Perché la funzione ancestrale dei poli genitoriali fa così paura?

Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

 

Si è scatenata una tempesta di insulti e critiche su Carlo Ciccioli (FdI Marche), il quale ha affermato che: “Il padre deve dare le regole e la madre deve accudire, senza una di queste figure i bambini possono zoppicare andando avanti nella vita. Queste cose si studiano in psicoanalisi”.
Proprio così, peccato che la quasi totalità degli psicologi abbia abdicato alla propria missione e al benessere della specie umana per abbracciare un’ideologia di tolleranza che in realtà esprime una reazione distruttivo-compensativa della funzione del Padre e della Madre. Al di la delle posizioni politiche o ideologiche, mi sta a cuore rilevare cosa accade nella dinamica profonda di questi conflitti.
Per un grottesco paradosso occorre oggi autorizzare le donne a sentirsi fiere di essere e rappresentare il valore dell’accoglienza e dell’accudimento che tutti noi apprendiamo nel grembo e nella nostra prima casa: la mamma.
Il ruolo materno di ventre totale, di unione piena che ogni essere umano apprende, e quello del padre, di introdurre l’altro da se e fissare limiti tra i campi vitali e affettivi, sono fondamentali nella formazione dell’identità del bambino. La madre certo, non è solo “accudire”, come il padre non è solo “dare regole”. Queste funzioni non sono assolute e continue nelle contingenze quotidiane delle famiglie, ma restano assolute come modelli, in quanto memorie ancestrali della nostra specie.
Si tratta di poli atavici che niente hanno a che fare con la politica. Piuttosto condividono codici legati all’etologia, alla biologia e alla psiche profonda.

La politica ha compreso la forza primordiale e inconscia di questi poli e li strumentalizza in modo da trascinare consensi.

Alessia Morani, (Pd ) ha commentato così le parole di Ciccioli: “La destra che si è affermata nelle ultime elezioni regionali sta portando avanti scelte che evocano il ventennio fascista” e ha aggiunto che la sua è “una concezione della donna e delle famiglie medievale”. Tuttavia rispondiamo che il ruolo archetipico, bio-energetico della madre (come del padre) non è medievale, non è antico e non è nuovo. E soprattutto non è fascista.

Piuttosto è molto di più di queste classificazioni storico-culturali, che inoltre, utilizzate solo come discredito e disancorate dalla Storia, sono indice di una scarsa conoscenza di essa.

Le strampalate accuse di fascismo o di essere medievali rivolte a coloro che esaltano la funzione materna e paterna hanno due funzioni: in primo luogo colpevolizzare coloro che sono in contatto con l’autenticità ontologica e psichica della funzione materna e paterna, con l’accusa di discriminare.
In secondo luogo fomentare coloro che le hanno interiorizzate in maniera sofferta o non sono più capaci di riconoscerle.

Ripetiamolo, la madre accudisce e nutre, e il padre getta le basi della relazione non simbiotica tra madre e figlio. La Madre dona la vita nell’unione, il Padre dona la vita nella differenziazione. Entrambe le funzioni permettono la crescita di un individuo autonomo quale il Figlio. La funzione paterna fa sì che il bambino possa costruire la propria identità, evitando che essa resti “fagocitata” in quella materna. La madre incarna l’esperienza dell’unione, il padre quella della separazione, entrambe ugualmente indispensabili alla realizzazione della personalità matura di ciascuno.

Dunque dentro e fuori, femmina e maschio, tu ed io. Queste differenziazioni psichiche e poi sociali sono inoltre le fondamenta della strutturazione del se e così dell’autostima. Le figure materna e paterna non sono costrutti sociali, che relegano la donna o l’uomo a compiti rigidamente distribuiti, piuttosto sono campi di riferimento, insostituibili per la crescita di adulti capaci di riconoscere l’altro, rispettarlo nella sua individualità e amarlo. Nulla hanno a che vedere con la narrazione per cui la donna sarebbe “costretta al focolare” e l’uomo “impegnato nella carriera”, scelte e condizioni queste, che rimangono trasversali.
Coloro che affermano di voler emancipare la donna mirano in realtà a mortificarla, sfruttando proprio il messaggio secondo il quale essa nel suo ruolo materno verrebbe svilita. La donna nella funzione materna è meravigliosamente potente e immensamente tenera insieme. Questi movimenti e ideologie incarnano il desiderio probabilmente inconscio di avvilire ciò che i loro fautori non riescono in se stessi, dolorosamente, a rintracciare.

 

https://www.repubblica.it/politica/2021/02/24/news/carlo_ciccioli_fdi_marche_famiglia_padre_madre-288997825/ il link al pezzo de la Repubblica con le dichiarazioni di coloro che vengono citati nell’articolo

Nessuna descrizione disponibile.

6 commenti per “Perché la funzione ancestrale dei poli genitoriali fa così paura?

  1. Rino DV
    25 Febbraio 2021 at 22:24

    Bene. Contenuti e forma ineccepibili.
    .
    Viviamo in una stagione in cui è necessario ricordare che 3+3 dà 6 e nel farlo si corrono dei pericoli.
    La censura, se va bene, la liquidazione etico-politica se va male.
    Ma tra poco potrebbe anche andare peggio.

  2. Giulio larosa
    26 Febbraio 2021 at 21:36

    Complimenti non pensavo che a rei mai letto un articolo del genere. Grazie

  3. Engy
    3 Marzo 2021 at 9:56

    Molto interessante, pensato in proprio, fuori dal coro, dunque merce rara, indipendentemente dai punti di vista.
    Anch’io non avrei mai pensato/sperato di leggere un contenuto di questo tipo.
    Complimenti.

  4. Giulia
    3 Marzo 2021 at 15:16

    Ringrazio i lettori per averl letto e apprezzato l’articolo, ringrazio anche L’Interferenza sempre preziosa, brillante e coraggiosa nei suoi contenuti. Mi farebbe piacere stringere amicizia con voi. Giulia Bertotto

  5. Eros Barone
    5 Marzo 2021 at 21:34

    Concordo con l’autrice di questo articolo nel ritenere importante il problema della paternità e, più in generale, della funzione genitoriale nell’attuale società. Circa le implicazioni socio-politiche della problematica relativa alla figura del padre nel peculiare contesto italiano sono inoltre straordinariamente pregnanti e meritano di essere ricordate le osservazioni svolte da un poeta, Umberto Saba, in un libro intitolato “Scorciatoie e raccontini”. Che Asor Rosa abbia scelto proprio questa citazione quale epigrafe del suo saggio su “Scrittori e popolo”, in cui ha indagato la genesi e le manifestazioni del populismo nella letteratura italiana, è una conferma ulteriore delle molteplici interrelazioni che collegano la storia, la politica, la letteratura e l’antropologia del nostro paese.
    “Vi siete mai chiesti perché l’Italia non ha avuto, in tutta la sua storia – da Roma ad oggi – una sola vera rivoluzione? La risposta – chiave che apre molte porte – è forse la storia d’Italia in poche righe. Gli italiani non sono parricidi; sono fratricidi. Romolo e Remo, Ferruccio e Maramaldo, Mussolini e i socialisti, Badoglio e Graziani…Gli italiani sono l’unico popolo (credo) che abbiano, alla base della loro storia (o della loro leggenda), un fratricidio. Ed è solo col parricidio (uccisione del vecchio) che si inizia una rivoluzione. Gli italiani vogliono darsi al padre, ed avere da lui, in cambio, il permesso di uccidere gli altri fratelli.” D’altro canto, riguardo al rapporto tra desiderio e paternità così come si configura oggi, va segnalata una carenza (o forse una reticenza) che permane, malgrado il riconoscimento del carattere poliedrico di tale rapporto, nell’analisi svolta da psicoanalisti, filosofi e sociologi: si tratta di due facce, a mio giudizio essenziali, del poliedro. Il punto più spinoso è capire quali siano le collusioni consce e inconsce delle donne madri nel favorire, ostacolare, deformare e talora snaturare la rete delle funzioni genitoriali congiunte. Questo è un punto centrale. Il problema non è la mancanza di padri reali. Il problema è la mancanza dell’introiezione di una funzione materna, che possa poi aiutare un maschio a diventare padre a sua volta: di una funzione adulta. E questo ha a che fare con la modificazione dei meccanismi di difesa che, di generazione in generazione, sembrano andare nella direzione della regressione. Perché è meno faticoso. La scelta regressiva o l’attestarsi in uno stato d’indifferenziazione è spesso un modo per ovviare alle fatiche della crescita e del superamento del crocevia edipico. Anziché avanzare, si resta o si torna indietro verso l’indifferenziazione. Salvo poi lamentarsi.
    Orbene, un punto che non può essere ignorato, poiché si trova, ad un tempo, a monte e a valle del problema della paternità, è quello costituito dall’abnorme e crescente femminilizzazione del corpo docente nelle istituzioni scolastiche. Si tratta, per i suoi riflessi antropologici, educativi, civili e sociali, di un discorso sgradevole ma importante, così come sono sgradevoli ma importanti tutte le verità che si conoscono ma che, per una serie di motivi, o non vengono formulate o vengono sottaciute. Il corpo docente è ormai un corpo femminile. Alle elementari solo maestre, alle medie pochi professori, alle superiori una maggioranza di professoresse. La femminilizzazione della scuola è una valanga inarrestabile in tutti i paesi avanzati, in Italia più che altrove, quantunque, a causa dell’insipienza dei ceti di governo, ciò sia ben lungi dal costituire un problema. In effetti, l’‘arrière-pensée’ di tali ceti è che una massa di donne sia meno sindacalizzata e meno forte di una massa di maschi. Il fenomeno è ovviamente determinato, in una società dove contano solo il denaro e l’immagine, dallo scarso ‘appeal’ della posizione e del ruolo sociale del docente, strettamente connessi al livello della retribuzione economica. Questo fattore determina, fra l’altro, l’organica debolezza degli insegnanti come ceto sociale e i drastici limiti entro cui essi sono in grado di far sentire il proprio peso dal punto di vista contrattuale. A questo proposito, ricordo bene come i congressi sindacali di qualche tempo fa, cui ebbi occasione di partecipare, avessero offerto una plastica rappresentazione, con la loro necessaria prevalenza maschile, del grado di proletarizzazione che ha raggiunto la categoria dei lavoratori della scuola. Una proletarizzazione di questa categoria che è inscindibilmente intrecciata alla femminilizzazione, la quale ne è, ad un tempo, causa ed effetto. In un periodo storico dominato da quella che i sociologi definiscono ‘aura nera’ (ossia dalla prevalenza del ‘principio femminile’), la crisi della scuola è perciò anche il riflesso della crisi storica del ‘principio maschile’ e della ‘società senza padri’ (e senza educatori) che tale crisi ha partorito.

  6. Giulia Bertotto
    5 Marzo 2021 at 22:22

    Ringrazio il professor Eros Barone per aver letto e apprezzato il mio articolo pubblicato su L’interferenza. Come evidenziato chiaramente da lei ritengo anche io che il passaggio edipico sia una fatica inevitabile e uno sforzo non aggirabile per diventare uomini e donne consapevoli e fieri della propria identità e così padri e madri capaci di accogliere e di educare. Qualsiasi conquista necessita di un “patire” non delegabile. Non si può eludere il parricidio, altrimenti si tramuta in fratricidio, trovo questa riflessione illuminante.

    Grazie anche per gli spunti preziosi che sicuramente andrò ad approfondire. Resto disponibile per altri scambi e comunicazioni.
    Giulia Bertotto

Rispondi a Giulia Bertotto Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dichiaro di essere al corrente che i commenti agli articoli della testata devono rispettare il principio di continenza verbale, ovvero l'assenza di espressioni offensive o lesive dell'altrui dignità, e di assumermi la piena responsabilità di ciò che scrivo.