Non si può non restare
stupiti dal grande balzo cinese. La Cina negli ultimi decenni ha risolto il
problema della povertà e dei bisogni primari; la popolazione cinese è costituita da una folta classe media che ha
conquistato un notevole potere d’acquisto; gli industriali e i capitalisti sono
ormai parte dell’architrave sociale e sono capaci di investimenti in settori
energetici e tecnologici d’avanguardia. La Cina ha abbandonato i piani
quinquennali e, oggi, il partito comunista usa con duttilità e flessibilità gli
appetiti degli oligarchi e della classe media per aumentare il PIL nazionale
ormai eguale a quello statunitense. Forse porre il dibattito sulla Cina ponendo
il quesito se la Cina sia uno stato comunista o capitalista potrebbe essere
ingannevole. Il problema, a mio avviso – non sono certo un esperto – è la
qualità del comunismo cinese e la sua progettualità nel tempo. Si dovrebbe
valutare il comunismo cinese in modo oggettivo, e intendo per oggettività il
comparare il modello cinese al modello marxiano che pur fra contraddizioni e
evoluzioni è comunque distante anni luce dal comunismo cinese. Forse tra il
comunismo cinese e il modello marxiano e marxista vi è stato e vi è solo una
analogia linguistica, in quanto pratiche e contenuti orientano il comunismo
cinese verso il capitale e non altro.
Il giudizio che da
occidentali diamo al comunismo cinese può essere fuorviato dal fatto che,
caduta l’Unione Sovietica, la Cina ci sembra un faro nelle tenebre del
capitalismo. Essa ci dà l’impressione che il comunismo ha un presente e un
futuro e ciò è sicuramente vero. La Cina con il suo comunismo orientale ha
dovuto risolvere il problema della miseria, ha portato a termine con successo
tale obiettivo, eppure, ora, resta una nazione distante dal comunismo marxiano,
sempre più distante aggiungerei, poiché per Marx il comunismo è libertà ed estinzione dello
Stato; è libertà di essere se stessi all’interno di relazioni solidali. Marx fu
critico delle strutture economiche che producevano alienazione.
Nell’attuale Cina la
sorveglianza della parola e il controllo sociale sono sempre più stringenti e dal
riconoscimento facciale alla cittadinanza per punti si constata l’affermarsi
del capitalismo-comunismo della sorveglianza. Si sperimenta a carico dei
cittadini la potenza tecnologica curvata ai fini economici e di controllo. A Xiongan si sperimenta la rete 10G e i proprietari sono costretti a
risiedervi, poiché la smart city si stava spopolando. Controlli asfissianti e timore
per gli effetti sanitari hanno indotto in molti a lasciare la città. Si
potrebbe continuare nell’elenco delle contraddizioni del comunismo cinese che
continua ad essere segnato dalla burocrazia tecnocratica più che rossa. Inoltre
dove le differenze di classe diventano notevoli regna, è inutile farci
illusioni, la logica padronale. Chi ha denaro a palate può comprarsi tutto e
può dominare su chi invece sbarca il lunario e vive la vita ordinaria nelle
fabbriche cinesi. Il problema più rilevante, a mio avviso, è il vuoto teoretico
sostituito da una progettualità economica che ha ormai perso di vista il fine
ultimo per abbracciare la sola logica del PIL anche se declinata sicuramente in
modo diverso rispetto al nostro decadente capitalismo sanguinario.
Il comunismo cinese rischia, in modo
differente, di avvilupparsi su se stesso come fu per l’Unione Sovietica.
Quest’ultima persa ogni idealità e progettualità e si limitò, specialmente con Leoníd
Il’íč Bréžnev, all’amministrazione burocratica; la Cina rischia di diventare
potenza globale con l’unico obiettivo di accrescere il PIL e pertanto ha rinunciato ai processi ideali senza i
quali nessun comunismo può vivere e sopravvivere. I cinesi ormai guardano ad
occidente, imitano il modello crematistico, l’idealità comunista è stata prosciugata
dagli affari.
Mi chiedo, è solo un
dubbio, se l’esaltazione della Cina, a volte acritica, non celi la nostra
disperazione dinanzi ad un capitalismo che produce armi e guerre e non è
contenuto all’interno della nostra realtà da nessun movimento popolare, partito
o progettualità sistematica capace di contenerlo. Ricostruire un modello di
comunismo libertario è sempre possibile, e a questo scopo la Cina non ci è
utile, poiché il capitale è infiltrante, esso penetra nella politica, la
corrompe e l’aliena dai suoi fini onto-assiologici per farne mercato e imperio.
Capitalismo e comunismo sono inconciliabili; il capitale nella sua logica
nichilistica è capace di bucare anche le leggi più ferree e i divieti più
severi, ma esso, soprattutto, penetra nella psiche e inietta la tossina dell’individualismo
proprietario con il mito dell’abbondanza e dell’eccesso. Ho l’impressione che
il popolo cinese lentamente stia perdendo la cultura della comunità per il
narcisismo proprietario. Usare il capitalismo per produrre ricchezza può essere
vantaggioso nell’immediato, ma un popolo che ha ormai acquisito una forma mentis capitalistica potrà mai
essere comunista? Non vi è il pericolo che la “tigre di carta”, come ebbe a
definire simbolicamente Mao il capitalismo statunitense, si sia insinuato in
Cina in modo polimorfico con la cultura del capitale divenendo davvero tigre
d’acciaio? Le domande potrebbero essere tante e
le risposte difficili, ma
andrebbero poste per non cadere in una trappola interpretativa.
L’unico dato certo è
che la Cina è una potenza mondiale nella quale il comunismo non sembra essere
all’ordine del giorno, anzi pare essere per i cinesi solo una immensa
scenografia di cartone che contiene il Celeste impero e lo protegge dalle forze interne che vi si
oppongono. Guardando al presente non dovremmo dimenticare le parole di Mao:
“Quando definiamo l’imperialismo americano una tigre di
carta parliamo in termini strategici. Da un punto di vista complessivo dobbiamo
disprezzarlo, ma in ogni situazione specifica dobbiamo prenderlo sul serio. È
dotato di artigli e di zanne. Per venirne a capo bisogna strappargliele una
alla volta. Mettiamo che abbia dieci zanne: la prima volta gliene strappiamo
una, gliene restano nove; la seconda volta un’altra e gliene restano otto.
Quando gli abbiamo strappato tutte le zanne, gli restano gli artigli. Se
procediamo gradualmente e coscienziosamente, alla fine ci riusciremo. Sul piano
strategico bisogna assolutamente disprezzare l’imperialismo. Sul piano tattico
bisogna prenderlo sul serio. Combattendo contro di esso bisogna prendere sul
serio ogni battaglia, ogni aspetto specifico. Adesso gli Stati Uniti sono molto
forti, ma se li consideriamo in un ambito più vasto nell’insieme della
situazione e in una prospettiva di lungo periodo, essi sono impopolari, la loro
politica non piace perché opprimono e sfruttano i popoli. Per questo la tigre è
destinata a morire. Quindi non è terribile, la si può disprezzare. (…) Noi ci
troviamo nelle stesse condizioni dei nostri amici dell’America Latina,
dell’Asia e dell’Africa dato che facciamo lo stesso lavoro: operare
nell’interesse del popolo per ridurre l’oppressione dell’imperialismo. Se
lavoriamo bene, questa oppressione può essere radicalmente eliminata. In questo
siamo compagni. Nella lotta contro l’oppressione imperialista, tra noi e voi
c’è un’identità sostanziale, le differenze riguardano l’area geografica, la
nazionalità e la lingua. Con l’imperialismo abbiamo invece una differenza di
carattere sostanziale, la sola vista dell’imperialismo ci fa star male. A che
serve l’imperialismo? Il popolo cinese non lo vuole e nemmeno i popoli di tutto
il mondo. L’imperialismo non ha alcun motivo di esistere[1].”
Ogni imperialismo è un male, anche il capitalismo cinese,
sicuramente differente dall’imperialismo degli Stati Uniti, non può portare
buoni frutti a lungo andare; nessun imperialismo si ritira spontaneamente dai
paesi alleati che ricevono benefici. Il caso italiano è emblematico. Ancora una
volta la volontà di verità e la volontà di sapere possono condurci verso
elaborazioni critiche capaci di elaborare la via italiana ed europea al
comunismo.
[1]Brani tratti da Mao Zedong, L’imperialismo americano è una tigre di carta, 14 luglio 1956. Sta in Mao Zedong, Rivoluzione e costruzione, pp.. 412-16, Einaudi editore)
The vibrant red field and yellow stars of the Flag of the People’s Republic of China flying in the breeze beside the futuristic glass and steel towers of Pudong’s soaring skyscrapers, Shanghai, China. ProPhoto RGB profile for maximum color fidelity and gamut.
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