Il
conflitto lungo il fiume Ussuri nel 1969, meglio conosciuto in Cina come scontri
di Zhenbao/Damanskij, è uno degli episodi più significativi e meno
conosciuti della Guerra fredda. Non si trattò soltanto di una disputa di
confine, ma di una crisi che mise a confronto due potenze nucleari comuniste,
con il rischio concreto di una guerra su vasta scala, stranamente in occidente
poco valutata. Gli eventi del marzo-settembre 1969 segnarono un punto di svolta
nella storia della RPC, accelerando il suo distacco dall’URSS e preparando il
terreno al successivo riavvicinamento con gli Stati Uniti.
Il
confine sino-russo affonda le sue radici nei trattati del XIX secolo. Con il
trattato di Aigun (1858) e quello di Pechino (1860), la Russia zarista aveva
ottenuto vasti territori lungo l’Amur e l’Ussuri, imponendoli alla Cina
indebolita dalle guerre dell’oppio. Bloccando allo stesso tempo le ambizioni
cinesi sulla Siberia. Gli accordi sulla sovranità di queste isole fluviali
presenti in questi due fiumi rimasero ambigue. Mosca sosteneva che
appartenevano alla sponda russa del fiume, Pechino riteneva invece che
spettassero al paese situato lungo la linea mediana del corso navigabile, che
era la Cina.
Dopo
la Rivoluzione bolscevica, il commissario Karakhan nel 1919, annunciò la
rinuncia unilaterale alle conquiste zariste, ma tale promessa fu presto
ritirata dopo la morte di Lenin. Negli anni Trenta e Quaranta l’URSS consolidò
la sua presenza in Estremo Oriente, mentre la Cina affrontava guerra civile e
invasione giapponese, terminata dopo la fine della Seconda guerra mondiale.
Dopo la vittoria della rivoluzione comunista e la proclamazione, da parte di Mao
della Repubblica popolare cinese, la Cina si aspettava la riconsegna delle
isole fluviali contese. Ma malgrado l’alleanza con l’URSS molto stretta, come prevedeva il “Trattato di
amicizia, alleanza e mutua assistenza” del 1950, le isole non furono
restituite. Presto sorsero divergenze ideologiche e geopolitiche tra i due
stati socialisti, Pechino contestava il paternalismo sovietico e la sua
politica di coesistenza pacifica con l’Occidente. Il 15 gennaio 1955, il
Segretariato del Comitato Centrale del PCC, la leadership cinese, decise di
sviluppare e creare da sola le proprie armi nucleari, visto che l’URSS aveva
ritirato i propri tecnici. Il 16 ottobre 1964, nel poligono nucleare di Lop
Nor, nella regione dello Xinjiang la Cina divenne una potenza nucleare.
Nel
frattempo, i rapporti sino-sovietici si deteriorano ulteriormente. Il XX
Congresso del PCUS (1956) e la destalinizzazione furono interpretati da Mao
come un tradimento del marxismo-leninismo. Negli anni Sessanta la polemica
ideologica degenerò: Pechino accusava Mosca di “revisionismo”, Mosca bollava la
Cina come avventurista.
L’URSS
rafforzò la sua presenza militare in Estremo Oriente, nel 1969 vi erano circa
600.000 soldati sovietici. Segno che qualcosa Mosca se l’aspettava. Specie dopo
che la conclusione della Rivoluzione culturale,
iniziata dal 1966, aveva creato instabilità interna. Il governo cinese
enfatizzò il nazionalismo e la resistenza al “social-imperialismo” sovietico.
Gli scontri di frontiera offriranno a Mao l’occasione di rafforzare la coesione
nazionale.
Gli
scontri iniziarono il 2 marzo 1969, quando un’imboscata cinese colse di
sorpresa una pattuglia sovietica sull’isola Damanskij/Zhenbao, da cui in Cina
prenderà il nome questo scontro. I sovietici subirono 32 morti e numerosi
feriti; testimonianze russe parlano di uccisioni deliberate di soldati sovietici,
già feriti. Le perdite cinesi sono incerte, ad oggi gli archivi cinesi sono
chiusi agli studiosi, fonti russe parlano di 20-40 caduti, altre arrivano a
cifre molto superiori, con molta probabilità esagerate. Il 15 marzo i russi,
concentrate grosse forze di artiglieria pesante e usando lanciarazzi Grad, come
prevedeva la dottrina militare sovietica, inflissero gravi perdite ai
cinesi (centinaia di morti secondo fonti russe). Questo episodio segnò l’apice dell’uso
della forza. Successivamente scontri minori avvennero anche lungo il fiume Argun,
che segnava il confine tra la Siberia russa e quel poco in mano cinese. Altri
scontri si ebbero nelle montagne del Tien Shan. Tra marzo e settembre 1969 si
verificarono numerosi scontri a fuoco, con un bilancio di vittime ancora
incerto, ma sostanzialmente favorevole ai russi. Ciononostante Pechino
continuava a gettare sempre più forze in combattimento. A questo punto a Mosca
si valutò seriamente un attacco preventivo contro i siti nucleari cinesi (Lop
Nor). Documenti occidentali confermano che l’URSS sondò governi terzi per
testare la loro reazione a un eventuale strike. Ecco alcuni
riferimenti oggi disponibili per gli studiosi:
Il
Secondo Segretario dell’Ambasciata sovietica a Washington, Boris N. Davydov,
domandò direttamente a un funzionario del Dipartimento di Stato quale sarebbe
stata la reazione americana nel caso di un attacco sovietico contro le
installazioni nucleari cinesi. Il documento declassificato (National Security
Archive) riporta che Davydov chiese ‘senza giri di parole’ quale fosse la
posizione degli Stati Uniti di fronte a un’azione del genere.
Henry
Kissinger informò il Presidente Nixon che ‘nelle ultime settimane i sovietici avevano
sondato numerosi contatti americani circa la nostra risposta verso un possibile
attacco aereo contro le installazioni nucleari/missilistiche cinesi, includendo
anche riferimenti all’uso di armi nucleari’. Il memorandum menziona sondaggi
avvenuti a Roma, Boston e in altre capitali, segnalando un tentativo sovietico
di ottenere un assenso implicito o almeno una reazione prevedibile dagli Stati
Uniti.
Un
rapporto del Segretario di Stato William Rogers specifica che il 18 agosto 1969
Boris Davydov aveva sollevato la questione con un funzionario americano,
chiedendo esplicitamente cosa avrebbero fatto gli Stati Uniti se l’URSS avesse
attaccato e distrutto le installazioni nucleari cinesi. Rogers segnalava
inoltre altri approcci sovietici in Europa e in Asia.
I
cinesi dovettero aver avuto sentore di questi approcci sovietici in occidente e
presero delle contromisure. Mao e Lin Biao evacuarono Pechino; il 18 ottobre
1969, senza avvertire la popolazione civile per evitare il panico nella popolazione
civile, la Cina mise in stato di allerta le sue rudimentali forze nucleari, per
la prima e unica volta nella storia della RPC. La crisi
dimostrò come incomprensioni culturali sulla deterrenza potessero alimentare il
pericolo di escalation: Pechino considerava la propria azione “difensiva”,
Mosca la interpretava come aggressione. Il 14 ottobre 1969 il Comitato Centrale
del Partito Comunista Cinese emise un ordine urgente di evacuazione per i
dirigenti del Partito e dello Stato a Pechino, imponendo a tutti i leader di
lasciare Pechino entro il 20 ottobre. Tutte le agenzie centrali del governo e
militari furono trasferite in “castelli” sotterranei a prova di nucleare nelle
Western Hills di Pechino. Nonostante la superiorità militare sovietica, Mosca però
temeva una guerra totale logorante con la Cina, che disponeva di enormi riserve
umane. Pechino pur essendo molto vulnerabile, aveva già fatto il suo primo test
nucleare nel 1964 e per la bomba H nel 1967. Questo rese rischiosa
un’aggressione. LoStato Maggiore delle Forze Armate dell’URSS decise di non
bombardare la Cina. Riconobbe che le poche armi cinesi avrebbero avuto un
effetto devastante sulle popolazioni civili sovietiche e quindi di deterrenza. Le
poche armi cinesi crearono la deterrenza politica.
Il
conflitto si chiuse senza un trattato immediato. Nel settembre 1969 Zhou Enlai
e Aleksej Kosygin si incontrarono a Pechino avviando colloqui preliminari. Le
trattative proseguirono a singhiozzo per decenni: solo negli anni ’90 si giunse
a un accordo definitivo di delimitazione.
Nella
visione sovietica la Cina fu un aggressore, responsabile di un attacco
pianificato e brutale. Nella versione cinese fu una legittima difesa contro
l’espansionismo russo e i “trattati iniqui” del tempo dello zarismo che il
socialimperialismo di Mosca non aveva cancellato. In occidente si guardò con
malcelata soddisfazione agli scontri sull’Ussuri e si preparò un’azione
diplomatica per approfondire la faglia sino-sovietica. Gli studi di Ryabushkin
sottolineano il carattere controverso delle perdite e le manipolazioni
propagandistiche di entrambe le parti.
Le
conseguenze strategiche furono enormi. L’Estremo Oriente sovietico
fu fortemente militarizzato e le spese militari crebbero a dismisura, di contro
Pechino non si lanciò in una corsa agli armamenti con i sovietici. Invece accelerò
il programma nucleare cinese. Spinse l’establishment cinese ad accelerare il
processo di avvicinamento sino-americano, preludio al viaggio di Nixon del
1972. La cosa peggiore per il movimento comunista internazionale fu la frattura
irreversibile del movimento, con implicazioni per i partiti comunisti europei,
Italia compresa, che ancor oggi serpeggiano nei resti dei partiti comunisti
odierni.
Gli
scontri dell’Ussuri furono un conflitto “limitato” solo nelle dimensioni, ma di
enorme portata geopolitica. Segnarono il punto più basso delle relazioni tra
due potenze comuniste e ridisegnarono l’architettura globale della Guerra
fredda. Essi mostrano come dispute locali possano avere implicazioni
strategiche planetarie, quando si intrecciano con ideologia, percezioni di
sicurezza e competizione per l’egemonia.
Per
quasi un decennio il programma rimase coperto. Solo alla fine degli anni
Ottanta, e in particolare nel 1989, emersero resoconti di stampa che
confermavano l’esistenza di due stazioni a Qitai e Korla. Con il crollo sovietico,
l’utilità marginale del progetto diminuì e l’infrastruttura fu gradualmente
dismessa o riconfigurata in ambito esclusivamente cinese.
Il
Project Chestnut fu il prodotto diretto del timore cinese di un attacco
sovietico dopo la crisi dell’Ussuri e della convergenza tattica con Washington.
Non solo fornì agli USA preziose informazioni militari, ma aprì a Pechino la
via a una nuova legittimazione internazionale e ad un’accelerazione della sua
integrazione economica globale. Più che un episodio tecnico di SIGINT (spionaggio
di segnali elettromagnetici), fu un tassello della riconfigurazione strategica
ed economica che contribuì a cambiare l’Asia e il mondo alla fine del XX
secolo.
Bibliografia
Radchenko, Sergey. Two Suns in the Heavens: The
Sino-Soviet Struggle for Supremacy, 1962–1967. Stanford University Press, 2009.
Luthi, Lorenz M. The Sino-Soviet Split: Cold War in
the Communist World. Princeton University Press, 2008.
Whiting, Allen S. The Chinese Calculus of Deterrence:
India and Indochina. University of Michigan Press, 1975 (capitolisulconfronto
con l’URSS).
Westad, Odd Arne. The Global Cold War: Third World
Interventions and the Making of Our Times. Cambridge University Press, 2005.
Zubok, Vladislav. A Failed Empire: The Soviet Union in
the Cold War from Stalin to Gorbachev. University of North Carolina Press,
2007.
Goncharov, Sergei; Lewis, John W.; Xue Litai.
Uncertain Partners: Stalin, Mao, and the Korean War. Stanford
University Press, 1993 (per il contesto dei rapporti sino-sovietici).
Ostermann,
Christian (a cura di). The
Sino-Soviet Border Conflict, 1969: New Evidence from Russian and Chinese
Archives. Cold War International History Project, Working Paper No. 22, Woodrow
Wilson Center, 1999.
Sitografia
Wilson
Center Digital Archive – Documenti declassificati su crisi e conflitto:
https://digitalarchive.wilsoncenter.org
Cold War International History Project (CWIHP) –
Working Paper No. 22, Christian Ostermann:
https://www.wilsoncenter.org/publication/the-sino-soviet-border-conflict-1969-new-evidence-russian-and-chinese-archives
CIA
declassifieddocuments – Report su minaccia nucleare sovietica e crisi con la
Cina (Freedom of Information Act):
https://www.cia.gov/readingroom
JSTOR
(accesso accademico) – Articoli storici e strategici sul conflitto:
https://www.jstor.org
Encyclopaedia
Britannica – Sintesi generale:
https://www.britannica.com/event/Ussuri-River-dispute
GlobalSecurity.org
– Analisi militare e strategica del conflitto:
https://www.globalsecurity.org/military/world/war/prc-soviet.htm
Federation
of American Scientists (FAS) – Cenni sulle minacce nucleari e tensioni
sino-sovietiche:
https://fas.org