Osservatorio sugli eventi del mondo: clima, Germania, Francia, Finlandia, Bolivia

CLIMA

A differenza delle conferenze internazionali precedenti sulla lotta ai cambiamenti climatici, quella aperta a Madrid si è aperta sotto il segno della chiarezza e quindi della rottura.

Così il segretario generale dell’Onu ha attaccato, con toni se possibile più forti e ultimativi di quelli di Greta Thunberg, anche se non nominativamente, le grandi potenze del globo ( Stati Uniti, Russia, Cina, India, Brasile ), tutte renitenti ad assumere impegni concreti ( o, più esattamente, tutte impegnate nella difesa dei combustibili fossili) come responsabili della prossima catastrofe del pianeta.

Chiarezza necessaria. Alla luce di alcuni dati che riassumono la drammaticità della situazione.  Se l’obbiettivo indicato a Parigi era quello di ridurre le emissioni di Co2 dell’1.7% annuo, il livello delle medesime è continuato a crescere sino al record del 2018. Mentre solo le Isole Marshall hanno rispettato gli impegni assunti in materia. Da una parte, abbiamo ben 68 paesi in qualche modo impegnati a fare di più; ma rappresentano solo il 7% delle emissioni mondiali; mentre i responsabili all’80% dell’inquinamento non solo fanno orecchie da mercante, ma si dichiarano apertamente ostili a qualsiasi ipotesi di regolamentazione e di freno sullo sviluppo e  sull’uso dei combustibili fossili.

Di questa  distanza sempre più drammatica tra parole e fatti, promesse e adempimenti è responsabile anche l’Europa. Così, se la Von der Leyen, nel suo discorso di investitura, si propone di ridurre – tappa finale il 2050 – le emissioni non più del 40 ma del 55 %, solo 9 stati su 28 aderiscono ( ma senza mai indicare come) a questo progetto mentre altrettanti se non di più, a partire dai paesi dell’Est, lo contestano in radice.

Di qui a sbeffeggiare la retorica ambientalista il passo è breve. Ed è in qualche modo incoraggiato dai messaggi facili e consolatori che ci giungono dalla televisione: prati verdi e bimbi biondi, madri ecologiche e cibi senza conservanti e al 100 % italiani; un altro piccolo sforzo e tutto andrà per il meglio. Letto malevolmente, l’ambientalismo e i suoi corifei come strumento di distrazione di massa, a coprire le magagne del capitalismo.

Ma anche lo sbeffeggiamento è un esercizio retorico, inutile e controproducente. Perché rifiuta di misurarsi con la realtà. E la realtà è che il capitalismo è, oggi, il principale nemico dell’ambiente; e che in tale contesto, l’ambientalismo è oggettivamente rivoluzionario. Non foss’altro perché la lotta contro il cambiamento climatico – e quindi contro le forze economiche e politiche che lo determinano – implica un radicale cambiamento del nostro modo di produrre e consumare e quindi di vivere. E, tanto per cominciare, anche di fare politica.

Anche questa è retorica, direte. Ma, a trasformarla in consapevolezza, e quindi in volontà rivoluzionaria, il passo è oramai breve: quello che ci separa dalla prossima inutile conferenza o dalla prossima catastrofe naturale.

GERMANIA

Un modello in discussione

Il partito socialdemocratico tedesco sta perdendo, giorno dopo giorno, consensi e peso politico. Ma conserva ancora oltre 400 mila aderenti. E questi hanno votato in massa per scegliere la nuova leadership del partito.  E hanno scelto, con il 54% dei consensi, due persone sino ad oggi sconosciute ai più,  S. Eskien e. come vice, Walter Borjans, ( donna, la prima e uomo il secondo): di mezza età, senza alcun fascino provocatorio e che avevano di fronte il vicecancelliere e ministro delle finanze, la grande maggioranza del gruppo dirigente e la stragrande maggioranza del gruppo parlamentare. Il messaggio vincente è stato semplice e sobrio: che la grande coalizione non ha alcun futuro e che i socialisti, come seconda ruota del carro, ne hanno uno ancora peggiore, quello della progressiva scomparsa dalla scena politica. In questo quadro, il ritorno all’opposizione non è una scelta ma un passaggio necessario per recuperare un ruolo ancora da precisare e non vi deve fare ricorso in modo precipitoso. Meglio, molto meglio allora fissare i paletti per un possibile rinnovo dell’intesa: impegni più forti e con maggiori mezzi sul fronte del cambiamento climatico, un forte rilancio degli investimenti nelle infrastrutture e, infine, abbandono del totem del pareggio di bilancio.

Nulla di oggettivamente eversivo in tutto ciò. Semmai la contestazione radicale del “modell Deutschland” e dell’austerità ordoliberista che lo sostiene. Una contestazione condivisa, attenzione, dalla Linke, dai sindacati, dai verdi e, ciò che più importa, dalla gran parte del mondo industriale. Stufo di dover competere, con le mani legate dai sullodati sacri principi, contro gli attacchi mirati di Trump , la loro copertura da parte del WTO e l’invasione cinese. Ecco, allora, il ritorno prepotente dei temi della politica industriale, dei campioni nazionali, degli investimenti pubblici e del ruolo dello stato.

Insomma, nulla è immutabile. Per non dire che molto sta cominciando a cambiare. Forse a Roma queste cose non si sanno; e allora sarebbe proprio il caso di farglielo sapere.

FINLANDIA

E il bilancio dell’Ue

La questione del MES, su cui ci stiamo istericamente esercitando, è in realtà parte di un più ampio e ancora irrisolto dibattito. Almeno nella misura in cui il maggiore o minore controllo sull’uso dei relativi fondi è strettamente legato alla loro entità. In chiaro: molti soldi più mirati controlli; e viceversa.

Ora, si dà il caso che sul primo punto il dibattito infuria e non si vedono ancora possibilità di mediazione. A complicare il quadro il venir meno di uno dei contributori più importanti al bilancio Ue , il Regno Unito; il che contribuisce ad accrescere le resistenze degli altri rispetto a qualsiasi ipotesi di allargamento dei cordoni della borsa. A ciò si aggiunge la rimessa in discussione delle sue logiche redistributive. Sinora la discussione vedeva di fronte da una parte i tutori della moralità finanziaria ( Germania, paesi baltici ma anche Olanda e blocco di Visegrad) contrapposti ai più o meno debosciati paesi latini e mediterranei. Ma ora ci si è messa di mezzo ( almeno così ci dice il Financial Times) la Finlandia con una proposta di mediazione che in realtà complica i termini del problema; anche perché la sua formulazione – meno fondi per l’agricoltura e la coesione sociale ( leggi da una parte Francia e dall’altra paesi dell’Est); più fondi per la ricerca e, udite udite, per il controllo delle frontiere – si urterà con resistenze particolarmente accanite.

Ci vorrà tempo per dirimere la faccenda. Tempo a disposizione anche del nostro ministro degli esteri per imparare a farlo.

FRANCIA

Ovvero tutto il mondo è paese

La Corte dei Conti  francese rimette in discussione il ruolo del’amministrazione nel contrasto all’evasione e all’elusione fiscale; sottolineando che l’entità del recupero è scesa dal 2013 al 2018 da 10 a meno di 8 miliardi di euro.

Il governo assicura che farà di meglio in futuro. Ma potrebbe citare, a sua discolpa, il fatto che la diminuzione dei controlli e dei controllori registratasi in quest’arco di tempo ha interessato anche, in maggiore o minore misura, altri paesi sviluppati.

BOLIVIA

A proposito di Dio

In Bolivia è stata fissata, si fa per dire, la data delle elezioni: entro 120 giorni a partire da. Mancano ancora,  almeno sinora, garanzie sulla formazione del tribunale elettorale, sul governo che dovrebbe garantire il loro corretto svolgimento e sul ruolo della collettività internazionale nel verificare il tutto.

Una cosa però è certa. La candidatura della caricatura di Bolsonaro, al secolo Camacho. E la sua convinzione profonda circa il suo rapporto esclusivo con Dio: “io con Lui e Lui con me. Gli si potrebbe obiettare  che, per vincere, ci vuole anche l’assenso del popolo boliviano; e che le elezioni sono l’unico momento della vita pubblica di un paese in cui Uno, anzi uno, vale uno.

Temiamo però che il Nostro non sia sensibile a questo argomento.

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Fonte foto: France 24 (da Google)

 

 

 

 

 

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