La democrazia al tempo dei nuovi oligarchi

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

 

Parla come mangi, di quello che pensi. Resistere, organizzarsi, ribellarsi.

Sulla democrazia, la piccola borghesia italiana nel cui cuore sono solo bruchi e fascismo, la tecnocrazia e tutti quelli che rimpiangono un duce che pensi al posto loro – che, si badi bene, sono categoria molto più ampia e trasversale dei nostalgici del ventennio – e infine sul decreto Lorenzin e il progetto di legge Fiano.

Negli ultimi anni il filologo e storico Luciano Canfora ha scritto numerosi libri riflettendo sul rapporto tra democrazia e oligarchia, analizzando la questione alle origini della storia della democrazia stessa, evidenziando implicitamente come i problemi della democrazia siano sempre rimasti i medesimi e suggerendo anche che la riflessione sull’antica democrazia ateniese ci potrebbe aiutare a capire meglio vari problemi odierni perché il dibattito non era avvelenato da tutte le incrostazioni ideologiche successive con le quali ci misuriamo oggi ma andava direttamente al cuore del problema.

Uno dei falsi miti che Canfora ha smontato è quello del Socrate buono, martire del libero pensiero, ucciso dai bigotti e dai conformisti che non accettavano il pensiero critico.

Socrate venne condannato a bere la cicuta in un processo ipocrita, perché non si volle formulare troppo apertamente l’accusa che era di natura politica ma niente affatto infondata ricorrendo invece a prestesti.

Socrate era infatti stato la levatrice ideologica del traditore della democrazia ateniese Alcibiade, era stato il maestro e l’ideologo dietro Crizia, capo degli oligarchi e dei trenta tiranni e del di lui nipote Platone, il quale sistematizzò l’idea che nasceva con Socrate per cui il governo non dovesse essere del popolo e le regole non si dovessero basare su un processo decisionale ampio e fondato sul consenso, bensì ristretto e costruito sulla saggezza di chi sa, come corpo isolato ed elevato rispetto al popolo.

Il governo dei saggi, che in ragione della propria autoproclamata saggezza – elitaria per definizione – avevano il sacrosanto diritto anche di essere dispotici.

Il governo dei saggi, che guarda il caso si restringeva sempre al governo di chi ha tempi e mezzi per vivere nel culto del bello e dello studio, perché è ricco e non ha bisogno di lavorare facendo lavorare gli altri al posto proprio.

Nella transizione di potere dalla democrazia ai 5000 prima teorizzati da Teramene, che poi in realtà non furono mai più di 3000, per poi restringersi ulteriormente a 400 e culminare nei 30 raccolti intorno a Crizia, si inscriveva la storia di un immane massacro.

Non solo la guerra persa contro Sparta e il disfacimento dell’impero marittimo ateniese ma anche gli assassini politici, la repressione violenta degli oppositori al governo dei saggi, il popolo minuto, il popolo dei lavoratori e delle lavoratrici, dei poveri e sdentati, di quelli che non avevano studiato musica e filosofia ma una saggezza l’avevano lo stesso: la saggezza di chi testimonia la durezza del vivere coi calli sulle mani.

Nel nome del governo dei saggi e per fare in modo che i saggi, cioè i ricchi possidenti e gli oligarchi, non potessero più essere giudicati dal popolo nel tribunale democratico per le proprie malversazioni, a migliaia vennero sterminati finendo per dimezzare la popolazione della città.

Perché il governo dei saggi non è una cosa giusta?

Perché in una democrazia, fondata su condivisione e consenso, tutte le persone che pagheranno il prezzo delle scelte compiute devono essere compartecipi della determinazione dei fini della politica che la società nel proprio insieme sceglie di darsi.

Perché sono quei fini che descrivono la società nella quale, prese la decisioni, tutti si vive.

Questo non è un rifiuto aprioristico del coinvolgimento nelle istituzioni e nelle scelte di chi abbia consapevolezze approfondite, infatti è normale che per raggiungere quei fini democraticamente definiti occorra padroneggiare degli strumenti complessi e che questa padronanza non sia alla portata di chiunque, ma tecnica e scienza devono essere a disposizione e agli ordini delle finalità sulle quali tutti devono poter decidere e mai il contrario.

Se si esclude dalla determinazione dei fini chiunque non abbia la padronanza dei mezzi che cosa accadrà?

Che il potere di coloro i quali padroneggiano gli strumenti dirà che i fini giusti da perseguire sono solo ed esclusivamente quelli che vanno a vantaggio della ristretta categoria di chi maneggia gli strumenti, cioè i saggi governeranno fatalmente CONTRO la maggioranza, CONTRO il popolo.

Per aver dato paternità e legittimità politica a questa idea Socrate morì.

L’errore fu pretendere di processarlo per ateismo; sempre discutibile ma certamente più onorevole sarebbe stato assumersi la responsabilità politica di condannarlo in quanto padre spirituale e politico di Crizia e quindi costante minaccia dell’ordinamento democratico.

La motivazione sarebbe stata ampiamente sufficiente dato nei canali di scolo della città ancora scorreva, più dell’acqua, il sangue del popolo che gli oligarchi avevano fatto versare.

Questa è in ogni caso la vera motivazione retorica della famosa sentenza della cicuta che pochi ricordano.

Questa idea tecnocratica ammantata dalla scusa della saggezza non è mai morta.

Sopravvive tutt’oggi.

A Bruxelles per esempio: parliamo dei cosiddetti tecnocrati o eurocrati, non eletti da nessuno, non rappresentativi di alcun popolo, non rispondenti ad alcuna opinione pubblica, cosa di cui loro stessi si vantano.

Essi “sanno”.

Per questo decidono, al riparo dal processo elettorale democratico e dalla necessità di dover raccogliere consenso intorno ad un progetto per trasformarlo in azione di governo.

Beh, di certo non si può dire che a loro modo non siano effettivamente preparati.

Tutti quanti hanno compiuto studi avanzati in prestigiosissimi istituti internazionali.

Ma come già ad Atene, se poni i saggi a governare, i saggi si faranno i cazzi propri che fatalmente coincidono coi cazzi dei ricchi e degli oligarchi.

In effetti se aprite un qualsiasi libro di storia e leggete qualcosa di serio sulla crisi del ’29, vedrete che è comunemente accettata l’interpretazione che ne diede Keynes che era coevo alla vicenda e che ha descritto in seguito Galbraight.

Tra le cause di quella grave crisi vi erano una cattiva distribuzione del reddito, troppo polarizzato, quindi diseguaglianze e sperequazioni, una cattiva gestione del sistema bancario lasciato troppo libero di organizzarsi secondo piacimento dei propri principali operatori e un errore marchiano di scienza economica, il perseguimento ossessivo del pareggio di bilancio e quindi l’assenza di intervento statale considerato un fattore penalizzante per l’economia.

I tecnocrati di oggi, dall’alto dei loro prestigiosi studi, che cosa stanno facendo se non ripetere errori già noti da 90 anni?

E perché lo fanno?

Perché non lo sanno?

Certo che no, conoscono benissimo il senso e gli effetti dei propri gesti; lo fanno perché alla classe dei saggi, cioè dei ricchi, conviene compiere quelle scelte perché fino a quando essi sono al potere ne massimizzano i guadagni e soprattutto l’autoreferenzialità nell’esercizio del potere stesso.

Essere al potere vuol dire che i costi delle scelte compiute li pagherà sempre qualcun altro.

It’s class struggle baby, nothing more, nothing less.

La democrazia non conviene ai saggi, cioè ai ricchi.

La democrazia non è ancora il socialismo realizzato ma ne è la premessa essendo già essa questione di classe; costringendo saggi, ricchi e padroni, come minimo a scendere a patti sul proprio interesse poiché sono costretti a ricercare un consenso che esorbita dalle dimensioni numerica della loro ristretta classe sociale.

Questi principi, di democrazia radicale, di condivisione, di antifascismo, che sono il sale del populismo del nostro collettivo, trovano in questi giorni numerose concrete applicazioni apparentemente scomode ma che noi vogliamo assumerci la responsabilità di affermare apertamente, perché altrimenti che populisti saremmo?

a)

Il progetto di legge Fiano ci sta in culo e non lo vogliamo.

Pensiamo che qualsiasi soggetto politico decente dovrebbe avere il coraggio di dirlo.

Fare i democratici e gli antifascisti è molto facile quando hai il vento in poppa e le decisioni prese ti convengono ma il democratico vero si vede quando piove merda.

Quando tocca assumersi la responsabilità di una decisione scomoda che non ti conviene, quando la merda in faccia te la prendi tutta ma scegli di farlo perché tenere il punto sul principio è più importante.

Posto che per tutelare la Repubblica dal pericolo di una ricostituzione dei partito fascista esistono già tutte le leggi necessarie ( XII disposizione finale della Costituzione, Legge Scelba del 1952, Legge Mancino, in realtà già anche troppo ampliabile ed interpretabile ) e che non avremmo nulla in contrario ad una applicazione delle leggi esistenti per sciogliere partiti come Casapound, riteniamo inaccettabile che un ordinamento democratico si dia una legge che pretenda di portare alla sbarra degli imputati le idee, anche le più abiette, e processarle.

Se l’ordinamento penale non si limita più a ricostruire fatti e attribuire responsabilità in base ai fatti ma processa idee con gli inevitabili margini di interpretazione e quindi condanna anche aspirazioni ed intenzioni non solo fatti reali, questo in realtà è già fascismo.

Siccome crediamo che la saldezza della democrazia vada difesa senza se e senza ma, noi affermiamo che in democrazia non si adottano leggi fasciste per liquidare gli avversari politici, quand’anche questi fossero fascisti.

Meglio un fascista libero di parlare o vendere paccottiglia che il PdL fiano nel codice penale.

Con un simile provvedimento ci appare evidente il fatto che il potere costituito, di fronte alla propria crisi di legittimità e rappresentatività, non stia facendo altro che premunirsi dotandosi di strumenti penali che gli permettano la repressione di qualsiasi dissenso.

Agli antifascisti mal informati, molto simbolici e di poca sostanza, che guardano più alle forme esteriori che ai contenuti e soprattutto subiscono il ricatto morale e scomunicativo delle sinistre-paccottiglie che pensano di praticare antifascismo dotando lo stato di una legislazione fascistoide, ricordiamo che già il governo Adenauer in Germania procedette nello stesso modo nel 1951 ed il risultato non fu soltanto la messa al bando del piccolo partito – effettivamente neonazista – SRP ma soprattutto nel 1956 la messa al bando del Partito Comunista Tedesco, KPD, il quale da solo si era opposto al nazismo in forma organizzata versando uno spaventoso tributo di sangue.

Per mettere al bando il partitello dei neonazisti, il potere fu felicissimo di poter mettere al bando anche il partito dei comunisti che al nazismo si era opposto, con uno strascico di 250.000 procedimenti penali e 15.000 sentenze di condanna.

Il punto è sempre lo stesso: se si permette a uno stato di dotarsi di leggi contro l’espressione di opinioni poco importa quanto si circoscriva inizialmente il provvedimento: fatalmente si uscirà dalla democrazia finendo per assistere alla messa al bando di qualsiasi tipo di alterità politica antisistemica.

In democrazia le idee abiette si combattono e sconfiggono con metodi democratici e rispetto alla ricostituzione di un partito fascista già siamo sufficientemente protetti.

b)

Il nostro collettivo ha deciso che siccome siamo populisti, vogliamo stare dalla parte del popolo che ha riempito la piazza di Pesaro per protestare contro la legge mostro del ministro Lorenzin.

Al nostro interno abbiamo discusso e ci siamo confrontati democraticamente: abbiamo deciso che non ci importa la posizione che ciascuno di noi ha sulla questione dei vaccini, chi contrario, chi favorevole, chi dubbioso, chi quello che vuole.

Abbiamo piuttosto deciso che la questione rilevante sul piano politico è l’insopportabile paternalismo autoritario con la quale questo provvedimento è stato imposto; un paternalismo autoritario certamente fascistoide.

Anche in questo caso riteniamo che per essere decenti si debba avere il coraggio di dirlo.

Non ci interessa se qualcuno, individualmente, possa credere anche agli UFO o all’uomo falena o alle teorie del complotto.

Ciò che ci interessa affermare è un principio non negoziabile secondo la nostra idea di democrazia: le scelte pubbliche devono sempre fondarsi sulla rappresentatività di chi prende le decisioni, sulla trasparenza delle informazioni fornite all’opinione pubblica, sulla disponibilità delle istituzioni a rispondere ai dubbi e le questioni che possono sorgere, sulla condivisione dei principi.

In questo caso chi ha preso le decisioni è moralmente e politicamente del tutto delegittimato. La trasparenza delle informazioni fornite è stata a dir poco risibile e contraddittoria.

La disponibilità a discutere i contenuti semplicemente non c’è stata e la condivisione delle scelte è stata sbandierata dal governo come cedimento di fronte al complottismo, cioè una volgare reductio ad Hitlerum di una questione ben più seria di cui in realtà il governo è il primo colpevole: la gente non si fida delle scelte prese dalle istituzioni perché esse sono delegittimate dai propri stessi comportamenti. Rispondere sempre e soltanto adottando la postura del Marchese del Grillo, alla “io so’ io e voi non siete un cazzo” ovviamente non può che aumentare la sfiducia.

La rivendicazione più forte di quella piazza era affermare ai potenti che non possono trattare il popolo come una mandria di buoi con l’anello al naso; i governanti devono giustificare le proprie scelte per costruire una condivisione, non ergersi sul pulpito dei saggi e rivendicare il potere dei tecnocrati.

Tale principio è sacrosanto e noi lo adottiamo, anche a costo di generalizzarlo fino al punto di dire che è meglio sbagliare col popolo che avere ragione leccando il culo ai potenti, ai Baroni e a tutta quella manica di stronzi che si sente troppo in alto per doversi spiegare e per essere così umile e democratica da confrontarsi con la necessità di costruire un consenso.

Senza consenso, in democrazia, non si prendono neanche le decisioni giuste perché è già la mancanza di aver costruito un qualsivoglia consenso a renderle sbagliate.

A priori!

Sia infine detto – per inciso – che noi siamo populisti ma non siamo ignoranti e se la giustificazione morale e politica di dover procedere con mezzi autoritari è sventolare emergenze senza avere spiegato cosa determinerebbe l’emergenza, perché “noi siamo quelli che sappiamo” e “la scienza non è democratica” quindi “voi plebei dovete soltanto obbedire, eseguire e tacere”, la nostra ovvia conclusione è che abbiamo davanti soltanto cialtroni che sparano cazzate.

Le ragioni di una campagna sanitaria potrebbero anche esistere, ma come fai a credere a un ministro che si giustifica prima vaneggiando di tetano che si attaccherebbe da bambino a bambino ( lo sanno anche i sassi che il tetano non si trasmette così, ma quella fa il ministro ), poi di immigrati infetti a milioni che porterebbero le malattie ( non era del PD? Questa sparata sembrava degna di Forza Nuova ), che mette dirigenti della Glaxo ai vertici organizzativi della sanità pubblica, che smantella il servizio pubblico fondato su un rapporto stabile e duraturo col proprio medico di famiglia anche per rispondere ai dubbi dei cittadini, promuovere e diffondere un approccio seriamente scientifico, ma che a fronte dello scetticismo di vari medici invece di discutere pubblicamente impone una gestione paramilitarizzata dell’ordine medico?

In tale contesto non vi è nulla di complottistico nel non fidarsi, nel sospettare che i medici vengano costretti a seguire protocolli le cui procedure rispondano più a interessi politici che ad evidenze scientifiche.

Questi irresponsabili stanno minando qualsiasi possibile fiducia nelle istituzioni per poi bollare con epiteti infamanti chi non voglia fidarsi.

Su chi poi sostenga che la scienza non sarebbe democratica riteniamo non ci sia bisogno di prenderlo a schiaffi coi libri di Lakatos, Kuhn, Russell o Feyerabend sui problemi epistemologici per capire quale ne sia l’orizzonte ideologico sotteso: l’aspirazione del governo dei “saggi” perché il popolo è ignorante e bue, l’abitudine baronale di avere intorno solo leccaculi che più la spari grossa e più ti leccano, l’aspirazione alla tecnocrazia, di cui già Crizia 2500 anni fa e Bruxelles oggi.

Noi con costoro non staremo mai.

Noi siamo nel popolo, abbiamo ogni giorno i normali problemi del popolo, e stiamo col popolo: la facciamo li dentro la battaglia politica per capire quale cosa sia più giusta sostenere, partendo dal principio indiscutibile che nessuno ha diritto di trattare il popolo come una mandria di buoi con l’anello al naso.

Se si sbaglia pazienza, meglio sbagliare democraticamente che inchinarsi davanti a chi ragiona come se l’epistemologia non esistesse solo perché ammetterne l’esistenza significherebbe ammettere che il proprio pulpito non è il pulpito di Dio, il che è modo di porsi che dimostra solo sete di potere e disprezzo per la democrazia.

Il fatto che molte persone si appiattiscano su questa concezione autoritaria, o per una malintesa interpretazione di cosa sia la differenza tra autorevolezza e autoritarismo, o perché confondono tra scientia cioè padronanza di un sapere tecnico e specifico e sapientia ovvero saggezza e capacità di cogliere relazioni tra diversi problemi e inventarne di nuove, manifesta l’aspirazione a diventare tecnocrate se espressa da chi sta in alto oppure la pigrizia mentale e l’appiattimento sull’idea di dover essere guidati se espressa da chi sta in basso.

Questo è un problema fondamentale della democrazia che innerva la mentalità meschina della piccola borghesia italiana cui il fascismo diede la divisa di orbace e insieme l’illusione di essere, attraverso quella divisa, un qualche stocazzo tanto più importante delle meschinità ignobile, servile e conformista che erano e che sono sempre stati. Si tratta di un atteggiamento autoritario o inemendabilmente subalterno di chi non solo fu il trave portante del fascismo, ma ha continuato a ragionare in termini fascisti, perché continua ad aspettare sempre un qualche duce che pensi al posto suo.

c)

Per tutti questi motivi il nostro collettivo decide che riteniamo essere l’antifascismo un valore troppo importante e troppo attuale sia per non difenderlo dai fascisti, sia per lasciarlo difendere da quella “sinistra” e da tanti antifascisti da operetta, pronti ad essere anche fascistoidi nella sostanza pur di apparire antifascisti solo esteriormente.

Hanno distrutto troppe cose preziose e non gli lasceremo distruggere anche questo.

Nel nome dell’antifascismo oggi non si combatte appiattendosi dietro nuove legislazioni inutili, autoritarie e fascistoidi altrimenti il piddì e i sinistrati ti scomunicano; nel nome dell’antifascismo si combatte contrastando quella società nella quale sul posto di lavoro, come ad alcuni di noi è più volte capitato, il capetto di turno di intima di non rispondergli aggiungendo che questo paese va a rotoli perché i poracci osano rispondere ai padroni.

Hanno reintrodotto la schiavitù e fatto rialzare la cresta al fascismo creando enormi sacche di emarginazione sociale e poi fottendosene di come si viva li in mezzo.

Da questi pezzi di merda servi del capitale la lezione di antifascismo non la prendiamo, rifiutiamo tutte le loro leggi autoritarie e diciamo che l’antifascismo oggi è combattere contro i padroni, contro i baroni,  contro i tecnocrati per la giustizia sociale e tutto il resto è solo sterile folklore.

Per tutti questi motivi affermiamo che noi non vogliamo e non vorremo mai “guidare il popolo”.

Noi siamo dentro il popolo.

Solo costruire insieme a tutti gli altri le condizioni perché il popolo si incazzi per davvero ci interessa.

Chi crede di avere il ricettario di tutte le risposte giuste e preconfezionate è solo un apprendista stregone o un tecnocrate che non ce l’ha fatta.
Il Collettivo Populista UPUC Collettivo populista

1 commento per “La democrazia al tempo dei nuovi oligarchi

  1. Carlo
    19 Luglio 2017 at 18:13

    Povero Socrate, antesignano di un governo liberticida di presunti saggi, in realtà lui si limitò a smascherare le nefandezze di una democrazia basata sulla prevalenza della scuola dei sofisti, per cui bastava pagare qualcuno bravo a parlare per far passare leggi e iniziative anche del tutto antidemocratiche, in maniera perfettamente democratica. Lui voleva piuttosto una polis in cui ciascuno sapesse svolgere il suo ruolo, e fosse moralmente idoneo e competente per questo scopo, se ha avuto cattivi allievi che lo hanno preso per un sofista come altri, non è certo colpa sua. Lo stesso Platone tanto vituperato, e da Popper in poi, reso padre di tutti i totalitarismi, in realtà, non voleva altro che una comunità in cui i filosofi, per governare non solo usassero la saggezza, ma non percepissero alcun privilegio e soprattutto alcun guadagno. Cosa un po’ diversa dai tecnocrati di oggi esperti in arricchimento rapido e indifferenti ad ogni conflitto di interessi.. Forse sarebbe il caso di evitare certe mistificazioni storiche, limitandosi alla critica del contingente con le categorie di pensiero che gli sono proprie e con il linguaggio consono, ma per questo, evidentemente, ognuno fa quel che è capace..che può..

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