Supermercati

Riceviamo e volentieri pubblichiamo un passo tratto da un romanzo inedito di Antonio Martone: “Tre donne e una storia soltanto”.

“I supermercati mi fanno sempre lo stesso effetto: il rumorino delle macchine contabili, la tuta da lavoro delle commesse, i nastri trasportatori su cui scivolavano i prodotti mi provocano una sorta di vertigine. Davanti alle casse bisogna sempre impegnarsi in una performance considerevole. È necessario prendere i prodotti dal proprio carrello, distenderli sul nastro trasportatore, aspettare che la commessa passi il codice a barra sotto il rilevatore del prezzo e li restituisca dall’altra parte dove bisogna essere pronti a raccoglierli e metterli nelle buste. È quasi una prestazione agonistica! Non si può perdere tempo, poiché altrimenti si incorre nello sguardo torvo e seccato della commessa, soltanto a stento celato da labbra che – per ingannare l’attesa prima che arrivi il prossimo cliente che intanto incombe minaccioso – vanno a mangiarsi l’unghia grossolanamente laccata la sera precedente. Mi sono sempre chiesto dove sia il punto segreto di conciliazione fra questa velocizzazione estrema dei gesti quotidiani e l’immobilismo, apatico e conformistico, che trapela dai visi della gran parte delle donne e degli uomini che mi circondano. È un bel problema! La merce poi è ben impacchettata, colorata ed affascinante – tutta riportante foto di donne e di uomini felici. Ma non si può non notare il contrasto fra le immagini sorridenti sulle foto – di modelle o di personaggi dello spettacolo – e i visi di quella gente che si affatica a riempire le proprie auto. Uomini e donne perlopiù sovrappeso che trasportano cassette di birra e di bibite gassate, visi sfatti e grezzi che si affannano a scegliere il formaggio più adatto e che, nel dubbio, li compra tutti. Ho un’intuizione: mi viene in mente che la velocità del posto si concilia benissimo con l’apatia di quei volti. Hanno tutti fretta di tornare a casa, questo è evidente: in un ambiente domestico, potranno finalmente godere della possibilità del consumo – decisamente l’ultimo paradiso della storia dell’uomo. Il primo però che si può effettivamente toccare. Il primo che non si fa aspettare. Soltanto fra le proprie mura ci si concede quei godimenti che altrove sono impossibili – indispensabili per rendere ancora sopportabile l’esistenza. Fuori c’è la velocità estrema, ma in casa regna il tempo sempre uguale del bisogno soddisfatto e del godimento estatico – fisso come le stelle in cielo e immobile come la morte. I miei contemporanei, a quanto pare, non vogliono altro che tirarsi fuori da quell’inferno di macchine e di indifferenza; finalmente lontani dal tintinnio delle casse, ultimo comun denominatore fra gli uomini, estrema colonna sonora del legame comunitario. Non ambiscono ad altro che ad aprire una buona bottiglia e fare sesso sul divano, magari guardando un film porno o davanti ad un web cam con i figli dai nonni o scaraventati davanti ad una play station del cazzo. E poi vogliono mangiare – mangiare ed ingrassare. E produrre spazzatura: l’Occidente ormai costituisce un immenso apparato di produzione di pattume. Coloro che ancora non ne fanno parte, inoltre, non vogliono altro che entrarci ma la demarcazione fra inclusi ed esclusi è netta e ineludibile. Non ci sono più classi dominanti e dominate ma soltanto gruppi che difendono il loro benessere da coloro che ne sono sprovvisti. Fioriscono così ghetti per ricchi, impegnati costantemente a rigettare fuori i poveri. Grandi magazzini protetti come fortezze, strade private inavvicinabili non soltanto da possibili aggressori ma anche da semplici curiosi, telecamere ad ogni angolo, sofisticatissimi sistemi di sicurezza, codici d’accesso e polizie private costruiscono ormai mura tanto inespugnabili quanto esposte a rischi di implosione autoimmunitaria. La nostra storia continuerà così. Non ho dubbi. Anzi, si stringerà sempre di più la porta che separa il nostro dentro dal nostro fuori. Fino a quando – e alcuni segni mi fanno immaginare che il futuro si stia già concretizzando –, il fuori inesorabilmente si vendicherà: invaderà le strade di disperati impazziti e non sarà possibile frenarli, né ucciderli tutti; i cadaveri infetti verranno scagliati, come gli appestati di una volta, oltre le mura protettive. E nessuno potrà più farci niente. Le città verranno inondate di aria e di acqua inquinata, di prodotti tossici sui quali le immagini di belle modelle segnerà la triste ironia del tempo della fine – alla ricerca di una rigenerazione ormai impossibile”.

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2 commenti per “Supermercati

  1. alfio
    18 febbraio 2017 at 0:17

    e’ la stessa sensazione che provo ogni volta che mi concedo una passeggiata in bicicletta
    sulle rive del tevere prima di inoltrarmi nella pista ciclabile che da lungotevere Michelangelo
    arriva fino al torrino. macchine che sfrecciano ad una velocita’ irreale , senza una vera fretta
    ma probabilmente solo per abitudine, guidatori presi da chissa’ quali impegni .
    provo una forte sensazione di irrealta forse nella speranza che uno spettacolo cosi triste
    e umanamente indecente scompaia come un’ illusione di cui si’ e’ scoperta la natura o il
    gioco. forse sono nostalgico o forse comincio solo ad avere una certa eta’ ma faccio sempre più
    fatica ad adattarmi ad una realta’ cosi’ caotica , cosi’ confusa piena di gente triste che non sa
    sorridere la cui vita non ha una direzione , forse proprio per questo sono tutti o quasi cosi concitati cosi nervosi. l’unica cosa che noi resistenti umani possiamo fare e’ cercare di crearci un
    piccolo spazio personale fatto di cultura e di conoscenza ma anche di condivisione , di comunita’
    amicale , uno spazio di senso che ci aiuti a vivere bene , consapevolmente in attesa di tempi
    migliori vicini o lontani non ha importanza. magari solo per testimoniare che si puo’ vivere diversamrnte , di vivere una vita nei limiti del possibile AUTENTICA.

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