Origini filosofiche del “sionismo cristiano”

Elementi del pensiero di Martin Heidegger nella formazione del “movimento sionista cristiano”.

TESTATACome molti sanno, la filosofia nella storia spesso è stata un utile strumento nelle mani del potere; però racchiudere una certa corrente filosofica a un tempo passato e ormai finito può essere un grave errore, questo perché la storia della filosofia è tutt’altro che lineare e non circoscrivibile in un orizzonte storico concluso e morto per sempre.

L’argomento che si cercherà di trattare sarà la filosofia heideggeriana, come quest’ultima sia stata  prerogativa del nazismo e quali sono le nuove forme e declinazioni che essa può prendere oggi nella politica mondiale.

Come è noto Martin Heidegger aderisce al nazismo nel 33, tuttavia prima di tale data si sviluppa in Germania quello che molti storici definiranno il movimento precursore del nazionalsocialismo. Parliamo della rivoluzione conservatrice del ’27; Heidegger non aderirà a tale movimento, vediamo perché. Uno dei principali sostenitori della rivoluzione conservatrice tedesca fu Ernst Junger (amico di Heidegger); Junger sosteneva che la storia non produce forme, bensì si modifica in virtù di esse.

La forma è per il filosofo forza storica che irrompe nello spazio storico imponendo il proprio dominio; l’operaio jungeriano non è quindi frutto di un processo storico-progressivo  (come lo è in Marx) ma è forma che porta a compimento il dominio planetario della tecnica come avvento di un nuovo ordine.

Heidegger dirà dell’altro, per lui la rivoluzione nazionalsocialista e la conquista del potere politico da parte di Hitler sarebbe stata una “via delle prima rivoluzione” capace di trascendere i confini del politico e in grado di costruire “un secondo più profondo risveglio spirituale”.

Per far ciò il filosofo introdurrà il concetto di “Geist”, ossia decisione verso l’essenza dell’essere. La via verso l’essenza, prende il là dalla critica e dalla destituzione della metafisica che Heidegger propone come un “attraversamento della metafisica”; per compiere tale attraversamento sarà necessario partire dall’opera più grande del filosofo tedesco, Essere e tempo.

In Essere e Tempo Heidegger propone un nuovo modello riguardante il modo di intendere la verità, per anni nella tradizione filosofica il concetto di verità è stato impostato come adeguatio (verità che ha a che fare con i nostri giudizi, che ha a che fare con il discorso sull’uomo che crea il vero e il falso), in essere e tempo viene fatto un passo indietro: la verità come apertura dell’esserci (dell’esistere). Tale modello entrerà però in crisi nel ’30 poiché il filosofo si rese conto che parlare verità ricondotta all’esserci, lasciava quest’ultima in una dimensione puramente soggettivistica, così come la vita del cristiano era vista come legata al “prendersi cura” ed era dunque un “essere nel mondo”, presso gli enti, fuori da se e dunque nella non verità.

Si può qui introdurre il concetto heideggeriano di metafisica come “erranza necessaria”; se ci muoviamo nell’ambito della metafisica siamo per il filosofo nella non verità. La tecnica sarà quindi equiparata alla metafisica, entrambe considerate come “un’idea di verità” e orizzonte chiuso.

Il pensiero ebraico era considerato dal filosofo a monte della metafisica occidentale, perciò il discorso contro “l’essere ebreo” fu affrontato in chiave metafisica, in quella che molti definiranno la metafisica dell’antisemitismo: gli ebrei nella storia dell’essere svolgono una funzione immonda perché “perdono il mondo”; Heidegger pone il mondo ebraico nell’oblio dell’essere, in quell’essere immondi perché sradicati dalla terra.

Il nazionalsocialismo sarà definito da Heidegger come “mera trasformazione dell’ente” aggiungendo che “ciò che conta non è la via ma la fine e la via è nient’altro che la nostra esitazione”. Cosa ci sta dicendo qui?La sfida per comprendere tali parole, è capire che antisemitismo e antigiudaismo sono in stretta relazione. Heidegger  vuole contrapporre l’ebraismo all’inautenticità dell’inizio della metafisica.

L’antisemitismo metafisico viene qui generato dall’antigiudaismo; le tesi antigiudaiche heideggeriane riecheggiano la denuncia e la destituzione della metafisica passate nel cristianesimo.

Vediamo perché, vediamo in che senso l’antisemitismo potrebbe essere per il filosofo, un prodotto giudaico (tenendo presente che per Heidegger l’antisemitismo diventa aspirazione all’identità pura). Per comprendere ciò dobbiamo considerare l’interesse che Heidegger aveva per S. Paolo e lo studio delle Lettere, per un giudeo che credeva in Cristo.

Paolo diventa un banco di prova per una fenomenologia che intenda riscoprire la dimensione storica e proporsi come vera filosofia. Paolo è visto come “l’essere divenuto” (notiamo però che la direzione escatologica fondamentale è già tardo giudaica , la coscienza cristiana ne è un’elaborazione).

Heidegger prende in esame in particolare le Lettere paoline ai Tessalonicesi, particolare importanza avranno le seguenti parole: “Mediante la legge io sono morto alla legge per vivere in Dio”; l’interpretazione heideggeriana sarà riassumibile così: Dato che Cristo è divenuto identico con la legge, ecco che la legge è morta con lui. Paolo ha vissuto il morire in Cristo, il morire alla legge, a qualcosa che pretende di valere a prescindere dal tempo. Paolo vive il tempo in quanto muore a ciò che vorrebbe far morire il tempo e comincia a trarre vita da quello che è “lo scandalo della croce”. Paolo sa di essere storico e sa che questo suo sapere era impossibile prima della morte e resurrezione di Cristo. Arriviamo a quella che è una questione molto importante: Il tempo è vissuto nell’attesa del ritorno glorioso del signore, nelle parusia che è già pienezza di vita e rapporti; parusia è il nome proprio della temporalità cristiana, è “senso di compimento”. Inoltre, nello scrivere le lettere Paolo  “ha bisogno” di farlo e l’essere (in senso heideggeriano) rispetto a tale aver bisogno, è solo derivazione; poiché “come in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti saranno vivificati”.

Da tutto ciò è possibile a mio modo di vedere, fare dei paragoni con quella che è una delle più sanguinarie dottrine teologiche moderne che è il sionismo cristiano. Il sionismo cristiano è essenzialmente antisemita  e sostiene che gli ebrei si convertiranno  (e cesseranno di esistere in quanto ebrei) quando Israele avrà cacciato l’ultimo arabo  e avrà conquistato l’intera Palestina, solo allora Cristo scenderà una seconda volta sulla terra e gli ebrei si convertiranno.

Il movimento sionista cristiano è anteriore di almeno 60 anni rispetto al sorgere del sionismo ebraico; le origini risalgono al settarismo britannico del XIX secolo  e nel XX secolo diventa movimento dispensazionalista prevalentemente americano all’interno delle maggiori denominazioni evangeliche. Il valore strategico di una patria ebraica in Palestina era un fattore significativo per la politica estera britannica del XIX secolo e oggi il movimento sionista cristiano è una delle lobby più potenti in America. Senza un continuo sostegno politico dei sionisti cristiani in America e un significativo appoggio economico, lo stato di Israele non continuerebbe ad occupare la West Bank  dal 1967.

Vediamo meglio cosa sottoscrive il sionismo cristiano:

  1. Dispensazionalismo messianico: L’impegno di evangelizzare il popolo giudaico prima del secondo avvento.
  2. Dispensazionalismo apocalittico: Pessimismo sulla pace in medio oriente; condivide con il dispensazionalismo politico l’impegno a promuovere una forte presenza militare americana e sostegno a Israele.
  3. Tolleranza acritica del giudaismo rabbinico e sostegno alla destra israeliana, quindi legittimazione dell’oppressione della Palestina nel nome dell’evangelo.

Israele è al tempo stesso condizione del ritorno messianico e figura dell’anticristo. Al punto che il reverendo Falwell (noto personaggio in USA) avrebbe dichiarato: “Auschwitz non è stato altro che il preludio del giudizio di Armageddon”. Interessante è notare che nell’ambito della sfera politica, esponenti filo-israeliani e congreghe ebraiche si sono alleati con i cristiani sionisti antisemiti (come giustamente ricorda James Petras), al fine di intensificare l’alleanza sionista per il sostegno incondizionato di Washington  (aiuti militari politici ed economici) per Israele e la guerra di occupazione in Medio Oriente.

A questo punto possiamo capire quale risvolto drammatico prenda oggi quell’idea heideggeriana di “antisemitismo come aspirazione a identità pura”. Non possiamo certo sapere se il filosofo avrebbe oggi sostenuto lo scempio sionista né forzare il suo pensiero che non è quello di un pensatore politico, ma possiamo ricordare le parole di un filosofo che aderì al nazismo affermando che la rivoluzione del nazionalsocialismo non sarebbe stata che una “via delle prima rivoluzione”.

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