Bakur e Rojava: inutile e crudele accanimento contro le tombe dei curdi

Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

 

Quella di accanirsi sulle tombe di avversari politici o di semplici cittadini considerati di serie B appare una prassi abituale per i necrofili nazisti e fascisti.
Come spiegare altrimenti le ricorrenti devastazioni di cimiteri ebraici con le lapidi imbrattate di svastiche?
O anche, tra i tanti episodi riportabili, la distruzione della tomba di Guido Picelli per mano di franchisti spagnoli e fascisti italiani alla fine della Guerra Civile?
Picelli, uno dei principali organizzatore nell’agosto del 1922 della cacciata da Parma delle squadracce di Italo Balbo, venne ucciso nel gennaio 1937 combattendo contro il franchismo (senza poter escludere un intervento occulto degli stalinisti anche se i tempi non coincidono con gli eventi di Barcellona del maggio successivo). Sepolto sul Montjuic di Barcellona (come Durruti), il suo corpo venne estratto dalla bara e fatto a pezzi. I poveri resti sparsi in giro. Sulla lapide, poi distrutta, si leggeva: “All’eroe delle barricate di Parma”.
Con gli stessi metodi operano ora militari turchi e milizie islamiste contro le tombe curde. Semplice coincidenza?
Sicuramente le analogie non mancano: senso della gerarchia, disprezzo per le donne, necrofilia…
Mentre in Bakur (Kurdistan del Nord, sotto amministrazione-occupazione turca) l’esercito turco va distruggendo con sistematicità le tombe dei combattenti curdi, in Rojava le bande islamiste filo-turche si scatenano contro quelle dei curdi yazidi.
Nell’ultimo mese si è assistito sia ad un significativo incremento di azioni vandaliche nelle province di Van e Amed (Diyarbakir), sia all’espansione di tale operato in altre regioni. Per esempio molte tombe di guerriglieri sono state distrutte dai soldati turchi nella provincia di Bingol.
E l’esercito turco non si accanisce – profanandole – soltanto sulle tombe di esponenti del PKK, ma anche contro quelle di militanti maoisti. Come nel recente caso di Sevda Serinyel, combattente di HKO (Halkin Kurtulus Ordusu – Esercito popolare di liberazione) uccisa in combattimento nel 2017 nel distretto di Ovacik (provincia di Dersim) e sepolta nel cimitero di Karer (distretto di Adakli).
Alla sua famiglia, convocata al distretto militare il 14 aprile, veniva ordinato di togliere sia la foto sulla pietra tombale, sia l’ iscrizione qui posta (“Noi siamo morti per vivere”) in quanto sarebbe stata illegale. Dato che i familiari si sono rifiutati di eseguire, i soldati sono intervenuti direttamente.
Tra le altre tombe profanate dai militari turchi, quelle dei caduti delle HPG nei cimiteri di Gozeler, Karer e di un’altra decina di villaggi curdi alaviti. Anche qui era stato ordinato alle famiglie di togliere le pietre tombali, poi l’esercito è intervenuto in prima persona.
In Rojava sono soprattutto i curdi yazidi di Afrin (in gran parte rifugiati a Shehba) che denunciano le devastazioni operate contro i loro cimiteri e luoghi di culto. Responsabili, le bande criminali filo-turche che si sono impossessate della regione nel nord della Siria.
Accusati di essere “infedeli”, “zoroastriani” e “adoratori del diavolo” (un classico!) gli esponenti di questa minoranza religiosa rischiano di diventare nuovamente vittime sacrificali delle milizie islamiste, alleate (o meglio: mercenarie) di Ankara.
Oltre a numerose tombe, recentemente veniva devastato il santuario Sheikh Ali a Basufan. Stando alle dichiarazioni dei rifugiati, dall’inizio dell’occupazione i santuari distrutti sarebbero oltre una decina.
Ad Afrin incombe l'ombra di un nuovo massacro yazida sotto i raid ...
Fonte foto: Huffington Post (da Google)

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