uniti e dall’UE, non riesce ad affrontare e contenere la rabbia di uno dei popoli più poveri del mondo: tanto povero quanto orgoglioso e battagliero.
Casa Saud è con le spalle al muro e, prontamente, Israele interviene in suo soccorso. I giornalisti iraniani di Al-Alam confermano ( la notizia è del 5 ottobre ) l’invio di armi israeliane ai sauditi nella regione di Jamis Mushait. La stessa agenzia di stampa parla della creazione di un ponte aereo fra Israele e l’Eritrea per facilitare i rifornimenti. Il sito hispantv riporta ‘’incluidos 30 aviones de combate y 230 tanques’’; insomma, i falchi sionisti non si sono risparmiati nell’assistenza ai loro principali alleati.
Ancora una volta i destini dei due imperialismi, quello israeliano e quello saudita, si intersecano. Ancora una volta sionismo e wahabismo vanno a braccetto: alleati da sempre.
Palestina
In Palestina gli scontri, sia in Cisgiordania che a Gaza, aumentano sempre di più. Se i palestinesi rivendicano il sacrosanto diritto all’autodeterminazione, gli israeliani rispondono con metodi brutali che possono essere paragonati a quelli utilizzati dai nazisti (basti pensare alle rappresaglie e ai bombardamenti sui campi profughi che causano centinaia e migliaia di vittime fra la popolazione civile), con tanto di esecuzioni a freddo.
In un video datato 9 ottobre ( pubblicato su facebook alle ore 14.20, per essere maggiormente preciso ), il media israeliano 10 חדשות mostra dieci soldati israeliani accerchiare una donna palestinese – definita “sabotatrice” – e, senza esitazioni, togliergli la vita.
Il bilancio delle vittime è in crescita. La rete hispantv cita l’agenzia di stampa Mezza Luna Rossa Palestinese ( MLRP ), ed ecco il responso: ben 76 palestinesi hanno riportato ferite gravi a causa delle munizioni utilizzate dai militari sionisti; 344 persone sono rimaste vittime delle pallottole ricoperte di gomma; la bellezza di 849 civili sono stati intossicati dai gas lacrimogeni. Da ieri l’accesso alla spianata delle moschee è consentito solo a chi supera i 45 anni di età ed alle donne. In tutta la Palestina – soprattutto le città di Gerusalemme, Hebron, Dimona – gli scontri non si fermano. La brutalità dell’IDF ha impressionato anche una parte dell’opinione pubblica israeliana a partire dai giornalisti liberali Gideon Levy ed Amira Hass, i quali, sfidando la violenza razzista del Likud, hanno scritto degli editoriali molto duri.

Il leader di Hamas Ismail Haniyeh ha definito l’Intifada come ‘’l’unica strada per arrivare alla liberazione’’. E ha aggiunto ‘’Gaza si unirà all’Intifada per Gerusalemme’’ ed ancora ‘’Gaza è pronta a guidare questa battaglia’’. Una sfida al sostanziale collaborazionismo di Abu Mazen, sempre pronto a porgere una mano ai governi colonialisti di Tel Aviv.

Domanda: Hamas andrà fino in fondo ?

Il Movimento di Resistenza Islamico ( Hamas ), a differenza della Jihad Islamica e del Fronte popolare di liberazione della Palestina ( marxista ), ha preso una posizione catastrofica di fronte alla crisi siriana. Saprà ora riscattarsi? Di certo le responsabilità che pesano sul gruppo dirigente ( a partire dall’ambiguo Kaled Meshaal ) non possono essere scaricate sulla base militante a partire, proprio, dalle Brigate Al Qassam, l’ala militare e combattente. Insomma, l’inizio della Terza Intifada, darà un nuovo volto ad Hamas magari spingendola a rompere con la Fratellanza Musulmana ?

Lo svolgersi degli eventi – già a partire dai prossimi giorni – ci darà una risposta. Una cosa è certa: le sorti della Palestina e dello Yemen, giorno dopo giorno, si legano imprescindibilmente.
Non possibile neanche immaginare la liberazione della Palestina senza il crollo, contestuale, di Casa Saud.

http://www.hispantv.com/newsdetail/Yemen/60219/160-muertos-en-filas-de-Arabia-Saudi-y-fuerzas-agresoras-en-Yemen

http://www.hispantv.com/newsdetail/Arabia-Saudi/59839/israel-puente-aereo-arabia-saudi-yemen-eritrea-avion

http://hispantv.com/newsdetail/Palestina/60224/israel-palestinos-protesta-heridos-quds

http://www.antimperialista.it/index.php?option=com_content&view=article&id=3394:terza-intifada&catid=5:terra-di-palestina-cat&Itemid=119

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dichiaro di essere al corrente che i commenti agli articoli della testata devono rispettare il principio di continenza verbale, ovvero l'assenza di espressioni offensive o lesive dell'altrui dignità, e di assumermi la piena responsabilità di ciò che scrivo.