La “squola”

Il Ministro (o la Ministra) Giannini, comunica (da Repubblica del 02/09/2015) che l’87% degli insegnanti recentemente neoassunti sono donne.
Nessuna novità, quindi, rispetto al trend in corso ormai da decenni, che vede un processo di sostanziale e sistematica “femminilizzazione” della scuola. Le donne continuano ad “occuparla” mentre gli uomini continuano a disertarla. Eppure di questi tempi di crisi economica strutturale, di precarietà diffusa e di disoccupazione di massa, un posto di lavoro pubblico, stabile, sicuro (dove ci si può stressare e affaticare ma certamente non si crepa precipitando da un ponteggio) e a tempo indeterminato dovrebbe far gola a tutti/e, quindi anche e in primis agli uomini.
Quali, dunque, possono essere le ragioni di questa massiccia ritirata, di questo abbandono maschile della scuola? Eppure una volta la figura del maestro (anche elementare), del professore (anche se oggi “degradato” al rango di “prof.”, dal momento che il titolo di Professore con la P maiuscola appartiene ormai di diritto e di fatto solo al corpo degli accademici) aveva anche un grande rilievo sociale. E allora? Cosa è successo da una quarantina di anni a questa parte?
Crisi di vocazione unilaterale? Bassi salari? Una professione scarsamente qualificata, appunto perché poco remunerata e considerata poco appetibile per chi è stato allevato (condizionato, costretto) con l’idea di dover guadagnare di più della propria moglie altrimenti si sente un fallito (questo è un pesantissimo e devastante fardello, per gli uomini, un condizionamento psicologico, non certo un privilegio)? Non mi pare però che tante altre categorie di lavoratori siano meglio retribuite, a meno di non pensare (ma sarebbe un pensare dal mio punto di vista non condivisibile e fuorviante), che un vigile del fuoco, un infermiere specializzato, un ferroviere (ma anche un informatico, un tecnico di laboratorio o un giornalista free lance, le cui remunerazioni, specie se precari, non sono certo superiori a quelle di un insegnante) siano mestieri meno utili o meno qualificati.
Un processo di degrado complessivo del sistema scolastico, concepito ormai sempre più (da tutti, non solo dai giovani, in primis dalle istituzioni politiche) come una sorta di parcheggio in attesa della “vita vera”, cioè della capacità di affermarsi nella società, di farsi largo, costi quel che costi, nella competizione economica e sociale sfrenata della società capitalista dove “non servono il latino, il greco e la dialettica platonica ma la capacità di fare soldi?” Oppure, ancora, il ruolo del maestro, del professore, è entrato in crisi contestualmente alla crisi del padre e del paterno (le due figure sono evidentemente contigue), ormai da tempo concepito, declinato e interiorizzato sempre e comunque nella sua accezione negativa, cioè come patriarcato, e quindi la funzione educativa deve essere di fatto delegata alle sole donne?
La crisi della scuola è solo una crisi di risorse economiche – mancano le aule, gli insegnanti di sostegno, i cancellini, i gessetti, le lavagne, le strutture sono fatiscenti, i laboratori inadeguati e privi di mezzi, ecc. ecc. – oppure è lo specchio dellao crisi profonda, non solo economica ma culturale e valoriale, della nostra società?
La scuola è una istituzione – nel senso alto del termine – educativa e formativa, fondamentale ai fini dello sviluppo e della crescita di persone dotate di coscienza e autonomia intellettuale e morale, oppure serve soltanto a costruire degli “abili e arruolati”, dei “tecnici” più o meno specializzati (quando va bene…) in base al tipo di scuola frequentata (cioè licei per i figli delle classi abbienti e istituti tecnici e professionali per i figli delle classi popolari), degli individui privi di una vera consapevolezza e quindi incapaci di sviluppare una reale capacità critica?
La mia opinione è che tutti questi fattori (e molti altri ancora), sia pur sommariamente elencati, contribuiscano a determinare la crisi strutturale del sistema scolastico.
La politica (p rigorosamente minuscola, in questo caso), fedele specchio del contesto sociale e culturale e ridotta ormai ad ancella del mercato, anzi del Mercato, risponde (si fa per dire…) a questa crisi con delle leggi ridicole (nel merito delle quali non voglio neanche entrare) che cercano di adeguare il sistema scolastico alle logiche del Mercato. Di più non è in grado di fare né comunque gli sarebbe consentito farlo, qualora ne avesse anche le possibilità/capacità (che comunque non ha, ed è sufficiente gettare uno sguardo sugli uomini e le donne che ci governano per capirlo).
La questione è estremamente complessa, come vediamo, e necessiterebbe di una ben più approfondita analisi.
Mi limito in questa sede a lanciare una provocazione, in linea con lo spirito e la filosofia di questo giornale (e con quello che ho già scritto poc’anzi). La scuola è ormai femminilizzata, lo dicono i numeri, non il sottoscritto. A parti invertite, con una scuola “occupata” al 90% da uomini, sarebbe stato sollevato un pandemonio (a dir poco…) contro l’ennesima intollerabile discriminazione nei confronti delle donne. Non solo, la causa o una delle cause fondamentali (se non la fondamentale) della crisi della scuola sarebbe ovviamente già da tempo stata individuata nella più che preponderante presenza maschile e, naturalmente, nella cultura maschilista che pretende di esercitare la propria egemonia su quello che è e dovrebbe essere per ogni società civile degna di questo nome, un ganglo vitale se non addirittura l’asse centrale della società stessa.
Così non è, come sappiamo e come è evidente. E allora? Questa evidente sproporzione fra docenti maschi e docenti femmine, come deve essere interpretata? Come una discriminazione nei confronti dei maschi o come l’ennesimo processo di marginalizzazione delle donne in un ruolo considerato appunto marginale o vissuto come tale?
Quali conseguenze e ricadute comporta questa situazione sui destinatari del processo educativo/formativo (di fatto gestito dalle donne)?
Si aprano le danze. Il dibattito è aperto. Nel frattempo vi suggerisco la lettura di questa breve ma molto interessante riflessione del mio amico Rino Della Vecchia che a suo tempo (insieme al sottoscritto e ad altri amici) lanciò la proposta della quote azzurre nella scuola:

“Non ci sono dubbi sul fatto che è indispensabile riequilibrare l’asse educativo con riferimento al peso dei due Generi anche nella scuola. Ma perché e come? Quali i presupposti e quali le implicazioni?
Il motivo è banale: l’assenza maschile in campo educativo produce danni (da leggeri a gravissimi, da temporanei a permanenti) a carico delle nuove generazioni maschili e – quantomeno – causa lacune, strabismi, deformazioni in quelle femminili.

Presupposto.
Il presupposto è ovvio ed è che esistono differenze psicologiche tra M ed F correlate alla diversa costituzione dei due, che alla diversità del corpo sia associata una diversità della psiche, irriducibile, non vicariabile, non surrogabile e ciò tanto negli educandi/e quanto negli educatori/trici. In caso contrario quel che fa un educatore lo potrebbe fare anche un’educatrice. Basterebbe istruire-formare queste in modo diverso e così la presenza maschile (a scuola, in casa e altrove) a fini educativi diverrebbe superflua. Il riconoscimento di una diversità irriducibile (nella sua radice) non comporta né la pretesa di poterla descrivere compiutamente né quella di individuarne i confini, i punti di sovrapposizione, di contrasto, di ridondanza etc. Infatti nel processo educativo (di questo si tratta) abbiamo a che fare quasi del tutto con l’inconscio sia degli uni (gli adulti) che degli altri (i piccoli). Tra i 4 terminali di quel processo (M e F educatori M e F educandi) si instaurano relazioni diverse e complementari a prescindere dal fatto che ne siamo consci e/o in grado di descriverli, ciò in risposta a esigenze, potenzialità, attitudini, vocazioni diverse che esigono quelle risposte simmetricamente differenti che i due Generi possono dare.

Educazione e istruzione.
La trasmissione di conoscenze (saperi, competenze etc.) in sé potrebbe prescindere dal Genere che le veicola e le somministra. Potrebbe trattarsi anche di un dispositivo elettronico o di un androide. La questione che si pone infatti è quella educativa, della formazione, della crescita e della maturazione non quella dell’istruzione (“leggere, scrivere, far di conto”). Impossibile qui non rilevare che questa funzione, che pure è quella capitale, in ambito scolastico è considerata centrale solo alla materna, di una qualche importanza (ma non decisiva) alle elementari e praticamente nulla alle medie e superiori, gradi di scuola dove ci si aspetta che il giovane assorba e ripeta nozioni e dove la funzione educativa è tanto marginale per i programmi quanto vissuta come un peso, un ingombro dal corpo insegnante (un onere che altre agenzie, la famiglia e/o la scuola degli anni precedenti o …non si sa chi… avrebbe dovuto accollarsi). Del resto gli esami non vertono su quel che un alunno/studente è diventato, ma su quel che ‘sa’ (inteso come “ciò che sa ripetere-risolvere”).

Maschi educatori.
Porre la questione della presenza maschile a scuola significa quindi porre il problema del suo compito primario. Invece essa oggi è centrata sull’istruzione (intesa come preparazione alla professione e finalizzata – anche se in Italia di fatto velleitariamente- a obiettivi economici) mentre considera marginale la funzione educativa. Qui siamo costretti a leggervi un altro riverbero di quella che Fabrizio Marchi definisce “ragione strumentale”: oggi scopo della scuola non è la formazione, la crescita umana, l’evoluzione psicoemotiva integrale, la maturazione equilibrata (=la salute psicologica) del singolo e quindi la sanità mentale della società. No: lo scopo è produrre degli ingranaggi adatti al meccanismo economico. I costi di questa deformazione non importano, non importano né la gravità né l’estensione sociale dei danni. Ora, sarebbe per noi assurdo darci da fare per avere più maschi istruttori. Quel che vogliamo è la reintegrazione del maschio educatore nelle agenzie formative il che implica e comporta il rovesciamento aperto delle priorità scolastiche: prima la formazione e dopo (molto dopo, direi) l’istruzione (che oggi ha mille modi per trasmettersi): si tratta di un rovesciamento dirompente. Non maschi per istruire, ma maschi per co-educare.

Quote? Sì, certamente!
Come è vero che i maschi devono rientrare nella scuola per esigenze di formazione e non di istruzione, così devono esser là non per rispondere a questioni di equilibri professionali, di generica parità tra gli adulti in quella istituzione, ma per garantire la presenza del maschile nella formazione delle nuove generazioni. I maschi adulti non vi devono rientrare per interessi degli adulti ma dei maschi (e delle femmine) in età evolutiva. Questo fatto capitale risolve l’annoso problema presente: rivendicare le quote a scuola per M significa implicitamente accreditare, approvare le quote rosa ovunque. Falso. Le quote rosa non sono state pensate e imposte a vantaggio delle femmine (e men che mai dei maschi) in età evolutiva, ma come prebende (una forma spuria di eredità) per le femmine adulte delle classi medio-alte. Questa motivazione è essenziale e fa piazza pulita dei dubbi sulle quote maschili nella scuola che hanno motivazioni diametralmente opposte a quelle delle quote rosa altrove (tanto che per le prime sarebbe meglio adottare un nome diverso).

Rivalutare la maschilità.
Ovviamente la presenza di un adeguato numero di maschi nelle aule non basta, questo rientro deve essere accompagnato dalla rivalorizzazione del maschile, compito su cui tutti concordiamo, su cui sia il sottoscritto che Fabrizio siamo impegnati. Senza rigenerazione del prestigio maschile, senza rivalutazione del ruolo insostituibile della presenza maschile nel mondo, senza la rinascita del valore della maschilità quella presenza sarebbe quasi del tutto sterile, forse persino dannosa perché deformante. Sarebbe come trasferire il mammo da casa a scuola… brrr! Dunque l’obiettivo è duplice e il bunker scolastico va conquistato da entrambi i versanti. Compito di portata storica”.

17 commenti per “La “squola”

  1. Lucio Garofalo
    6 settembre 2015 at 16:17

    A proposito di femminismo e femminilizzazione della scuola

    Probabilmente, occuparsi oggi di “femminismo” è addirittura demodé. Nel senso che, per quanto si sollevi un problema reale ed oggettivo, l’approccio rischia di essere già superato e scorretto in partenza. Numerosi segnali indicano in modo inequivocabile come, malgrado la presenza femminile in vari settori lavorativi della nostra società sia in netto aumento, quando si tratta di ruoli decisionali, l’uguaglianza tra i sessi risulta un traguardo ancora distante. È innegabile come in tutti gli ambiti lavorativi e sociali i maschi detengano e mantengano a denti stretti le posizioni di maggior prestigio, privilegio e potere. La discriminazione è un dato ancora più evidente quando ci si addentra nel campo della politica, soprattutto ai vertici del potere politico. Tranne rarissime eccezioni, i “boss” dei partiti politici in Italia sono in prevalenza elementi maschili. Nel contempo, laddove esiste una netta predominanza femminile, ad esempio nella scuola, il rapporto di potere è inevitabilmente rovesciato: sono in crescente aumento i dirigenti scolastici donna. A tale riguardo mi sono formato alcune convinzioni che, all’apparenza, potrebbero essere invise alle più accese “femministe”. Mi riferisco alla realtà della scuola italiana, specie nei primi ordini di scolarità: scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado. In tale contesto la femminilizzazione è un dato dominante in assoluto: nelle scuole materne, laddove gli elementi maschili sono completamente assenti, o nelle scuole elementari, laddove i maestri costituiscono una netta minoranza. Sono convinto che uno dei problemi della scuola italiana (non è l’unico, ovvio) sia proprio l’eccessiva femminilizzazione. Altrove, ad esempio in Francia o in altri stati, nei paesi scandinavi, la presenza maschile più consistente e, in alcuni casi (ad esempio, in Norvegia), addirittura massiccia. La ragione si spiega molto facilmente. In tali paesi gli emolumenti assegnati agli insegnanti sono più appetibili, per cui gli uomini aspirano in maggior numero ai posti di insegnamento, a differenza del nostro paese, dove le retribuzioni alla classe magistrale sono indecenti e miserabili. Lo scarso valore, anche e soprattutto economico, riconosciuto alla professione docente in Italia, deriva (in parte) proprio da questa eccessiva femminilizzazione della scuola. Infatti, le donne che insegnano sono nella quasi totalità madri e mogli impegnate ad attendere alle faccende domestiche ed accudire la prole, relegate in ruoli marginali rispetto ai coniugi, che invece svolgono funzioni più remunerative in termini economici. Per cui le insegnanti che sono anche mogli e madri non hanno tempo o voglia di dedicarsi ad attività sindacali e tantomeno occuparsi di politica. Per le stesse ragioni, quando si tratta di scioperare, lottare e rivendicare i propri diritti sindacali ed ottenere miglioramenti nella propria condizione lavorativa, le insegnanti (in gran parte mogli e madri) tendono a sottrarsi e disimpegnarsi, per cui il potere contrattuale e sindacale della categoria si è ridotto drasticamente. Non a caso le adesioni agli scioperi nel comparto scuola sono più basse che altrove, in fabbrica o in settori dove la presenza maschile è assai più elevata, come le industrie metalmeccaniche. Naturalmente, il mio non è affatto un atto d’accusa nei confronti della presenza femminile nella scuola e nella società italiana. Il mio intento è di ridestare le coscienze assopite, o distratte, delle donne, siano esse insegnanti, madri, mogli o single, poiché l’emancipazione dell’umanità passa anche attraverso l’affrancamento effettivo delle donne dalla condizione di marginalità o subalternità a cui ancora sono in gran parte costrette nella società, in alcuni ambiti professionali, ma ancor più sul terreno politico-decisionale…

    • Skorpion
      10 settembre 2015 at 20:06

      “È innegabile come in tutti gli ambiti lavorativi e sociali i maschi detengano e mantengano a denti stretti le posizioni di maggior prestigio, privilegio e potere.” (Garofalo)

      Falso, ma se è per questo, gli UOMINI(perchè dici “maschi” e “donne” e non “uomini” e “donne”?) “detengono” anche le posizioni più usuranti, degradanti e rischiose, e questo sono molto più numerose delle posizioni di prestigio(che in quanto tali sono riservate a poche persone)infatti il 97% dei morti sul lavoro è maschile, posizioni queste che le femmine evitano a “denti stretti”. E comunque non è affatto vero che gli uomini detengono le posizioni più “prestigiose”.A quale campo ti riferisci? Nella scuola, la maggior parte dei presidi ormai è femmina, mentre le posizioni più basse, cioè i bidelli, guarda caso, sono occupate in maggioranza da uomini. Settore giudiziario: magistrati ormai hanno raggiunto i colleghi maschi, e seguendo questo trend, fra alcuni anni saranno oltre l’ 80%(quindi potere giudiziario in mano femminile), stessa cosa per il mondo dell’ avvocatura. Serrore medico sanitario: nel campo medico la situazione è ancora più sbilanciata a favore delle femmine, infatti oltre il 70% dei laureati in medicina sono donne, quindi di questo passo, fra pochi anni, quasi tutti i medici saranno donne. Dove cazzo le vedi, quindi, queste posizioni “prestigiose” occupate dai “maschi”?

      “Tranne rarissime eccezioni, i “boss” dei partiti politici in Italia sono in prevalenza elementi maschili. “(Garofalo)

      Ecco, bravo il castrato mentale femminista che fa (s)ragionamenti tipicamente femministi.,. La maggior parte dei “boss” dei partiti politici è uomo non perchè le donne siano “discriminate” ma perchè gli uomini partecipano in politica di più delle donne(controlla in qualunque comizio politico, e il numero degli iscritti a qualunque partito, e vedrai che le donne sono molto di meno), quindi questo si riflette anche nella presenza numerica a livello politico. E poi, una ventina di “boss” di partito che hanno a che vedere con milioni e milioni di uomini italiani? tu, da bravo femminista, fai passare i privilegi di una ristretta “elite” per privilegi maschili generalizzati(perchè, invece, non parli della Merkel che padroneggia e spadroneggia l’ Europa?). E poi davvero credi che questi “boss” politici facciano gli interessi maschili solo perchè uomini? Vendola, il super femminista, è maschio, sì,ma fa gli interessi delle donne, non certo degli uomini. Renzi, idem,. Alfano, idem(sua la legge che “butta fuori di casa” i mariti accusati dalle moglie senza prove), Berlusconi idem(che ama circondarsi delle peggiori femministi come Carfagna, la Mussolini, la Prestigiacomo, ecc). Hai mai sentito un politico o ministro o presidente uomo parlare di diritti maschili? Fino a prova contraria, parlano solo di diritti femminili e fanno a gara a chi fa più leggi pro donne e ancntimaschili. Perchè non parli poi della Boschi, della Giannini,e altre, fatte ministresse solo perchè donne e senza che abbiano fatto alcuna gavetta politica e parlamentare?

      • Alessandro
        3 ottobre 2015 at 21:34

        Intervento dal tono un po’ acceso, ma certamente meritevole di mettere le cose in chiaro. Questa è la realtà.

    • skorpion
      10 settembre 2015 at 21:22

      ” tali paesi gli emolumenti assegnati agli insegnanti sono più appetibili, per cui gli uomini aspirano in maggior numero ai posti di insegnamento, a differenza del nostro paese, dove le retribuzioni alla classe magistrale sono indecenti e miserabili. “(Garofalo)

      Quindi per te gli uomini non vogliono fare i docenti perchè tale professione è “poco retribuita”? Allora fammi capire, cosa vogliono fare in alternativa? Il Dirigente di Azienda???? ma fai finta di non sapere che i dirigenti di azienda sono posizioni riservate solo a pochissime persone. Mentre le femmine fanno le docenti, gli uomini vanno ad asfaltare le strade sotto il sole a 50 gradi, sulle impalcature, a costruire ponti, nelle fogne, ecc-. Per queste posizioni le femmine non chiedono quote rosa, le chiedono solo per le posizioni di prestigio e di potere. Bella coerenza hanno le tue amiche femmine.

      p.s: da figlio di madre docente, ti dico che è un cazzata che il lavoro di docente non conviene. dato che il docente (insieme ai dipendenti pubblici, guarda caso in maggioranza donne) non lavora quasi mai 8 ore al giorno e ha quasi tre mesi di ferie. A differenza di quasi tutti i lavori. Ecco perchè tale lavoro è molto richiesto dalle femmine.,

  2. Giovanni Verdi
    7 settembre 2015 at 0:51

    Dal vostro articolo si ha l’impressione che qualcuno voglia assumere preferenzialmente donne nella scuola.
    Adesso, l’assunzione dell’87 % di donne significa una proporzione di 7:1 tra assunzioni di donne e di uomini.
    Adesso, la vostra affermazione regge soltanto se la proporzione di candidature maschili fosse più alta, diciamo 6:1.

    Avete accesso ai dati delle candidature? Se non li avete, non potete affermare che la proporzione tra assunzioni di donne e di uomini sia superiore a quella tra candidature di donne e di uomini,

    Cordialmente

    • Fabrizio Marchi
      7 settembre 2015 at 9:21

      Caro Giovanni Verdi, probabilmente mi sono spiegato male oppure sei tu che hai frainteso il senso del mio articolo.
      E’ evidente che stiamo parlando di un processo che ha portato a un progressivo ma relativamente rapido allontanamento degli uomini dalla scuola, non di una decisione politica presa a tavolino per escluderli. Mi sembra anche superfluo doverlo sottolineare.
      Perché, secondo te, il fatto che ad essere occupati nell’edilizia, nella siderurgia, nell’industria estrattiva e mineraria, nella pesca e in generale nell’industria pesante siano pressoché soltanto uomini, è il risultato di una atto politico deliberato per escludere le donne? Suvvia…
      E gli uomini occupati in quei settori (dove spesso, purtroppo si muore o si resta gravemente infortunati perché se non lo sai la quasi totalità dei morti sul lavoro sono maschi, e poveri, perché è ovvio che i banchieri e gli industriali non cadono dalle impalcature) lo sono in virtù di un privilegio o di una discriminazione? E l’assenza delle donne in quegli stessi comparti a cosa è dovuta? Al privilegio o alla discriminazione? Lavorare o non lavorare (nel caso delle donne), vivere o morire in un cantiere edile o in una miniera è un privilegio o una discriminazione?
      Come vedi la questione è molto complessa. Quello che vogliamo dire è che il femminismo ha ridotto la complessità della relazione fra i sessi e della divisione sessuale (oltre che sociale) del lavoro dovuta a ragioni oggettive alla dicotomia uomini-oppressori/donne-oppresse, alimentando di fatto una concezione sessista e interclassista delle cose.
      Noi riteniamo che questa sia una semplificazione e una manipolazione ideologica, anche decisamente maldestra, della storia, per ragioni di potere (l’ideologia serve a questo).
      Quindi lascia stare le proporzioni e concentrati sul concetto su cui stiamo ragionando.

      • Giovanni Verdi
        8 settembre 2015 at 20:30

        “Perché, secondo te, il fatto che ad essere occupati nell’edilizia, nella siderurgia, nell’industria estrattiva e mineraria, nella pesca e in generale nell’industria pesante siano pressoché soltanto uomini, è il risultato di una atto politico deliberato per escludere le donne?”

        Questo non è più vero dai tempi della prima guerra mondiale. Anzi, le donne avevano ai tempi il vantaggio di esser pagate meno a parità di lavoro. Per quanto riguarda l’industria pesante, pensa a tutte le donne impegnate nell’industria degli armamenti (Rosie the Riveter dice niente) in epoche diverse. O quelle nella lavorazione dei tessuti o dei tabacchi (e tranquillo che gente femminile che c’abbia perso mani,occhi o polmoni ce n’é stata).

        Oltretutto, il peso del settore industriale e di quello agricolo sono in calo in tutti i paesi occidentali dall’inizio degli anni Sessanta, perchè nessuno vuole fare quei lavori se ha alternative.

        La tua è ideologia perchè fai affermazioni basate su luoghi comuni e leggende metropolitane. Inoltre, non citi una fonte verificabile sui dati macroeconomici e serie storiche sottostanti la tua analisi. Discorsi del genere li sento tutti i giorni al bar…

        • Fabrizio Marchi
          8 settembre 2015 at 22:26

          In tutta sincerità sono i tuoi che sono discorsi da bar…anzi, ritornelli triti e ritriti (questi si, ideologici…) che hai assimilato e che ci riproponi come un disco rotto…non vale neanche la pena risponderti e dal momento che non ti poni in un atteggiamento dialogico ma vieni di fatto qui solo a provocare (altrimenti non ti saresti espresso in quel modo cafone e superficiale al contempo) ti invito anche ad allontanarti.
          Il dibattito su questo giornale è di alto livello (e non parlo della sintassi o della grammatica perché ciascuno si esprime come sa, ma dei contenuti), e non mi sembra proprio il caso di impoverirlo con interventi come i tuoi.

        • armando
          11 settembre 2015 at 0:45

          È Documentato che gli infortuni sul lavoro, quelli gravi o gravissimi o mortali, colpiscono in grande maggioranza maschi, 96 per cento di decessi. Ora, se il fatto che i posti rischiosi e faticosi siano maschili fosse una leggenda metropolitana, significherebbe che gli uomini sono maldestri e imbranati, ossia incapaci di badare a se stessi. Questo si deduce dal “ragionamento” di Giovanni verdi.

        • Rino DV
          14 settembre 2015 at 19:21

          Caro Giovanni Verdi,
          da quando sono nato io sono morte sul lavoro 2.500 donne circa e 115.000 uomini.
          Questo è una tessera del puzzle. Il quadro integrale costruiscilo da te.

      • Skorpion
        11 settembre 2015 at 1:47

        “Avete accesso ai dati delle candidature? Se non li avete, non potete affermare che la proporzione tra assunzioni di donne e di uomini sia superiore a quella tra candidature di donne e di uomini,”(Verdi)

        Giusto, caro zerbino femminista. Ma lo stesso discorso vale anche per la presenza di uomini e donne nella politica: si dice sempre che le donne sono “discriminate” in politica perchè ne sono di meno degli uomini, però nessuno di voi dice che la presenza minore di donne in politica riflette una minore(in termini numerici) partecipazione femminile(quindi anche un numero minore di candidate candidate) alla politica, quindi non una discriminazione. Che banda di ipocriti che siete.

        “Questo non è più vero dai tempi della prima guerra mondiale.”(Verdi)

        Non è più vero,. ‘a fess ‘e soreta!!!. Il 97% dei morti e degli infortuni sul lavoro è maschile. Il che dice tutto.

  3. raffaella
    7 settembre 2015 at 17:41

    Ricordo ancora il mio respiro di sollievo, l intima felicità (sono sicura anche dei miei compagni di classe ) quando la professoressa di Matematica e fisica lasciava l’aula dopo un’ora di puro terrore e subentrava il “buon”professore di Filosofia o di Letteratura greca…”buono” nel senso che ancora oggi ne ricordo competenza superiorità intellettuale e umanità raramente riconosciute (per lo meno tutte insieme)nelle figure femminili incontrate nel mio percorso scolastico.
    Ma mi chiedo se i professori possano ancora dare un prezioso contributo al benessere degli alunni, oggi che la scuola-azienda. con le sue moltiplicate riunioni e gli ambitissimi progetti toglie tempo al l’approfondimento o anche solo all’aggiornamento personali relegando così gli insegnanti a meri tecnici del sapere…Non è’ questo il prezioso contributo maschile a cui mi rifacevo prima in una scuola femminile!

  4. armando
    7 settembre 2015 at 19:06

    Pienamente d’accordo con Raffaella. La scuola dei moduli, delle schede, delle riunioni, dei Consigli e di tutte le procedure burocratiche connesse, uccide le migliori intenzioni, sia maschili che femminili, a parte le competenze specifiche degli insegnanti su molti dei quali ho dubbi. Dubbi perchè vengono essi stessi da questa scuola. Senza contare i “contenuti” , le materie e i programmi. Non lavoro nella scuola, ma la mia impressione è che il livello sia abbassato di molto rispetto ad anni addietro.
    Alla fine, sarà duro dirlo, ma la riforma gentiliana fu, nel suo ambito naturalmente, una riforma seria. Certo era una scuola “di classe” e il liceo classico formava le future classi dirigenti i cui membri provenivano dai ceti alti. Non era giusto, sotto questo aspetto. Ma nello stesso tempo riusciva a formare anche gli oppositori seri e veri al sistema, come molti dirigenti dell’allora partito comunista. Ed anche alcuni figli del popolo particolarmente bravi, sia pure con grandi sacrifici, vi accedevano. Ed ora? Forse c’è molta più mobilità sociale ottenuta tramite una scuola svilita? Ne dubito fortemente, mentre i figli delle classi agiate la loro strada continuano a trovarla tramite le famiglie.
    Chiudo dicendo che ho avuto la fortuna di avere un maestro alle scuole elemntari. Lo ricordo ancora a sessantanni di distanza, per la sua capacità di innovare e nello stesso tempo di rapportarsi a noi ragazzi.

    • raffaella
      8 settembre 2015 at 20:48

      Complimenti, caro Armando, perché anche se non fai parte del mondo della scuola ne sei più addentro di quelli che ci lavorano…comunque
      Ci sono due film che rivedo sempre con piacere LA SCUOLA con il simpaticissimo Silvio Orlando e OVOSODO di Virzi’ che a mio parere “istruiscono”sul complicato ma coinvolgente mondo della scuola!

      • armando
        11 settembre 2015 at 12:07

        Non faccio parte del mondo della scuola ma ho avuto la ventura (o sventura? scherzo, naturalmente) di aver avuto (ed ho tutt’ora) compagne che in quel mondo ci sono. Così mi sono fatto un’idea del caos che vi regna, della cui nascita e del cui incremento sono complici governi (tutti), sindacati, insegnanti ed anche genitori. Almeno questa è la mia idea. Caos che la Buona Scuola anzichè semplificare rischia di aggravare. Fare l’insegnante mi sarebbe piaciuto molto, anche se mi rendo conto che mi sarei incazzato un giorno si e l’altro anche. Sul fatto che sia coinvolgente nessun dubbio. Quando due insegnanti si incontrano inutile tentare di parlare d’altro. L’argomento è quello. Ma è spesso quello anche se fra i due uno solo insegna. Toglimi una curiosità, se puoi. Non so dire con certezza se “l’esportazione” del coinvolgimento è generalizzata o se è maggiore se l’insegnante è femmina. A te cosa risulta?

        • raffaella
          11 settembre 2015 at 19:41

          Caro Armando, credo si debba fare sostanzialmente una distinzione…quello tra chi crede e chi non crede in ciò che fa.
          Questo ” sentimento” molte volte non sai d’ averlo…questo lavoro può diventare meccanico come qualsiasi lavoro!
          Ma quando ti ritrovi in una classe con degli adolescenti che aspettano che sia tu a dire qualcosa d’importante e di credibile in merito anche a questioni scolastiche, o quando in una riunione devi affrontare un problema con i tuoi colleghi .allora non puoi non esserne coinvolto, anche se sei stanco e deluso per tutto il triste contorno che la scuola offre di cui ha fatto un’ analisi da 10 e lode!

  5. Skorpion
    10 settembre 2015 at 18:52

    Ma mandare questo messaggio direttamente alla ministressa Giannini, no?

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