Il Project Chestnut: la cooperazione segreta sino‑americana di intelligence elettronica (1979–1989)


Il cosiddetto Project Chestnut rappresenta una delle pagine meno note della Guerra fredda, esso consisteva nella collaborazione clandestina tra Stati Uniti e Repubblica Popolare Cinese per la costruzione di stazioni di ascolto elettronico (SIGINT) nello Xinjiang, ai confini strategici con l’Unione Sovietica. Concepito al tempo del viaggio di Kissinger in Cina nel 1971, cominciò a prendere forma nel 1979, subito dopo la normalizzazione dei rapporti diplomatici sino‑americani e con l’invasione sovietica dell’Afghanistan, il progetto subì un’accelerazione, Esso fu un pilastro della strategia di contenimento congiunto dell’URSS. Le sue radici, tuttavia, vanno ricercate più indietro, negli scontri sul fiume Ussuri del 1969, quando Pechino temette seriamente un attacco preventivo sovietico e iniziò a considerare un riavvicinamento tattico a Washington.

Gli scontri sull’isola di Damanskij/Zhenbao (marzo 1969) furono un trauma geopolitico per la Cina. Le valutazioni sovietiche del 1969 circa la possibilità di un attacco contro siti sensibili cinesi, inclusa l’ipotesi di strike su LopNor, consolidarono a Pechino l’idea che l’URSS fosse il nemico principale. In questa logica, avvicinarsi agli Stati Uniti non era una scelta ideologica ma una necessità strategica, quasi esistenziale per Pechino. Trovare un contrappeso capace di dissuadere un’aggressione sovietica, divenne lo scopo della dirigenza cinese. Deng Xiaoping lo ritenne essenziale per la sopravvivenza cinese. Washington, dal canto suo, fu ben felice di accogliere l’apertura cinese, per Kissinger fu un evento da non sottovalutare o minimizzare. In America si vide in Pechino un perno per erodere il potenziale strategico dell’URSS sul fianco asiatico.

Nel 1979, con la rivoluzione iraniana, gli Stati Uniti avevano perso la rete di stazioni SIGINT nel paese dello Scià, che sorvegliavano il poligono spaziale di Baikonur, Saryshagan e l’Asia centrale sovietica. Washington aveva la necessità di trovare nuove “finestre di ascolto”. La Cina offriva geografia, altitudine e prossimità ideali, l’ideale per gli statunitensi. La normalizzazione USA‑Cina del 1979 fornì il quadro diplomatico. Secondo ricostruzioni giornalistiche, nello stesso anno Deng Xiaoping effettuò una visita riservata al quartier generale della CIA per definire luoghi e modalità delle installazioni. Da quel negoziato prese corpo il Project Chestnut. Le principali stazioni furono realizzate a Qitai e a Korla, nel cuore dello Xinjiang. Non erano sul confine afghano, ma la geometria radioelettrica e la quota erano ottimali per captare la telemetria dei test balistici sovietici (Tyuratam/Baikonur, Saryshagan) e il traffico militare dell’Asia centrale.

La gestione formale e il controllo erano sotto la supervisione dell’Esercito Popolare di Liberazione cinese, in cooperazione operativa con CIA (Central Intelligence Agency), NSA (National Security Agency) e DIA (Defense Intelligence Agency), quest’ultima deputata in America a valutare il valore delle informazioni reperite. Il personale americano fece arrivare sul posto l’equipaggiamento necessario, antenne a largo spettro, ricevitori telemetrici, sistemi di registrazione e pacchetti di informazioni forniti dagli Stati Uniti. Fu stabilito che il flusso dei dati, sarebbe stato inviato anche a Pechino e condiviso con Washington per l’elaborazione. Fondamentalmente si monitorò la telemetria missilistica sovietica e il tracciamento dei profili di volo. Gli USA ebbero a completa disposizione il SIGINT (attività di spionaggio e intercettazione, raccolta e analisi di segnali, sia di comunicazione (COMINT) che elettronici (ELINT). Un’attività fondamentale che diede piena contezza sulle comunicazioni aeronautiche e militari dell’URSS in Asia centrale e il monitoraggio dell’impegno sovietico nel teatro afghano (1979–1989). L’operazione in Xinjiang si inserì nell’architettura di contenimento occidentale della presenza sovietica in Afghanistan.

Con il Project Chestnut si rafforzò il legame Washington‑Pechino. la Cina ottenne garanzie di sicurezza e tecnologia; gli Stati Uniti colmarono un vuoto SIGINT; l’URSS percepì una nuova pressione sul fianco orientale, ma ne ignorava la forza di intelligence.

La cooperazione non rimase confinata all’intelligence. Nel quadro più ampio del riavvicinamento, gli Stati Uniti e i partner occidentali facilitarono l’accesso cinese a capitali, tecnologie e mercati. Questa dinamica può essere letta anche come una ‘ricompensa’ politica ed economica per la collaborazione strategica: consentendo agli USA di monitorare l’URSS dal proprio territorio, Pechino ottenne fiducia, crediti e know‑how che accelerarono l’apertura denghista. Negli anni Ottanta la Cina si inserì sempre più nel world trade, gettando le basi per la sua trasformazione in potenza manifatturiera globale.

Bibliografia

• Cooley, John K., Unholy Wars: Afghanistan, America and International Terrorism. London–Sterling: Pluto Press, 1999. (Ed. it.: Una guerraempia).

• Segal, Gerald, “China and Afghanistan”, The World Today, vol. 37, n. 6 (1981), pp. 228–235.

• Perlez, Jane, interviste e servizi su cooperazione USA–Cina in ambito SIGINT (WBUR / Here &Now, 2022).

• Swami, Praveen, analisi su Project Chestnut (ThePrint, 2022).

• Ritagli e dossier CIA Reading Room su stazioni d’ascolto congiunte in Cina (anni ’80).

• Washington Post, 24–25 giugno 1989: articoli su due stazioni di ascolto USA–Cina a Qitai e Korla, operative dal 1980.

Sitografia

• CIA FOIA / CIA Reading Room: https://www.cia.gov/readingroom/

• Washington Post (archivio): https://www.washingtonpost.com/

• WBUR – Here & Now (intervista Jane Perlez, 2022): https://www.wbur.org/

• ThePrint (Praveen Swami, 2022): https://theprint.in/

Fonte foto: da Google

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