Narrazione, femminismo e classe


Un uomo, che si chiamava Alessandro Venier, viene barbaramente assassinato da due donne, la madre e la compagna, il suo corpo fatto a pezzi per cercare di occultare il reato, e intorno alla vicenda viene costruito un inquietante clima mediatico giustificazionista: l’uomo era un disoccupato nullafacente… forse anche violento… le due donne hanno agito per esasperazione.

Esasperazione? Lo hanno macellato.

Anche le voci di protesta contro la rappresentazione mediatica, doppiopesista a dir poco, di questa barbarie appaiono molto flebili. A parti invertite, se cioè gli assassini fossero stati due uomini, il padre e il compagno, e la poveretta una donna, invece che un poveretto, come minimo si sarebbe scatenato un climax mediatico ascendente che avrebbe condotto direttamente al 25 novembre, senza soluzione di continuità.

Nel frattempo, è stato da poco istituito il mostro giuridico, palesemente incostituzionale, che prevede l’ergastolo per il reato di “femminicidio”. Ci vuole davvero molto a capire che il femminismo è diventato, e le “pari opportunità” sono sempre state, gli strumenti di una guerra orizzontale tra i subalterni, perfettamente funzionale agli sviluppi del capitalismo liberista?

Di uomini (maschi) che, per convinzione, per quieto vivere o per opportunismo, si allineano a questa ideologia dominante ululando alla luna del patriarcato è pieno il mondo. Proprio al contrario di quanto comunemente si suggerisce, penso che contro questa imbarazzante e disumanizzante monnezza ideologica si dovrebbero semmai levare molte più voci femminili.

Se cercate il nemico guardate in alto, non di lato a voi, dove si vuole che guardiate. Altrimenti si fa soltanto il gioco degli oppressori, che sono anche loro sia uomini che donne. Proprio come gli oppressi.

Alessandro Venier (Immagine da Google)


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dichiaro di essere al corrente che i commenti agli articoli della testata devono rispettare il principio di continenza verbale, ovvero l'assenza di espressioni offensive o lesive dell'altrui dignità, e di assumermi la piena responsabilità di ciò che scrivo.