Siamo ad un bivio nella storia dell’umanità:
è in atto una mutazione antropologica. L’essere umano è creatura progettante,
storicamente teleologica, la cui vita, che è segnata dal passaggio dalla potenza (dynamis) all’atto (enérgheia ed entelécheia), oggi è minacciata dall’inautenticità afasica. Ogni
esistenza autentica si intreccia alla comunità, luogo in cui aristotelicamente “l’albero
diviene fiorito”. L’umanità è condizione
ontologicamente processuale, si diventa umani, se la comunità tutta, accoglie
la vita, partecipando alla sua libera realizzazione. Il bene del singolo è
dunque speculare al bene della comunità. Sono due volti della stessa medaglia,
olisticamente l’uno speculare all’altro. Il bene è nella comunità solidale che
attualizza l’indole di ogni singolo. Il bene è il riconoscersi nell’umanità
dell’altro nella differenza. Ciascuno è
portatore di un talento irripetibile, anche semplice, ma prezioso per egli
stesso e per la comunità vivente. La vita è differenza nell’unità, e la
comunità è l’epifenomeno e fondamento di tale condizione ontologica. Tale
dimensione, sempre ideale ed in itinere, necessita del pensiero, della vita
attiva e del tempo del pensiero. La
società dello spettacolo esalta ciò che divora: l’individuo. Nella cultura
greca l’essere umano è indicato con la parola psichè, in quanto la persona è
soggetto relazionale. Solo il capitalismo ha trasformato il soggetto in
“individuo” corrispondente alla parola “atomo”, ovvero il soggetto astratto
dalle relazioni. L’individuo proprietario è detentore di diritti sociali, ma
non conosce se stesso, per cui facilmente il sistema lo divora e lo riduce a
mezzo da usare. Dove regna l’individuo, non vi è il bene, ma solo la
reificazione e la lotta. Tutto è inautentico.
L’autenticità dell’esistenza ha una
precondizione imprescindibile, la possibilità di sottrarsi ai cicli della
produzione, i quali sono il mezzo e non il fine, per poter porre strutture di
pensiero autonome attraverso le quali definire il progetto vitale personale e
comunitario. “Conosci te stesso” è stato
sostituito dall’”adeguati al mondo fino ad integrarti con esso in modo totale”.
Non vi sono così’ domande, non vi sono conflitto generatori del “nuovo”, ma solo l’esercizio
al “larvatus prodeo” (avanzo
mascherato). Il detto iscritto sul tempio di Delfi, “Conosci te stesso”, indicava agli uomini la
ricerca di sé attraverso la consapevolezza del limite, oggi all’atomo umano si
suggerisce di adattarsi e integrarsi nel mondo, solo così sarà “vincente e
solo”.
Pensiero ed umanità
La concentrazione sottrae gli esseri umani agli stimoli, per riportarli
a vivere la pienezza del tempo del pensiero. La cultura e la filosofia sono
attività di rappresentazione e di riflessione sui dati che il soggetto ha
acquisito con la percezione. Senza tale capacità l’essere umano è deumanizzato
e deverbalizzato. La parola è l’essere del concetto. Senza la parola-logos non
vi è progettualità politica ed individuale. La contemporaneità invece ci mette
dinanzi ad una mutazione inquietante: la concentrazione è ritenuta un
limite, si idolatra l’uomo del fare fine a se stesso, il quale si
lascia attraversare dagli stimoli senza mediarli con la ragione critica. Regna
il dicitur di uomini e donne anonime.
L’automa è tra di noi, come automi si risponde agli stimoli e ai comandi, ma
diversamente da essi non si contengono informazioni. L’essere umano si avvia al
tramonto dinanzi all’automa. Risuonano da ogni parte politica l’appello
all’uomo del fare, mai del pensare. Si ha paura del pensiero, lo si ostracizza,
per cui le riforme si abbattono sulla formazione curvandola al solo fare
automatico. Risuonano nella mistificazione della neolingua gli inni al concreto
inteso in senso poietico. Tale mutazione antropologica si esplica nella logica
dell’azienda estesa ad ogni settore: dalla scuola alla sanità. La comunità stessa
ha come obiettivo la parità di bilancio, non l’accoglienza degli esseri umani,
i quali fungono da mezzo per la parità di bilancio. In tale contesto di
attivismo vitalistico e nichilistico, l’essere umano deve rinunciare alla rappresentazione
mediata della dialettica, per essere corpo meccanico in attività perenne.
Ortega Y Gasset: lo zoo
Ortega Y Gasset, ha ben colto e profetizzato
la mutazione in atto. Il filosofo
spagnolo riporta l’esempio della scimmia. Guarda in uno zoo le scimmie, esse
sono in perenne tensione per ogni stimolo, vivono in un fuori perenne, pronte a
cogliere ogni messaggio, sono contenitrici passive: tra lo stimolo e la
risposta è assente la mediazione del pensiero. La loro vita si esplica in un
perenne atto meccanico, che non lascia loro tregua, sempre in difesa o in
attacco a seconda dello stimolo. Ad Ortega Y Gasset sembra che l’umanità sotto
l’effetto del fare, della stimolazione tecnica, stia regredendo, poiché sta
rinunciando a ciò che la distingue dalle scimmie, a ciò che con fatica ha
acquisito durante l’evoluzione biologica: la concentrazione. Le scimmie vivono
in uno stato di continua alterazione; l’umanità all’epoca del Prometeo
scatenato e del turbocapitalismo sta diventando sempre più simile alle scimmie.
La comunità intera invita, incita, spinge ad un’esistenza che si consuma in un
“fuori anonimo”. La comunità che non è più tale, è un immenso potentato
economico, in cui l’essenziale è sostenere il ciclo della produzione come
produttore e consumatore. Questa nuova
forma di totalitarismo non riconosciuto, sta delineando un nuovo essere umano:
la scimmia tecnologica, in perenne attività oculo-manuale. La scimmia
tecnologica ora utilizza l’IA che la usa e la depreda. Nel perenne
smanettare l’essere umano vive in un
altrove senza direzione e senso, è agito, è oggetto della rete tecnica. La
malinconia depressiva è la normalità del soggetto abusato, in quanto è negato
della sua natura relazionale. Tutto è silenzio nel nichilismo che avanza nello
scintillare abbagliante delle tecnologie manovrate dai “padroni”. Si guardino le
nostre strade, ovunque giovani e non, anche in uno spazio pubblico, si
esibiscono nell’uso delle tecnologie. Non si guarda e non si fa attenzione allo
sguardo dell’altro, alla povertà materiale ed alle miserie morali che sono sempre
più palesi. Si vede senza guardare, l’attenzione percettiva è orientata sugli automatismi,
e pertanto la verità si ritira dall’orizzonte cognitivo. Passeggiare è sempre
stato il momento meditativo con se stessi e con gli altri, si pensi alla Scuola
peripatetica, ora invece, mentre si passeggia, il mondo scompare, al suo posto
vi è lo schermo del desktop. Il
potere si consolida e diviene totalitario, poiché il suddito è scisso da sé e
dalle relazioni. La riflessione è inibita in modo pianificato, si osservino i
giardini pubblici di nuova edificazione, gli spazi per il verde sono limitati a
funzione ornamentale, prevalgono gli spazi per il fitness.
L’attenzione è nella risposta immediata allo
stimolo, in tal modo il logos è
sostituito dall’automatismo. Naturalmente il “γνῶθισαυτόν” (Conosci te stesso) è
il vero nemico assoluto del turbocapitalismo, pertanto esso spinge verso la
“scimmia”. L’animale è consegnato alla
servitù delle cose, mentre l’essere umano tramite la concentrazione, sospende
la signoria delle cose per pensarsi e pensarle; è questa la sfida antropologica
del nostro presente e che segnerà il futuro di tutti, dobbiamo scegliere se
essere “umani o nuove scimmie”. È il bivio tremendo del nostro tempo:
“L’uomo si trova, non meno dell’animale, consegnato al mondo, alle cose intorno, alla circostanza. All’inizio la sua esistenza differisce appena da quella zoologica: anchelui vive governato da ciò che lo circonda, inserito fra le cose del mondo come una di esse.
Senza dubbio non appena gli esseri intorno gli lasciano un po’ di respiro, l’uomo,
facendouno sforzo gigantesco, ottiene un attimo di concentrazione, si mette dentro se stesso, vale a dire mantiene a fatica la sua attenzione fissa sulle idee che spuntano dentro di lui, idee che le cose hanno suscitato e che si riferiscono al loro comportamento, a ciò che
poi il filosofo chiama “la sostanza
delle cose”. Si tratta intanto di
una idea molto grossolana sul mondo, che però permette di abbozzare un primo piano di difesa, una condotta prestabilita. Ma né le cose intorno gli consentono di rimanere a lungo in questo stato di concentrazione, né, anche se quelle lo consentissero, sarebbe capace quest’uomo
primitivo di prolungare più di alcuni
secondi o minuti quella torsione speculativa, questa attenzione fissa sugli impalpabili fantasmi che sono le idee. Questa attenzione verso l’interiorità, che è l’ensimismamiento, è il fatto piùantinaturale ed extrabiologico. L’uomo ha tardato millenni e millenni nell’educare un po’,niente più che un po’‐ la sua capacità di concentrazione. Quello che gli riesce naturale è sviarsi, sviarsi verso ciò che è l’esterno, come la scimmia nella selva e nella gabbia dello zoo. Il Padre Chevesta, esploratore e missionario, che è stato il primoetnografo specializzato nello studio dei pigmei, probabilmente la varietà di uomini ‐ come si sa ‐ più antica che si conosca e che è andato a cercare nelle selve tropicali più nascoste, il Padre Chevesta, che ignora completamente la dottrina da me ora esposta e si limita a descrivere ciò che vede, dice nella sua ultima opera del 1932, riguardo ai nani del Congo:
«Manca loro totalmente la facoltà di
concentrarsi. Sono sempre assorbiti dalle impressioni esteriori, il cui continuo cambiamento, impedisce di raccogliersi in se stessi, che è la condizione inevitabile per ogni apprendistato. Metterli a sedere al banco di una
scuola, sarebbe per questi ometti un
tormento insopportabile, perciò il lavoro del missionario e del maestro si fa particolarmente complicato» [Bambutti, die Zwerge des Congo]. Però, sebbene instintivo e rozzo questo primitivo atto di concentrazione va a separare radicalmente la vita umana dalla vita animale, perché ora l’uomo, questo uomo primigenio, va ad immergersi di nuovo nelle cose del mondo contrastandole senza consegnarsi a loro completamente. Ha un piano contro di loro, un progetto di relazione con loro, di manipolazione delle loro forme, che produce una minima trasformazione intorno a lui, quanto basta perchè lo opprimano un po’ meno e di conseguenza, gli permettano più frequenti e profondi aumenti di concentrazione… e così via. Sono dunque tre momenti differenti che ciclicamente si ripetono nel corso della storia umana in forme ogni volta più complesse e l’uomo con uno sforzo energico si ritira nella sua
intimità, per formarsi idee riguardo
le cose e il loro possibile dominio; è la concentrazione, la vita contemplativa, di cui parlavano i romani, il theoretikós bíos dei greci; la theoría; 3°, l’uomo torna ad immergersi nel mondo, per agire in esso secondo un piano prestabilito; è l’azione, la vita activa, la praxis[1].”
Un mondo di scimmie
Un mondo di “scimmie”
perennemente in attività, estranee all’attività del pensiero è un mondo senza
politica e senza speranza, solo attività senza concentrazione. La società della
sorveglianza con i suoi inesauribili meccanismi di condizionamento e con le scienze
fedeli al sistema, dalla neuroeconomia alle neuroscienze, cela il sogno
distopico: eliminare dalla storia la variabile incontrollabile della coscienza,
addomesticarla per renderla organica al sogno di una società umana sempre più
simile ad un mondo di insetti
gerarchizzato per funzioni. La morte di
dio, metaforicamente della verità, comporta il facile trionfo delle scimmie,
poiché se non vi è verità, regnano i mezzi che vampirizzano l’essere umano. La
sorveglianza digitale isola, atomizza, ed impedisce il pensiero, in quanto
l’esperienza della solitudine, del ritirarsi dal chiasso del mondo per
concettualizzare l’esperienza è ostacolata dalla maligna pervasività mediatica:
Le attività mentali e, come si vedrà in seguito, in primo luogo il
pensare – il dialogo senza voce dell’Io con se stesso – possono essere
comprese come l’attuazione di quella dualità o scissione originaria tra me e me
stesso che è inerente alla coscienza[2]”.
La coscienza pone la storia,
la devia, la rende imprevedibile, e pertanto inquieta il totalitarismo del
nuovo capitalismo che racchiude nel suo grembo la perversa religione del
controllo. Sull’altare del capitalismo quotidianamente si perpetuano olocausti
di individui e popoli, ma l’abitudine introiettata all’attivismo senza pensiero
consente il vuoto emotivo e concettuale nel quale il male può radicarsi con
l’indifferenza. Solo mutando gli esseri
umani in scimmie tecnologiche, il nuovo capitalismo può aspirare a realizzare
il “suo sogno”, pertanto più fortemente bisogna opporre alla barbarie
tecnologica che avanza la trasgressione della coscienza e del concetto. La
resistenza civile contro il disumano che avanza è l’imperativo a cui non ci si
può sottrarre. Siamo ad un bivio, come detto, se rinunciamo alla prassi, saranno
le multinazionali a divorarci e a trasformarci in automi di carne incapaci di
orientarsi nel mondo e di porre fini umanizzanti. Restare umani e riaffermare
l’umanità di ciascuno, questa è la rivoluzione e la resistenza che ci attende
per non regredire all’ibrido scimmia-automa. La resistenza sarà globale, ancora
una volta chi decide di non scendere è parte del dramma storico del nostro
tempo.
[1]Ortega
Y Gasset, Ensimismamiento y alteración, Obras completas, Alianza, Madrid 1987traduzione
di Alessandra Costa
[2]HannahArendt, La vita della mente, Il Mulino Bologna 200,9 pag. 157