La città stremata dal non governo

Ricevo personalmente e volentieri pubblico, pur non condividendolo, questo articolo (che riporto di seguito) del mio amico Antonio Castronovi.

Sono però necessari alcuni chiarimenti per spiegare le ragioni del mio dissenso rispetto alla posizione da lui espressa.

Roma è una metropoli che ha problematiche strutturali che non possono essere risolte in un paio d’anni e neanche in cinque. Per risolvere i problemi di una città come Roma ci vorrebbe un Piano Straordinario, con investimenti e risorse ingenti, in un arco temporale non inferiore ad una dozzina o addirittura una quindicina di anni, ad essere onesti.

Nelle attuali condizioni, cioè senza neanche un millesimo di quelle risorse che sarebbero necessarie per sanare le numerose emergenze di questa città (trasporti, strade, viabilità, assenza di una rete metropolitana adeguata, insufficienza di mezzi pubblici, periferie abbandonate, abusivismo edilizio, carenza di servizi sociali, rifiuti e quant’altro), è evidente che anche la giunta più qualificata sotto il profilo tecnico, amministrativo e politico, potrebbe fare ben poco.

C’è da dire che anche quel poco che si potrebbe fare non viene fatto, data l’insipienza e la pochezza complessiva dell’attuale giunta e della sindaca che in due anni e mezzo ha fatto parlare di sé solo per il turn over degli assessori, per la presenza di personaggi ambigui e indagati (e in seguito a quelle indagini, cacciati) e per le polemiche (ma anche alle ben note vicende di corruzione che hanno coinvolto alcuni tra i più famosi “palazzinari” romani e anche esponenti politici di vari partiti) sorte in merito alla vicenda della costruzione del nuovo “stadio della Roma.

Diciamo pure che l’attuale giunta si caratterizza per la sua sostanziale assenza. Gli uffici comunali avrebbero potuto continuare ad esercitare le loro funzioni per l’ordinaria amministrazione e nessun cittadino romano si sarebbe accorto di nulla. Nessuna iniziativa forte, politicamente caratterizzante (oltre ad avere detto di no alle Olimpiadi), nessun programma, solo un vivacchiare giorno per giorno senza nessuna progettualità. Del tutto naturale, quindi, che molta gente abbia cominciato a spazientirsi.

Tuttavia questo non può portarci a dire che la città non è mai stata abbandonata e malgovernata come in questi ultimi due anni e ad accodarci di fatto al coro capzioso di quelle forze politiche, di destra e di sinistra, che hanno malgovernato questa città, quando non l’hanno scempiata e/o saccheggiata

Dal dopoguerra fino alla metà degli anni ’70, cioè fino alla prima giunta di sinistra guidata da Argan, Roma è stata letteralmente il paese dei balocchi per gli speculatori e i palazzinari romani (ma anche per tanta gente che ha costruito abusivamente un po’ ovunque infischiandosene bellamente dei piani urbanistici e ambientali e confidando negli immancabili condoni…) che, protetti dal sistema di potere democristiano (e clericale) con il quale erano collusi, hanno fatto il bello e il cattivo tempo. Speculazione edilizia, abusivismo, corruzione, clientelismo, malaffare, sono stati il tratto distintivo di quei trent’anni a guida democristiana. Poi, come dicevo, c’è stata la parentesi relativamente lunga (dieci anni) di giunte di Sinistra, quelle guidate da Argan, Petroselli e Vetere. Sono state le uniche, a mia memoria, che hanno portato risultati positivi per la città. Furono costruiti alloggi popolari dove si trasferirono decine e decine di migliaia di “baraccati” (all’epoca, c’erano ancora i famosi borghetti”, cioè agglomerati di baracche ai margini delle borgate e dei quartieri periferici), furono, sia pur parzialmente risanate le borgate, dove furono portati i servizi essenziali che ancora mancavano, fu costruita la rete A della metropolitana che collegava l’estrema periferia al centro storico (scusate se è poco…), fu salvaguardato e riqualificato il Parco dell’Appia Antica, e fu promossa (chi non ricorda con piacere l’”estate romana” di Renato Nicolini?…) una politica culturale che animò e rese vivibile una città che d’estate era desolatamente deserta.

Poi la sconfitta e l’inizio del viale tramonto per la Sinistra e quindi ancora giunte sciatte e incolore democristiane e pentapartito che “governarono” (si fa per dire…) la città sulla base delle stesse logiche delle vecchie giunte democristiane. E poi infine le giunte di centrosinistra guidate da Rutelli e Veltroni (non spendo neanche una parola per la giunta Alemanno, forse la peggiore che ci sia stata e probabilmente ancora più rapace di quelle vetero democristiane in quanto a clientelismo) che in effetti hanno fatto un “salto di qualità” da un certo punto di vista. Non più, infatti, il clientelismo “pasta e facioli” che ha caratterizzato gli anni del famoso “patto Dell’Unto-Sbardella” (che erano gli “uomini forti” del PSI e della DC romani), ma una politica di “grande” ristrutturazione urbanistica della città che ha visto l’accordo di potere fra partiti, banche, gruppi finanziari, costruttori, giornali (di proprietà dei costruttori, talvolta anche proprietari delle banche) e che si è tradotta nella costruzione di mega centri commerciali e di nuovi quartieri residenziali a scapito dell’edilizia popolare, dei servizi sociali (sempre carenti) e delle periferie che hanno continuato ad essere abbandonate.

Questa, in estrema sintesi, la storia della città dal dopoguerra ad oggi.  Una città che è stata scempiata urbanisticamente e a più riprese ripetutamente saccheggiata.

Sottoporre a critica, anche radicale, la giunta Raggi è un diritto e un dovere, e noi, dalle pagine di questo giornale, lo abbiamo fatto. Attenzione, però, a non diventare strumento di quei partiti e di quelle forze “imprenditoriali” che hanno portato alle condizioni in cui si trova oggi la città e che si scagliano contro l’attuale giunta accusandola ipocritamente di inadempienza e inadeguatezza.

Chiedere le dimissioni della Raggi, allo stato attuale, significa, a mio parere, riconsegnarsi a quel ceto politico e imprenditoriale e a quei gruppi di potere di cui sopra, oppure ad una Giorgia Meloni che, in effetti, sostenuta da tutta la destra (e da quegli stessi gruppi di potere) potrebbe a quel punto avere buone possibilità di successo. E’ necessario cominciare fin da ora, per quanto possibile, a costruire una ipotesi politica che possa portare fra tre anni all’affermazione di uno schieramento democratico che in qualche modo risponda, sia pur parzialmente, a quelle esigenze di rinnovamento e di risanamento reale della città, a partire da quei servizi essenziali per la grande maggioranza dei cittadini che poi sono quelli che risiedono nelle periferie, nell’hinterland e nei grandi quartieri popolari della Capitale.

Fabrizio Marchi

 

Di seguito, l’articolo di A. Castronovi:

 

“Sabato 27 ottobre 2018 c’ero anch’io in piazza del Campidoglio insieme a migliaia di romani per protestare contro il malgoverno della città e contro la Giunta Raggi. Roma è una città stremata e stressata dal  suo non-governo e dalle promesse non mantenute, aggravata da una opposizione politica e sociale inesistente. La folla di cittadini  autoconvocati  chiedeva a gran voce le dimissioni del sindaco pentastellato Virginia Raggi.  Sono andato in piazza per partecipare e condividere un malessere che ti prende oggi a vivere in questa città sempre  più degradata e sporca, per  ascoltarne le voci e gli umori. Per capire. Ho incontrato facce conosciute (poche)  e tante facce sconosciute. Mancavano  visibilmente  le facce della militanza storica di sinistra, forse perchè quella piazza e le modalità di autoconvocazione della manifestazione non rassicurava sulle sue finalità e sui suoi scopi o forse perchè non la si riteneva abbastanza chiaramente di “sinistra” ( anche se non è chiaro cosa questo termine voglia dire oggi, ma che continuerò ad usarlo per comodità di linguaggio).

Una piazza molto simile a quella di tre anni fa a cui i miei ricordi mi riportano.  Mi rivedo allora nella stessa  piazza del Campidoglio di quella domenica dell’11 ottobre 2015 che adesso sembra lontanissimo eppure era appena 3 anni fa. Ricordo quella piazza piena di migliaia di persone che si erano autoconvoacate per sostenere il sindaco  Ignazio Marino, eletto con il 64% dei voti dei romani, costretto prima a  dimettersi  e poi defenestrato e cacciato da una maggioranza di felloni che firmeranno poi la sua decadenza  da un notaio.   Anche in quella occasione la piazza era orfana di tanta parte della sinistra romana che riteneva Marino un sindaco  parvenu non meritevole di sostegno  e verso il quale al massimo si concedeva una benevole neutralità. Quella sinistra fu oggettivamnente complice di Renzi e di Orfini,  che avevano già prenotato un notaio per privare la città del suo sindaco scomodo, e che non se la sentiva di sostenere un Marino qualsiasi senza un profilo chiaro e classico di sinistra come poteva averlo, ad esempio, un Rutelli o un Veltroni ( lo dico con sincera ironia! ).

Non bisognava essere un profeta per immaginare che quell’evento e il suo esito infelice  avrebbe portato un m5S al Campidoglio e che il suo eventuale fallimento ( cosa che si sta verificando)  avrebbe poi aperto le porte e le finestre alla nuova destra che allora immaginavo potesse essere la Meloni e che oggi più realisticamente sarà un salviniano. Ma tant’è..!  Il caso Marino rappresenta ancora oggi il “ rimosso” della sinistra romana che non ha mai fatto i conti con le sue scelte sbagliate nel ventennio trascorso compreso l’acritico appoggio alle illusioni veltroniane e quello nefasto al nuovo tentativo di Rutelli nel 2008 che aprì la strada alla Giunta Alemanno.

Questo raffronto tra le due manifestazioni e il ruolo di grande assente giocato dalle sinistre varie, in cui includo anche i movimenti romani più strutturati e più politicamente orientati, rende plasticamente visibili le ragioni del loro  fallimento: non aver voluto e saputo far tesoro della voglia di partecipazione  e di resistenza di quel che restava e resta del popolo di sinistra e dei cittadini romani che non vogliono  arrendersi al degrado della città e all’assenza di una opposizione civile e democratica. Certo non si poteva pretendere, come fanno alcuni  dal palato fino, da quella piazza un profilo strutturato e una identità   chiara e precisa di sinistra ( ma che vorrà poi dire?) o addirittuta un progetto o un’idea di città, come ho letto in alcuni commenti.

E anche io sono preoccupato delle prospettive: se cade la Raggi ci aspetta  un leghista. Ma questo esito  è stato già scritto nelle scelte e non scelte di tre anni fa insieme a quelle di oggi. L’assenza della sinistra e la sua complicità nella cacciata di  Marino spostò il voto popolare verso i 5S, l’assenza di oggi variamente motivata nella manifestazione contro  la Raggi lo sposterà invece su Salvini. Non si può costruire un’alternativa ai 5S o al leghista di turno disertando le piazze.  E’ solo  dalla  piazza che può nascere e formarsi un fronte di resistenza democratico e popolare.

Si dice :  “ Ma quella piazza era fatta di   “gente  di ceto medio” ( e vi leggo  il disprezzo  implicito in queste parole!), giustamente arrabbiata per l’abbandono della città e l’incapacità di questa giunta. Una piazza che però si limita a chiedere le dimissioni del sindaco  ignorando che, se Raggi dovesse dimettersi, Roma  passerebbe quasi certamente in mano alla Lega”.

Oppure .” Quella piazza era  piena di gente del PD ( cosa non vera: credete davvero possibile che oggi questo PD riesca a mobilitare diecimila persone a Roma?)…Ma una manifestazione del genere non può pensare di mettere insieme tutto e il suo contrario: gli abitanti di via Emanuele Filiberto che non vogliono i cordoli di cemento, con i radicali per il Sì al referendum sull’atac, tutti uniti contro la sindaca. E’ una cosa che non regge e che secondo me non reggerà.. Nessuno vuole un mal governo, ma ci dividiamo sull’idea di buon governo”.

Ancora: “La manifestazione non aveva una linea precisa….Quello di oggi non è un soggetto nuovo, perché manca appunto di soggettività politica (no ai cordoli di cemento non è un programma di governo), non esprime una visione, o meglio esprime un generico buon governo”.  E quando mai – dico io – un movimento o una manifestazione di protesta per essere legittimata deve per forza darsi prima una idea o un progetto di politica e di città? Questo compito spetterebbe  di norma alla politica. In questo caso, per paradosso, proprio ad una inesistente politica e forza di sinistra!

Questo il tenore di alcuni commenti che ho intercettato sulla rete, e il loro refrain  è che chi è sceso in piazza non ha un progetto e un’ idea di governo della città e che la caduta della Giunta Raggi aprirebbe le porte al “diavolo” leghista. L’accusa idiota a chi è sceso in piazza di collusione col nemico ( in tal caso il “fascista” Salvini) non poteva essere più esplicita. In alcuni commenti si nobilita  questa accusa con la lezione togliattiana della  necessità prioritaria di un fronte unitario antifascista, inteso in questo caso in senso antileghista, e quindi della scelta tattica di allearsi con la componente 5S antifascista tipo il Fico o la Raggi che gli “ottusi” movimentisti invece non capirebbero. Questo sarebbe il compito principale della sinistra.. Non invece quello di organizzare e ripondere innanzitutto  ai bisogni e alle esigenze popolari. Sic..!

Ora a Roma  c’è soprattutto una forte tensione per non dire  incazzatura fra la Giunta Raggi e i cittadini. La città è stremata dal non governo: a Roma non funziona più nulla. Una città alla sbando: rifiuti, trasporti, manutenzione urbana, parchi e giardini abbandonati, quartieri popolari dove imperversa il degrado, lo spaccio di droghe e l’insicurezza.   Non ho mai visto in oltre quarant’anni una città così mal ridotta.

Eppure la sindaca Raggi nel rispondere alla manifestazione di protesta accusandola di strumentalismo,  rivendica invece  il profondo cambiamento che sarebbe in atto nella città. Afferma infatti: “Noi abbiamo aperto asili e scuole; abbiamo stanziato 137 milioni per lavori pubblici; abbiamo aperto cantieri ovunque; acquistato 600 autobus nuovi; abbiamo esteso la raccolta differenziata “porta a porta” a 150mila cittadini in meno di otto mesi ; abbiamo aperto piste ciclabili; abbiamo realizzato corsie preferenziali per i mezzi pubblici; abbiamo dato fondi ai Municipi per rifare le strade; abbiamo approvato i bilanci senza fare debiti; abbiamo sgomberato gli scrocconi dalle case di nostra proprietà (vedi Casa Internazionale delle Donne e Centro antiviolenza sulle donne di Tor Bella Monaca); abbiamo sgomberato esponenti del clan Spada dalle case dei cittadini e le abbiamo riassegnate a chi ne aveva diritto; abbiamo promosso il car sharing cittadino..ecc... “. In queste parole manca solo il pudore. Quasi tutte bugie. In compenso nessuna concessione e nessuna autocritica.

Stando così le cose, Salvini ha già vinto. E non sarà l’antifascismo militante a fermarlo. Anzi rischia di rafforzarlo portando la gente e il popolo di Roma a pensare che  un certo antifascismo, spesso di maniera, serva a giustificare le cause del proprio malessere o che comunque non sia di aiuto a risolverle. Contestare Salvini a S. Lorenzo dopo l’omicidio della povera  Desirée non ha fatto altro che il suo gioco: “Salvini si nutre di quel tipo di contestazione e in poche parole trasforma i contestatori nei difensori dei carnefici di Desirée”, ha scritto  Federico Bonadonna. Giudizio che condivido in pieno.

Chiedere oggi le dimissioni della  Raggi è invece un’opportunità e una neccessità politica per legare la critica alla sua Giunta ad un malcontento e ad una rabbia popolare che, se non orientata e rappresentata, si riversa in maniera naturale sulla Lega e su Salvini che è abile ad incalanarla mediaticamente.  Salvini si può fermare solo mettendo in campo mobilitazioni e lotte contro chi malgoverna la città e non legittimando la Raggi nel campo dell’antifascismo-antileghista. Ripeto. Salvini ha già vinto. Possiamo solo fare in modo che perda. Non consentiamo che si candidi come unica alternativa ai 5S nel governo della città”.

Fonte: https://comune-info.net/2018/10/la-citta-stremata-dal-non-governo/

 

8 commenti per “La città stremata dal non governo

  1. ndr60
    8 novembre 2018 at 11:06

    Il Comune di Roma dovrebbe essere commissariato per un minimo di dieci anni per realizzare (con opportuni finanziamenti) ciò di cui parla Marchi. Parte delle risorse economiche potrebbero essere prese dal mancato pagamento IMU del patrimonio immobiliare del Vaticano adibito a usi commerciali. il Commissario straordinario e gli assessori dovrebbero essere rigorosamente non romani né imparentati con cittadini residenti nel Comune (neppure nella regione Lazio, sarebbe meglio) e firmatari di una dichiarazione di insussistenza di conflitti d’interesse, pena l’esclusione (e la denuncia, in caso di dichiarazione mendace) dalla giunta. Tutti provvedimenti semplici, estensibili ad altre realtà cittadine, che pertanto non si faranno MAI.

    • gino
      10 novembre 2018 at 12:31

      negli ultimi 40 anni 2/3 dei sindaci di roma non erano romani, neanche laziali…

  2. gino
    10 novembre 2018 at 12:48

    avendo analizzato gli ultimi bilanci del comune di roma e i preventivi fino al 2020, deduco che probabilmente i nuovi problemi emersi negli ultimi 2 anni siano da ascrivere alla drastica riduzione della spesa per far quadrare i bilanci.
    “perdita” significa DISTRUZIONE di risorse, ovvero bruciare 100 per produrre 90. si può anche fare per qualche anno, a patto che poi si produca 120… ma se si perde per decenni di seguito, e si pretende che gli altri coprano per sempre le perdite, la cosa non mi aggrada.
    e sempre facile dire “l’ente o l’azienda X ha bisogno di ingenti risorse per fare questo e quello” ma spesso non si capisce ste risorse da dove dovrebbero essere prese.
    in genere se faccio sti discorsi a qualcuno di sinistra mi viene risposto “ma allora sei un perfido neoliberista!”… no, è semplicemente realismo economico e onestà.
    anche un ipotetico paese comunista non potrebbe permettersi che la sua economia impieghi 100 per produrre 90, progressivamente tutti diverrebbero più poveri.

    • Fabrizio Marchi
      10 novembre 2018 at 14:27

      Cosa c’entra questo? Il passivo può esserci con il pubblico o con il privato…Non è affatto detto che il pubblico debba essere in passivo o inefficiente per definizione e il privato in attivo ed efficiente sempre per definizione.
      Ora, l’ATAC è nella situazione che è per tante ragioni che sarebbe ora troppo lungo spiegare. Il punto è: si deve privatizzare oppure mantenere pubblico rendendolo efficiente?
      Io sono per la seconda ipotesi, per varie ragioni. La prima è che stiamo parlando del trasporto pubblico di Roma, della Capitale del paese e della più grande metropoli italiana e non, con tutti il rispetto, di una piccola città di provincia. La seconda è perché penso che i trasporti, come la sanità e l’istruzione debbano rimanere pubblici a prescindere. Non ci sono i soldi? Balle, e lo sappiamo benissimo perché, ad esempio, solo di spese militari non so quanti miliardi e miliardi spendiamo ogni anno. per non parlare delle rendite finanziarie; basterebbe tassarle un minimo di più e si avrebbe una montagna di soldi da investire nei servizi sociali (per non parlare dell’evasione fiscale che ogni anno si aggira su livelli spaventosi, per non parlare dei profitti delle mafie ecc. ecc. ). Allora si potrebbero stornare un bel po’ di quei quattrini e investirli anche nel trasporto pubblico. Dopo di che ci sono tanti paesi nordeuropei dove il pubblico (compresi i trasporti) funziona benissimo ed è efficientissimo nonostante siano paesi capitalistici.
      Ciò detto, mi pare che nella furia di voler a tutti i costi criticare e distinguersi dalla sinistra e negli sforzi per voler dimostrare di avere un pensiero autonomo e fuori dal coro, molti finiscono per smarrire la rotta e di fatto aderire ad ipotesi di neo destra o neo liberali. Riflettiamoci…
      Dopo di che vivo a Roma da 60 anni e conosco bene la storia dell’azienda. Decenni di clientelismo sfrenato, di sprechi, corruzione, malgestione, assunzione di impiegati invece che di autisti per ragioni clientelari, dirigenti o pseudo tali strapagati con stipendi e consulenze d’oro. Il tutto, naturalmente, in una città cresciuta in modo selvaggio, senza un piano regolatore, nell’abusivismo, senza una rete metropolitana degna di questo nome (l’unica capitale europea con una rete metropolitana ridicola, tre linee, ce ne vorrebbero altre sette…) e questo proprio perché il privato, cioè la grande industria automobilistica che in questo paese ha fatto il bello e il cattivo tempo, dettando l’agenda dei governi, è stata privilegiata rispetto al trasporto pubblico. E questo ha riguardato anche la città di Roma. Dopo di che hanno accampato la scusa che Roma nel sottosuolo era piena di reperti archeologici e quindi non si poteva procedere con i lavori. Balle, anche queste! I reperti li prendi e li metti in un museo (tanto se sono sottoterra e restano sconosciuti nessuno li può comunque vedere…) e vai avanti con i lavori (la metro a Roma trasporta ogni giorno circa 400.000 persone. Immaginiamo se invece di tre linee ne avessimo una decina, come in qualsiasi altra capitale europea…). Ma, appunto, erano balle, perché la verità è che il trasporto pubblico, su ferro o su gomma, è sempre stato messo in secondo piano, perchè le grandi industrie automobilistiche (Fiat in testa) più tutto l’indotto la facevano da padrone. E se questo paese e questa città in particolare sono ridotti in questo modo è anche e soprattutto per colpa dei privati. Quindi evitiamo anche di fare retorica a parti invertite.

      • gino
        10 novembre 2018 at 23:34

        1) non ho scritto che il pubblico è sempre inefficiente e il privato sempre efficiente
        2) non ho scritto che vorrei privatizzare il servizio pubblico
        3) mi fa piacere che riconosci l’esigenza di efficienza (secondo alcuni a sx già questo è essere “liberisti”)

      • Panda
        10 novembre 2018 at 23:39

        Forse bisognerebbe anche domandarsi che cosa vuol dire “efficiente”. Efficienza è un concetto formale, vuoto. E’ come dire uguaglianza: rispetto a cosa?

        Cito Amartya Sen: “I confronti d’efficienza possono esser fatti sulla base di differenti variabili. Se, per esempio, il vantaggio è definito in termini di utilità individuale, allora la nozione di efficienza si trasforma immediatamente nel concetto di «ottimalità paretana», di largo uso in economia del benessere. Esso richiede una situazione tale per cui non si possa innalzare l’utilità di nessuno senza ridurre l’utilità di qualcun altro. Ma l’efficienza può anche essere definita allo stesso modo nello spazio delle libertà, dei diritti, dei redditi, e così via. Ad esempio, analogamente all’ottimalità paretiana nello spazio delle utilità, l’efficienza in termini di libertà richiederebbe una situazione tale per cui non si possa accrescere la libertà di nessuno senza ridurre la libertà di qualcun altro.”

        Sicuramente l’efficienza è un valore importante, ma solo in relazione ad altri valori. I rapporti economici sono fra le persone nel processo produttivo, non fra le persone e le cose. E meno di tutto, salvo cadere mani e piedi nel feticismo, è una cosa, anziché un’istituzione sociale, il denaro.

        • gino
          11 novembre 2018 at 23:23

          per me è un concetto sociale, ovvero efficienza nel senso di cosa conviene nel lungo periodo a tutti.
          nel caso di atac ad esempio:
          – corruzioni, ruberie e mega infornate di dirigenti e impiegati amministrativi convengono a loro, ma non alla comunità
          – che l’impresa sia da decenni in perdità conviene sempre a loro, ma non alla comunità
          – che il tasso di assenza per malattia sia del 10% conviene a loro ma non alla comunità
          – che il prezzo del biglietto sia 1.50 (troppo basso) conviene sì a tutti ma solo apparentemente e nell’immediato, perchè poi devi estorcere tasse a tutti per coprire le perdite.
          e questo non è feticismo.
          ed è una “cosa” anche il denaro, nel momento che è un “segno” degli oggetti reali che ci puoi comprare.
          cioè se tu scrocchi denaro e ci compri delle cose, tu stai rubando alla comunità che quelle cose le ha fabbricate col duro lavoro.
          aziende in perdita significa che qualcuno sta rubando a qualcun altro beni reali prodotti col lavoro.
          LIBERATEVI delle vecchie parole d’odine, andate alla radice dei concetti reali, se no della realtà se ne appropria il nemico.

          • Panda
            12 novembre 2018 at 14:07

            L’efficienza è un elementare principio di razionalità pratica. Se vuoi riempire una vasca d’acqua ne devi far entrare più di quanta ne fai uscire: siamo un po’ dalle parti di Monsieur de La Palisse. Il problema è che non abbiamo a che fare con “cose”, ma con cose socialmente mediate: confondere questi due profili, cioè naturalizzare, quindi rendere indiscutibili le mediazioni, o magari farne pure parametro di virtù morale (poveri noi…), non è “la realtà”, ma giust’appunto feticismo.

            In effetti cosa “conviene a tutti” dovrebbero deciderlo tutti, perché non tutti hanno gli stessi interessi e bisogni e non si capisce per quale stravagante ragione questi potrebbero esprimersi solo nei limiti dei prezzi di mercato degli input impiegati da un’organizzazione che voglia soddisfarli (ci torno sopra dopo). Che l'”impresa” sia in perdita, per esempio, se lo è per offrire un servizio che il mercato non fornirebbe (a quel prezzo), non è per nulla detto che danneggi “tutti”, anche impiegando il puro criterio utilitarista che usa l’economia mainstream. Perdonami, ma sulle invocazioni di tolleranza zero per i possibili ladri di microbi, quali sarebbero gli ipotetici falsi malati ATAC, sorvolo. Le tasse, teoricamente, dovrebbero essere progressive, quindi, di nuovo, a chi conviene cosa non è per niente ovvio e lineare.

            Un segno non è solo una cosa, gino, perché presuppone un codice, e quindi una società che l’ha istituito e che dev’essere analizzata per capirne il funzionamento. Per esempio, la teoria quantitativa della moneta è falsa e una sua versione tipo gioco a somma zero, direi un espediente per moralizzare il pareggio di bilancio (in effetti ci mancava), è surreale. Dopo che la BCE ha buttato nel QE 2.500 miliardi di euro (questi gli ultimi dati: https://www.ecb.europa.eu/mopo/implement/omt/html/index.en.html), che avrebbe sottratto al duro lavoro di chi?, che le cose non funzionino come le favolette morali, questa grande innovazione del pensiero con cui raccontare l’economia, credo che pure l’uomo della strada cominci a sospettarlo.

            Un’azienda pubblica in perdita semplicemente non sta fornendo un servizio rispettando la razionalità capitalista, che – notizia scioccante – non è l’unica possibile, nel calcolo di entrate e uscite. E questo che dramma dovrebbe essere, scusa? I prezzi di mercato rappresentano un risultato Pareto-efficiente solo se sono il frutto di un equilibrio di concorrenza perfetta, ma voglio sperare che almeno a questa favoletta non ci crediamo. Come se non bastasse i costi presuppongono una struttura dei prezzi che presuppone una certa distribuzione – sto continuando a ragionare come gli economisti ortodossi, eh, così non mi accusi di veteromarxismo -. Ovvero, redistribuisci radicalmente, lascia operare la concorrenza perfetta, avrai un nuovo equilibrio con una struttura dei prezzi del tutto diversa ma sempre impeccabilmente efficiente. Sostituire la contabilità alla politica io continuo a chiamarlo feticismo; tu vedi un po’.

            Concludo con due citazioni: “Bisogna portare nel nostro spirito un senso di severità assoluta. Bisogna considerare che il denaro dell’erario è sacro sopra ogni altra cosa. Esso non piove dal cielo e non può essere nemmeno fatto col giro del torchio che, se potessi, io vorrei spezzare. E tratto dal sudore e, si può dire, dal sangue del popolo italiano, che lavora oggi, che lavorerà di più domani. Ogni lira, ogni soldo, ogni centesimo di questo denaro deve essere considerato sacro e non deve essere speso se non quando ragioni di stretta e documentata necessità lo impongano.”

            Questo è Benito Mussolini.

            “Ma ciò concorre a individuare un terzo nodo: l’esistenza, cioè, di un ampio comparto pubblico dell’economia, sul quale ha sempre gravato l’equivoco di un comportamento che si è ritenuto dovesse essere “imitativo”, anziché alternativo, rispetto a quello del sistema imprenditoriale privato.”

            Questo è Federico Caffè.

            Io direi che “sacre” sono le persone e i loro bisogni, come minimo la loro dignità: il resto venga aggiustato di conseguenza; tu mi pare abbia invece le idee un po’ confuse su cosa è vecchio e cosa nuovo e su chi è il nemico.

            (Mi scuso per la lunghezza)

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